Ogni volta che un investitore cinese, o più in generale dell’Estremo Oriente, acquista uno Château, a Bordeaux o in Borgogna, fa notizia, tanto che l’impressione generale è quella di un terroir che sta lentamente perdendo la propria identità. In realtà, non è affatto così, come spiega a “Decanter” Maxwell-Storrie-Baynes, uno dei maggiori agenti immobiliari di Bordeaux, affiliato al Christie’s International Real Estate. “Da quando, nel 1997, il magnate taiwanese Peter Kwok acquistò Château Haut Brisson, le proprietà in mano ad investitori orientali sono diventate una cinquantina, di cui, dagli anni ‘90 ad oggi, solo 40 in mani a cinesi”.
Un fenomeno che, letto così, non può certo impensierire una realtà vasta come quella di Bordeaux. Ma dietro a questi acquisti non c’è solo il mecenatismo di qualche magnate, anzi, l’obiettivo di chi nel vino ha investito risorse importanti, come Cheng Qu, già proprietario di una decina di aziende in Francia, tra cui Château Baby, Château Chenu-Lafitte e Château Branda, cui ha recentemente aggiunto Château L’Enclos, a Sainte Foy la Grande, vicino Bergerac, e forza trainante della grandiosa festa del vino di Dalian, nel nord est della Cina, è meramente commerciale: controllare grandi produzioni di zone di pregio, dalla vigna alla distribuzione, per assicurarsi un business sicuro, visto che nel volgere di 5-10 anni la classe media cinese conterà su almeno 300 milioni di consumatori, un mercato persino più grande di quello statunitense. Prospettiva che ha portato tra le vigne francesi, tra gli altri, anche Richard Shen Dongjun, proprietario di 400 negozi di gioielli, che ha acquistato Bourgeois Château Laulan Ducos (Cru di Médoc) nel 2011, con l’idea di sfruttare la sua rete di negozi per distribuire il vino, che in Cina toccherà prezzi esorbitanti, tra i 30 ed i 50 euro a bottiglia, a fronte di costi di produzione che non superano i 2-3 euro a bottiglia, evitando addirittura di commercializzarli in Francia.
I proprietari bordolesi, ormai, accolgono senza grandi resistenze questo flusso di investimenti orientali, ma inizia ad aleggiare un certo risentimento, e se possibile le vecchie famiglie preferiscono vendere a investitori francesi piuttosto che a gruppi assicurativi e di investitori senza volto di Cina o Hong Kong. In Borgogna la resistenza è ancor più palpabile: l’acquisto di Château Gevrey-Chambertin ad opera di un investitore di Macao, Louis Ng, lo scorso anno, fu vissuto come un affronto, tanto da attirare l’attenzione del Front National, l’ultradestra sciovinista francese. La diversità tra Bordeaux e Borgogna, del resto, sta tutta nei numeri: “da una parte ci sono 120.000 ettari di vigneti, dall’altra 28.000, di cui solo 5.000 di grande interesse commerciale, per questo - racconta Maxwell-Storrie-Baynes - a Bordeaux accogliamo positivamente gli investimenti cinesi: in fondo, qui le proprietà straniere sono la regola, prima dei cinesi, che oggi rappresentano solo lo 0,5% degli oltre 8.000 Châteaux del territorio, ci sono stati irlandesi, belgi, inglesi, magnati australiani, americani, brasiliani, principi sauditi”.
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