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La corsa del Liv-ex si ferma dopo 17 mesi di crescita, ma per fine wines resta un momento d’oro. Ad aprile Masseto best performer e nel 2016, secondo il “The Wealth Report” 2017 firmato da Knight Frank, gli investimenti enoici fanno meglio dell’auto

Italia
Si ferma la corsa del Livex, dopo 17 mesi consecutivi di crescita

Fine della corsa per il Liv-ex, il benchmark del mercato secondario dei fine wine, che dopo 17 mesi consecutivi di crescita, chiude il mese di aprile in territorio negativo. Una frenata, nulla di più, pari al -0,5% sul mese di marzo, che segue un periodo di crescita sempre più flebile (appena il +0,4% a febbraio ed il +0,7% a marzo), capace però di mettere simbolicamente fine al più lungo periodo di crescita nella storia del Liv-ex, iniziato a dicembre 2015, e culminato con il superamento della soglia dei 300 punti, mai sfondata negli anni successivi al crollo del 2011. Una tendenza che, però, non vale per tutti: il Masseto 2010, tra i migliori di marzo, si riconferma ad aprile, con una crescita del 12,1% ed un prezzo di 5.642 sterline a cassa, ma fanno bene anche Chateau d’Yquem (la 2007 segna un +7,8%), il Cristal 2007 di Louis Roederer e la 2010 di Cheval Blanc (www.liv-ex.com).
Resta, comunque, un 2016 che si conferma, sotto ogni punto di vista, come l’anno della svolta, o della rinascita, per quanto riguarda gli investimenti enoici, e a dirlo non sono solo i dati del Liv-ex, ma anche il “The Wealth Report” 2017 firmato da Knight Frank (www.knightfrank.com), la principale società mondiale di consulenza immobiliare, che ha analizzato l’andamento delle diverse tipologie di investimento attraverso i numeri dei patrimoni dei “Paperoni” di tutto il mondo (ossia 193.490 persone con una ricchezza superiore ai 30 milioni di dollari e 2024 con un patrimonio che supera il miliardo di dollari), non solo nell’ultimo anno, ma anche nel lungo periodo, calcolando la rivalutazione degli investimenti negli ultimi dieci anni. Emerge, così, dall’analisi di WineNews, un quadro a dir poco lusinghiero per il mercato dei fine wine, che nel 2016 si è dimostrato più redditizio di qualunque altro, dall’arte moderna ai gioielli, grazie ad una rivalutazione dell’investimento del +24%, mentre nell’arco degli ultimi 10 anni solo il settore delle automobili, nel complesso, ha fatto meglio: +457%, contro il +267% dei vini da collezione.

Se andiamo a segmentare i due mercati, però, è in quello del vino che si “nasconde” l’investimento migliore: il valore dei grandi vini della California, infatti, è cresciuto nel lungo periodo del 440%, meglio di due brand come Porsche e Ferrari, di un soffio davanti ai vini di Borgogna (+355%), ma fanno benissimo anche gli Champagne (+280%), le etichette di Bordeaux (+190% nel complesso, con i premiers crus fermi però al +160%) e le griffe dell’Italia enoica (+180%). “Il vino da investimento - commenta dalle pagine del report Nick Martin, a capo di “Wine Owners”, piattaforma di compravendita online di fine wine e punto di riferimento per i collezionisti di tutto il mondo - ha spodestato al vertice del Knight Frank Luxury Investment Index le automobili, grazie ad una crescita particolarmente importante nei settori chiave, a partire dal ritorno degli Chateaux bordolesi, da sempre spina dorsale di ogni collezione enoica, che nel 2015 hanno ripreso a crescere, del 9% in un anno, dopo le secche del periodo 2012-2014. Ma è il 2016 l’anno della svolta, perché anche per effetto della Brexit, e quindi della svalutazione della sterlina, gli investimenti in dollari hanno cominciato realmente a correre, chiudendo l’anno con una crescita del 30%”.
Crescita che dovrebbe confermarsi, su livelli inferiori, anche nel 2017, non solo per Bordeaux, ma anche per le blue chips di Borgogna, che nel 2016 hanno chiuso al +31%, grazie alle vendemmie più recenti particolarmente avare, ma anche alle performance straordinarie di Romanée-Conti: una cassa dell’annata 1988 è stata battuta da Bonhams, ad ottobre, a 129.250 sterline. Bene i vini della California, “che continuano a sfidare la gravità - aggiunge Martin - crescendo in un anno del 34%, grazie a collezionisti e wine club sempre molto attenti ed attivi, che puntano a comprare a basso prezzo al momento del rilascio dall’azienda, per poi veder crescere i propri investimenti”. Ma si difende anche il Belpaese, “con i Barolo - conclude Martin - che sembrano seguire in qualche modo il solco tracciato dalla Borgogna, attraendo grosso modo gli stessi investitori, e mettendo a segno una crescita del 28%”.

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