La filiera vitivinicola europea appare al centro di una fase delicata ed importante, in cui ha l’esigenza di tracciare le linee guida del proprio futuro, nel mentre si dibatte tra la propria sedimentata storia di sistema percepito come circoscritto e ben presidiato, e i segnali di inequivocabile apertura delle economie legate al vino, provenienti dai mercati internazionali. Tocca agli operatori europei, nell’analisi della situazione attuale e dei possibili scenari, discernere tra gli effetti di dinamiche congiunturali da un lato e di tendenze strutturali dall’altro.
Le indagini economiche pubblicate di recente evidenziano una tendenziale erosione degli indicatori di competitività del sistema vino europeo, pur se entro i grandi aggregati bisogna poi discernere per segmenti di offerta, per verificare quali fasce di produzione risentano maggiormente dei mutamenti in atto. È in ogni caso sotto gli occhi di tutti il profondo cambiamento, sul piano interno ed internazionale, in cui si colgono in prima battuta tendenze alle concentrazioni di offerta, spinte verso un concetto di vino più divulgativo ed accessibile a nuove fasce di consumatori, che va tramutandosi dall’idea classica di prodotto selettivo di territorio ad una di categoria merceologica tout court.
I grandi players mondiali hanno già ben chiara la criticità del fattore dimensionale, avendo avviato processi di fusione, acquisizione, alleanza, di rilevante entità; eppure anche su questo fronte si sono dovuti confrontare con una difficoltà: alle concentrazioni in termini di proprietà e controllo di strutture produttive non sono seguite analoghe concentrazioni su larga scala delle marche, poiché il mercato del vino mantiene alcune resistenze al recepimento di operazioni globali in senso proprio. Le poderose progressioni dei sistemi produttivi dei Paesi extra Unione Europea impongono, in ogni caso, al sistema europeo una riflessione pragmatica e tempestiva, che tenga conto dei fattori di successo che hanno accompagnato la diffusione del vino europeo sui mercati del mondo, senza tuttavia trascurare le nuove condizioni entro cui la competizione si sta incanalando.
Tale ragionamento non può prescindere da un vincolo strutturale della filiera europea, che si caratterizza per tempi di reazione - sul piano dell’orientamento degli investimenti - piuttosto lenti, vista la rigidità del sistema produttivo, dalla struttura regolamentare stratificata e farraginosa.
Gli elementi su cui il vino europeo ha negli ultimi decenni fondato le proprie strategie di accesso ai mercati sono stati i territori e le marche aziendali. I primi sono stati valorizzati grazie ad una chiara scelta di individuazione delle aree vocate e definizione di disciplinari di produzione legati all’origine storica e geografica; le seconde hanno rappresentato l’espressione della creatività e del genio dell’imprenditore.
Tale doppio binario competitivo, di attori e territori, si è issato sull’impianto normativo che ha caratterizzato il funzionamento delle denominazioni di origine dei nostri vini, costituente lo scacchiere regolamentare entro il quale consentire agli operatori di mettere in atto le proprie strategie imprenditoriali. Ha radici antiche un fattore di debolezza strutturale rappresentato dal problema della polverizzazione produttiva, che, sia pure diversamente nelle varie regioni europee, interessa sia il versante degli attori, sia quello dei territori. Per quanto riguarda i primi, si registra un problema di dimensionamento delle unità produttive sia nella fase agricola della filiera, ossia in quanto ad estensione media del vigneto, sia nella fase di trasformazione, il che non favorisce l’organizzazione della produzione, l’accesso a condizioni competitive sui mercati internazionali, l’interlocuzione con il sistema finanziario e istituzionale. In merito ai territori, la normativa europea di settore non ha favorito la generazione di un sistema di denominazioni di origine integrato e in grado di attivare un processo di comunicazione efficace e coordinato verso i mercati extraeuropei, determinando una polverizzazione degli sforzi di approccio ai mercati privi della necessaria massa critica produttiva, necessaria a garantire visibilità a valle e a favorire concentrazioni di risorse finanziarie sul versante dell’offerta.
È senz’altro necessario dar corso a un’azione concertata da parte di privati e istituzioni a livello europeo, al fine di delineare l’assetto organizzativo della produzione e il connesso quadro regolamentare idoneo ad affrontare la competizione che è ormai è alle porte. I nodi da sciogliere sono molti, ma la riflessione di base riguarda senza dubbio il tema della competitività: una quota non trascurabile di quella erosione di valori nella filiera europea, e della conseguente graduale riduzione di competitività rispetto ai più giovani sistemi produttivi extra-Ue, è derivata dalle scelte operate nel corso degli ultimi decenni entro il regime regolamentare facente capo all’Organizzazione Comune di Mercato.
I vincoli allo sviluppo delle capacità produttive, l’ambizione di controllare il rapporto tra domanda e offerta dall’interno della sola Europa, con un raggio d’azione che è invece mondiale, sono solo alcuni dei temi attualmente oggetto di profonde riflessioni. I paesi terzi hanno messo a coltura superfici via via crescenti e si sono proposti con le proprie produzioni sui mercati del mondo, senza trascurare quelli europei.
Nel frattempo, in un regime vincolato delle produzioni europee si è assistito a una lievitazione nei valori immobiliari in viticoltura, che ha determinato l’immobilizzo di rilevanti risorse finanziarie, con rendimenti e tempi di recupero degli investimenti poco efficienti, difficoltà di riorientamento dei meccanismi produttivi e di interlocuzione delle imprese con il sistema finanziario, nonché rigidità economiche che si traducono in delicate oscillazioni dei valori alla produzione a causa di effetti congiunturali di mercato.
Questo, se da un lato denuncia l’esigenza di un cambio di rotta, costituisce anche una zavorra ad una possibile svolta organizzativa della filiera, poiché qualunque intervento si dovrà mettere a punto non potrà non tener conto di un periodo di transizione dall’attuale assetto delle imprese alla nuova condizione operativa, finalizzato ad evitare la caduta dei valori degli investimenti fin qui effettuati, onde evitare di produrre un duplice danno agli attori europei.
Si sente forte l’esigenza di rimetter mano all’impianto normativo, perché consenta maggiore snellezza operativa, nel rispetto dei vincoli e delle regole di funzionamento della filiera, eliminando ridondanze e duplicazioni e favorendo il recupero delle inefficienze riscontrabili nelle fasi più a monte della filiera, al fine di indirizzare maggiori risorse verso le fasi della promozione in senso ampio, ossia quelle più prossime al mercato e al consumatore.
Si dovrà quindi tendere a creare condizioni per un consolidamento delle posizioni competitive degli attori e dei territori, per riprendere la via dello sviluppo dei nostri sistemi territoriali, tenendo al centro la forza d’impulso che a questi sistemi può derivare dal ruolo di imprese trainanti, in grado con politiche di branding di dare consistenza alle strategie territoriali.
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