“Rischiamo di essere l’unico Paese al mondo ad autoprivarsi di questo strumento tecnico: ci tarpiamo le ali da soli!”: così l’enologo-manager Ezio Rivella interviene in esclusiva per www.winenews.it sulla questione dei trucioli nel vino, una pratica enologica recentemente autorizzata dall’Unione Europea. “La campagna mediatica contro l’impiego dei trucioli di legno di rovere nella elaborazione dei vini - spiega Rivella, ex presidente mondiale degli enologi ed oggi a capo della Sifa (società che organizza MiWine, ndr) - si è sviluppata nell’ultimo anno con punte di effervescenza politica trasversale, terminata con tanto di dibattimento alla Camera e votazione partecipe di maggioranza ed opposizione che impegnano il Governo a rendersi interprete delle nostre preoccupazioni e difensore a Bruxelles del prestigio del vino italiano di qualità, che giammai farà uso di questi espedienti per imitare il pregio. Ma la Camera dei Deputati non ha questioni più importanti di cui occuparsi, che della marginale questione dei trucioli nel vino? Purtroppo la questione è stata presentata male ed è stata montata peggio, per cui abbiamo assistito al penoso spettacolo di molti politici del passato e presente Governo, tutti impegnati nell’illustrare la caratura e l’importanza della produzione vitivinicola italiana (quella si che è reale), insidiata nella sua affermazione sui mercati da questa pratica subdola certamente da vietare per i nostri vini. Purtroppo i vini di mezzo mondo prodotti con questo “sotterfugio” sono già sugli scaffali di tutti i principali mercati, alla faccia dei nostri produttori, che con queste interdizioni, non ci arriveranno mai! Soltanto pochi anni fa l’Italia, insieme alla Francia ed a tutti gli altri Paesi d’Europa, aveva chiesto a gran voce di inserire l’uso dei “chips”di legno tra le pratiche enologiche autorizzate, perché si tratta di una pratica largamente seguita al di fuori dell’Europa, che assicura indubbi benefici al prodotto, per lo scambio che si stabilisce tra il vino ed i tannini del legno, con miglioramento del colore e della sua stabilità, ammorbidimento del gusto, resistenza all’invecchiamento, ecc. Il gusto di legno, quello deriva dall’eccesso di dosaggio, e non è un carattere positivo. Beninteso, si tratta di una imitazione, e come tale non è mai pari al livello qualitativo dell’originale, cioè della elaborazione in barrique, molto più costosa e quindi riservata ai vini di prezzo elevato. Infatti, California, Australia, Cile, hanno un patrimonio di barriques che sarà almeno dieci volte quello italiano e non è che hanno mai pensato di smontarle, per limitarsi all’uso dei “chips”. La cosa è molto semplice: è il risultato qualitativo che è diverso! Questa considerazione elementare non ha sfiorato i nostri soloni, che hanno parlato invece di “imitazione dei caratteri qualitativi”, “simulazione dell’invecchiamento tradizionale”, “livellamento verso il basso della qualità”. Una truffa per il consumatore che va, come minimo, evidenziata in etichetta, per correttezza di informazione (non ci sfiora il dubbio che anche altre cose andrebbero indicate in etichetta?). Si apre un capitolo su un terreno molto scivoloso!
Sentenzia l’on. Realacci “Legalizzare pratiche come quelle dei trucioli, vuol dire tradire l’identità e la qualità del nostro vino e accreditare l’omologazione ed il livellamento verso il basso della produzione vinicola italiana. Un danno per i produttori seri e per i consumatori, ma anche un rischio per un settore fondamentale per l’economia del nostro Paese”. Continuando con queste reazioni isteriche e viscerali, sembra anche logico l’intervento (privo di fondamento), di tutta la schiera dei politici, in difesa del nostro vino. Il nostro autolesionismo risulta evidente anche se ci limitiamo ad esaminare la situazione in Europa: a Bruxelles, il Comitato Gestione Vini ha approvato la bozza di regolamento predisposto dalla Commissione. L’unica nazione a presentare le sue ridicole mozioni è stata l’Italia. Siamo noi i difensori della barrique? Il nostro patrimonio barricadero è certamente inferiore a quello della Francia, ed anche della Spagna: di che ci preoccupiamo? Partendo da considerazioni inesatte e lasciandoci prendere da reazioni epidermiche ed irrazionali, tutto il discorso ha avuto una evoluzione scontata.
Ma dove sono le organizzazioni di categoria, che dovrebbero difendere l’interesse dei produttori? Le organizzazioni sindacali agricole hanno ritenuto opportuno cavalcare la tigre, alla perenne ricerca di affermazioni mediatiche, senza approfondire il problema. Quelle vitivinicole si sono limitate a timide difese del provvedimento, preoccupate di squalificarsi agli occhi dell’opinione pubblica. Dove sono i tecnici del Ministero delle Politiche Agricole, quelli che un tempo dicevano quello che si doveva o non si doveva fare, (già, ma noi siamo l’unico paese al mondo che ha abolito il Ministero dell’Agricoltura)? Perché un Ministro versato e competente come il professor Paolo De Castro non è stato sufficientemente illuminato sull’argomento? Che fine ha fatto la sperimentazione ufficiale della tecnica condotta per quasi un decennio: il Ministro non conosce i risultati? Conoscono i nostri politici l’ampio dibattimento condotto per anni in sede O.I.V. , con la partecipazione di tutti i migliori esperti? L’uso dei trucioli in Italia era autorizzato e generalizzato fino al 1962, ma noi li usavamo come supporto dei lieviti nelle rifermentazioni e come germe di cristallizzazione per i tartrati. Non avevamo compreso il grande aiuto che possono dare i tannini del legno per la stabilità del colore e l’arrotondamento del gusto.
Il nostro pressappochismo ci porta di più a comportamenti sentimentali e non razionali: così è stata una gara verso le impostazioni assurde. La Regione Piemonte, in vena di autolesionismo, ha preannunciato che la Regione sarà dichiarata “senza trucioli” con interdizione assoluta alla pratica. Proprio la regione Piemonte invece, dovrebbe giovarsi moltissimo della pratica di impiego dei chips in vinificazione, migliorando qualitativamente, nel gusto e nella stabilità del colore, quel milione di ettolitri di Barbera sciatta, slavata, acida e sgarbata che impedisce alla Denominazione di decollare. Avrebbero un grande miglioramento a costo contenuto, adatto a vini di consumo quotidiano. I trucioli non servono al Barolo, o alla Barbera invecchiata! Il campionato del ridicolo poi, lo ha vinto il sindaco di Torrecuso, paese del Beneventano, che ha emanato una ordinanza che vieta, nel comune, l’uso dei trucioli ed il consumo di vini così trattatati. Fanno male alla salute, perché lo ha detto il professor Giorgio Calabrese (il quale deve aver colto l’analogia tra la formazione di sostanze cancerogene sulla carne arrostita alla brace, ed il legno bruciato alla fiamma). Ma i trucioli vengono solo riscaldati, e non bruciati. C’è da ridere? Certamente, ma c’è anche di che preoccuparsi, perché, se il metodo è questo, finchè si tratta di una questione marginale come quella dei trucioli, poco male. Ma che succederà quando dovremo affrontare grandi temi?”
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