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LA COMPETITIVITÀ DELL’AGRICOLTURA ITALIANA DI FRONTE AI NUOVI SCENARI EVOLUTIVI … ECCO IL RAPPORTO N. 11 SULL’AGRICOLTURA ITALIANA

In uno scenario di forti e repentini cambiamenti, il tema della competitività delle aziende agricole non è solo di “moda” ma rappresenta indubbiamente un fattore con il quale fare i conti per lo sviluppo futuro dell’intero sistema agroalimentare nazionale. La scelta di questo tema per l’XI Rapporto Nomisma sull’agricoltura italiana, promosso da Confagricoltura - con la sponsorizzazione anche di VeronaFiere, con Fieragricola (4/7 febbrario 2010), Federchimica, Mps, Gruppo Sai La Fondiaria - è quindi quanto mai attuale, soprattutto alla luce dei numerosi e repentini cambiamenti in atto nello scenario di riferimento per le imprese agricole. Un’evoluzione che, tra riforma della Pac - Politica Agricola Comune (l’accordo sull’Health Check è del 20 novembre scorso), verifica del bilancio comunitario (appena iniziata), estrema volatilità dei prezzi agricoli (dopo l’impennata del 2007/2008, le quotazioni di mais e frumento tenero oggi sono praticamente ritornate ai livelli del 2006) e crisi finanziaria ed economica in atto a livello mondiale, ha fatto riemergere la strategicità della funzione produttiva dell’agricoltura e quindi la centralità dell’impresa agricola nel sistema economico.

Il ritardo “strutturale” dell’agricoltura italiana
L’analisi condotta sul complesso dei fattori di competitività ha però messo in luce quel ritardo che ormai da tempo immemore contraddistingue il nostro settore primario rispetto ai principali competitor europei. A fronte di una media comunitaria di circa 12 ettari di Sau (Superficie Agricola Utilizzata) per azienda, l’Italia continua a contrapporre un valore inferiore, pari a poco più di 7 ettari contro i 49 della Francia e i 44 della Germania. Il “nucleo” delle imprese più dimensionate (quelle con un’ampiezza poderale superiore ai 50 ettari) pesa per appena il 2% nel nostro Paese mentre incide per il 35% in Francia e il 22% in Germania.
Questa elevata polverizzazione aziendale e frammentazione poderale non ci consente di sfruttare al meglio tecnologia e innovazione, portando la produttività a valori inferiori a tutti i nostri principali competitor (18.200 euro di valore aggiunto per addetto contro i quasi 30.000 della Francia, i 22.300 della Spagna e i 20.000 della Germania). Una zavorra che costringe a viaggiare a marce ridotte le nostre imprese, non permettendo così di cogliere tutti i vantaggi derivanti dal buon posizionamento competitivo detenuto dai prodotti agroalimentari italiani nel mercato internazionale.

Competitività e importanza dei mercati esteri per le produzioni italiane
Basti infatti pensare che nel corso degli ultimi dieci anni (1997/2007), la quota dell’Italia nel commercio agroalimentare mondiale è passata dal 2,8% al 3,1%, collocando il nostro paese al 10° posto nella graduatoria internazionale dei Paesi esportatori. Il dato sottende una crescita nei valori dei nostri prodotti agroalimentari esportati del +104%, contro una media mondiale che si è fermata all’89% ma che ha visto contestualmente crescere quelli di Brasile, Cina, Germania e Spagna a ritmi superiori e, al contrario, diminuire quelli di Stati Uniti, Francia, Canada, Regno Unito e Australia. Vino, ortofrutta fresca e trasformata rappresentano i primi 3 comparti dell’export agroalimentare italiano che, congiuntamente, nel 2007 hanno rappresentato il 35% dell’intero valore delle vendite ottenuto oltre frontiera (23,7 miliardi di euro). Ognuno di questi prodotti però evidenzia posizionamenti competitivi differenti, soprattutto dal punto di vista del prezzo (il prezzo medio del vino esportato è inferiore del 20% rispetto a quello mondiale, mentre quello della frutta fresca è superiore del 28%), mentre denota un surplus produttivo rispetto ai consumi interni (misurato dal grado di autosufficienza) pari al 167% nel caso del vino, 110% per la frutta (ma per le mele è addirittura il 150%) e addirittura 274% per le conserve di pomodoro.
Si tratta di valori che evidenziano la strategicità e la rilevanza dei mercati esteri come sbocco principale per queste produzioni del “Made in Italy” alimentare e che alla luce delle caratteristiche di deperibilità (per la frutta fresca) e di consumi pro-capite calanti (nel caso del vino), rendono evidente la necessità di consolidare questi canali di sbocco esteri attraverso interventi e politiche tesi a favorire, una volta di più, la competitività delle imprese piuttosto che il consumo a livello locale, pena la perdita di una parte rilevante delle stesse produzioni e delle aziende collegate.

In Italia è ancora alta l’incidenza dei conduttori agricoli con più di 65 anni
Ma il ritardo competitivo dell’agricoltura italiana non deriva solamente da fattori strutturali. In Italia, l’indice di ricambio generazionale dei capi azienda (misurato dal rapporto tra i conduttori con meno di 35 anni di età su quelli over 65) evidenzia una percentuale dell’8%. In Germania è il 125%, in Francia il 66% mentre la media comunitaria si assesta sul 22%.
Altri indici sulla professionalità dei agricoltori contribuiscono a rendere questo divario ancora più accentuato, come quello sulla percentuale dei conduttori con formazione agraria completa (e cioè con diploma o laurea) che in Italia è pari al 3%, in Germania al 46%, in Francia al 43%; oppure come quello sul peso delle imprese condotte da titolari che dedicano all’attività agricola almeno il 51% del proprio tempo, per il quale anche in questo caso, l’Italia presenta un’incidenza del 30% sul totale contro percentuali doppie nel caso dei già citati competitor europei.

Criticità dei fattori competitivi: i risultati di un’indagine su 500 imprese agricole
L’XI Rapporto Nomisma sull’agricoltura italiana non si è limitato ad un’analisi di competitività a livello macro di sistema. Al fine di valutare il ruolo, l’importanza e la gestione delle criticità collegate ad alcuni importanti fattori di competitività da parte delle imprese agricole italiane è stata condotta un’indagine diretta su un campione di quasi 500 imprese ripartite sull’intero territorio nazionale.
I risultati emersi offrono spunti interessanti. Innanzitutto, in una scala di priorità per le imprese, i principali fattori che vengono percepiti critici risultano essere l’accesso al mercato finale, gli adempimenti amministrativi, l’accesso al credito e la manodopera. Quello della semplificazione burocratica rappresenta un’annosa questione irrisolta. Basti infatti pensare che oltre il 65% delle imprese concorda sul fatto che gli adempimenti burocratici rappresentano un problema da risolvere e una percentuale addirittura superiore ritiene inoltre che negli ultimi dieci anni le problematiche aziendali collegate alla burocrazia siano addirittura peggiorate. Un’impresa su cinque ha poi dichiarato che tali adempimenti fanno “perdere” ogni anno più di 60 giornate.
L’accesso al mercato finale viene considerato un problema da risolvere per oltre il 60% degli intervistati: l’incapacità di andare oltre il mercato locale e la delega a terzi della propria produzione rappresentano i motivi principali che non permettono alle imprese di collocare in maniera ottimale e redditizia i propri prodotti.
Sul fronte della manodopera sono i costi elevati, la formazione professionale non adeguata e l’incapacità di reperire forza lavoro con tempestività le principali problematiche segnalate dalle imprese ed anche in questo caso solo il 16% ritiene che nell’ultimo decennio si siano fatti passi in avanti per migliorare la situazione.
In relazione ai mezzi tecnici, le imprese concordano sul fatto che agrofarmaci e fertilizzanti presentano un’utilità elevata per la produttività. Si pensi, a tale proposito, che dall’indagine svolta è emerso che in caso di non utilizzo degli agrofarmaci, il 39% delle imprese rischierebbe di perdere dal 25% al 50% della propria produzione annuale; un altro 22% rischierebbe un calo dal 50% al 75% mentre un altro 13% potrebbe vedere andato perduto l’intero raccolto (tra questi ultimi rientrano principalmente le imprese vitivinicole, frutticole e floricole).
Complessivamente, ponderando gli intervalli di perdita percepita con le frequenze delle risposte, si arriva a stimare una diminuzione potenziale annua del 43% in caso di non utilizzo di agrofarmaci e del 36% in merito ai fertilizzanti.
Per quanto riguarda l’accesso al credito, questo rappresenta un problema da risolvere per circa la metà del campione intervistato. Le principali problematiche collegate - oltre alla questione dei tassi percepiti troppo elevati - sono riconducibili alla mancanza di comprensione da parte degli istituti di credito delle peculiarità del settore agricolo nonché all’inesistenza di strumenti di credito bancario adeguati alle esigenze dell’impresa.
Nel caso invece delle assicurazioni, circa l’80% delle imprese lo ritiene un fattore strategico di competitività che non sembra presentare rilevanti criticità nella gestione aziendale. Chi invece rileva problemi, evidenzia principalmente costi e franchigie troppo elevate.
Infine un accenno ai risultati economici messi a segno dalle imprese nel passato triennio e alle previsioni future. Nell’ultimo triennio, il 36,5% del campione intervistato ha registrato incrementi - anche significativi - nel fatturato, a fronte di un 28% che invece evidenzia risultati economici in calo. L’incidenza delle aziende che mostrano performance in crescita aumentano sensibilmente tra quelle che realizzano la vendita con marchio proprio (46,3%) o che realizzano produzioni certificate (44%). In merito invece al canale di commercializzazione, le differenze risultano significative solamente nel caso di chi esporta direttamente (53%).
In merito alle previsioni future per i prossimi tre anni, la percentuale di aziende che si dichiara ottimista (con fatturato in crescita) cresce fino al 42,7% (rispetto ad un 19% pessimista). La presenza di un marchio proprio o collettivo così come la possibilità di esportare, di attivare contratti con la gdo o di presidiare direttamente il mercato favorisce tale ottimismo (55%).

Alcune considerazioni conclusive
In conclusione, grazie all’analisi dei fattori concorrenziali, delle tendenze in atto nello scenario agroalimentare, del posizionamento competitivo dei prodotti italiani nel contesto internazionale, della comparazione con alcune filiere agricole dei Paesi leader a livello mondiale, l’XI Rapporto Nomisma sull’agricoltura italiana ha messo in luce, in maniera puntuale, i punti di forza e le criticità del sistema agroalimentare nazionale e ribadito, una volta di più, la necessità per le imprese agricole di migliorare la propria competitività.
Un obiettivo da raggiungere attraverso l’intervento su alcune leve come quella dell’organizzazione produttiva (mediante processi di aggregazione, concentrazione dell’offerta e ulteriore qualificazione delle produzioni) e della commercializzazione (attraverso uno sviluppo dell’internazionalizzazione e delle relazioni con la gdo), ai quali devono essere affiancati nuovi strumenti in grado di migliorare la gestione del rischio (anche a tutela del reddito, alla luce della progressiva ed ineludibile riduzione della “rete di sicurezza” fornita dalla Pac) e politiche specifiche più efficaci sui singoli fattori di competitività delle imprese: per il lavoro, per la semplificazione burocratica, per l’accesso al mercato e al credito.

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