La cultura italiana, nel paese dei mille campanili, esiste e come. Ed è una cultura, una “forma mentis” fatta di tante diversità che non solo si sommano, ma si moltiplicano tra loro. E niente rappresenta questo meglio dell’enogastronomia, fatta di centinaia di prodotti tipici e di vini strettamente legati quello da cui tutto parte, ovvero il territorio. Concetto oggi tutelato da strumenti come Dop e Igp, ma in realtà antichissimo, e già ben presente fin dal Medioevo, se non prima. Lo hanno sottolineato le “lectio magistralis” di Massimo Montanari, uno dei più grandi esperti di storia dell’alimentazione al mondo e docente dell’Università di Bologna, e Riccardo Cotarella, presidente Assoenologi e dell’Union Internationale des Oenologues, nella presentazione di un’opera arrivata all’edizione n. 11, e che racconta in numeri ed immagini il panorama, vastissimo, dei prodotti italiani a denominazione. Ovvero l’Atlante Qualivita 2002, edito dall’Istituto dell’Enciclopedia Italia - Treccani e realizzato dalla Fondazione Qualivita, in collaborazione di OriGIn Italia e AssoDistil, che contiene 876 schede informative aggiornate (315 prodotti agroalimentari, 526 vini, 1 vino aromatizzato, 34 bevande spiritose). Un’opera nata e aggiornata per affermare il ruolo delle filiere italiane di qualità come elemento della cultura nazionale, a fianco di un inestimabile valore economico per il Paese.
“Vitelle trentine e romanesche, piccioni di Terni e beccafichi di Romagna, mortadelle ferraresi e salsiccioni bolognesi, cavoli milanesi e bolognesi, zucche di Savona e funghi genovesi. Ciliege romane, pere fiorentine, riso di Salerno, riso di Milano. Sono solo alcuni dei tantissimi prodotti ricordati nel ricettario del 1570 di Bartolomeo Scappi (uno dei più celebri gastronomi e cuochi della storia, vissuto tra il 1500 ed il 1577 che fu, tra le altre cose, il cuoco di Papa Pio IV e Pio V, e autore di uno dei più celebri trattati di cucina di sempre, “L’Opera dell’arte di Cucinare”, ndr), che dimostrano come il legame tra cibo e territorio sia quasi naturale, e non nuovo. Scegliere i prodotti migliori designati dal luogo da cui provengono, è una pratica antica”, ha spiegato Montanari, che ha aggiunto: “ho scelto Scappi perchè impersona, in un modo perfetto, il modello italiano. È un modo di fare cultura del cibo fondato sulla condivisione delle diversità. E una risposta alla domanda: esiste una cucina italiana? C’è chi dice di no perchè ci sono tante realtà locali. Ma la cucina italiana esiste eccome, ed esiste da molto prima dell’Italia come Paese. Scappi lavora alla corte del Papa mentre scrive queste cose, è stato a Milano, Venezia, Bologna, conosce l’Italia, mette insieme ricette fatte con prodotti da tutta Italia. Esprime, quindi, una gastronomia nazionale fondata sulla sintesi della condivisione di realtà locali, prodotti e ricette. E questo è importante perchè ci permette di dire che la cultura, cioè la cucina, che è cultura, esiste prima dell’Italia. Paese che si è costruito sulla cultura - spiega Montanari - perchè gli italiani si sentivano italiani prima dell’Unità d’Italia, quando l’Italia non era espressione politica, neanche geografica, ma culturale, di un Paese che si sentiva unito perchè tra le sue parti c’era una rete di relazioni fatta di mercati, di saperi, di pratiche, di persone, di viaggiatori. A metà del Cinquecento, per esempio, l’umanista Ortensio Lando, nel “Commentario delle più ammirevoli cose d’Italia”, scrive qualcosa che assomiglia alla prima guida della storia, dove prende un viaggiatore immaginario che arriva da Oriente, e lo accompagna dalla Sicilia a Nord consigliandogli quello che si deve assaggiare, cibi e vini. Non è una guida come la intendiamo oggi - sottolinea ancora lo storico - ma c’è già l’idea che turismo e conoscenza si fanno anche così, attraverso il cibo ed il vino. È un modello culturale tipicamente italiano: l’Italia ha nella sua storia e nel suo presente una tale biodiversità di cose legate allo spazio, alla geografia, alle persone, come in nessun altra parte del mondo. Se la cucina italiana sia la più buona o no si può discutere. Ma è una certezza il fatto che la cultura italiana abbia una dislocazione territoriale forte come in nessuna altra parte del mondo, dalle opere d’arte alle specialità di eccellenza, che si trovano anche nel più minuscolo borgo, e questo che va salvaguardato. È il modello italiano, che funziona in un mondo globalizzato, dove la globalizzazione è soprattutto una opportunità, ma che comporta anche qalche rischio di omologazione. In Italia abbiamo, invece, tante diversità che non si omologano tra di loro.
Storicamente, il problema della rete culturale del cibo italiano, così come di altre rete culturali, è che le persone che formavano queste reti erano poche. Il loro numero è cresciuto dall’Ottocento in poi, con lo sviluppo della borghesia e non solo. E poi poi arriva Pellegrino Artusi, che si dedica non tanto ai prodotti, quanto alle ricette, che portano, però, con sè i prodotti. E, quindi, il ricettario di Artusi (La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, 1891, ndr) mette a disposizione degli italiani i saperi diffusi nel territorio. E dal Medioevo, a Scappi, ad Artusi il modello è sempre quello: mai omologazione e codificazione, ma racconto di quello che si fa in giro. E sono tante cose, e farle conoscere a tutti è un’operazione unificante che costruisce la cultura italiana. E tutto - sottolinea ancora Montanari - parte dal mondo contadino, dove c’è anche la cultura popolare. 100 anni fa era contadina il 70-80% della popolazione, e Pellegrino Artusi ebbe fortuna anche perchè ne rifletteva la cultura. Ma anche Scappi, che scriveva per gli aristocratici, riflette una cultura popolare, e questo - ha concluso Montanari - mi fa usare senza remore la parola “nazionale” quando si parla di cucina italiana, perchè la cucina ha messo insieme i territori e le culture stratificate, ed è per questo che nell’identità culturale degli italiani la cucina è così importante. Mille campanili e una voce, questo è il bello dell’Italia, una voce che no ne somma il valore, ma lo moltiplica, come fa la cucina con le realtà locali”.
E lo stesso, ovviamente, avviene anche per il vino, come spiegato da presideente degli enologi italiani (Assoenologi) Riccardo Cotarella. “La natura in Italia è stata poco generosa di oro, rame, materie prime e così via - ha detto il n. 1 degli enologi - ma abbiamo un tesoro di inestimabile valore come il vino. Che è inesauribile, che esiste da quando esiste l’uomo ed esisterà fino a quando esisterà l’uomo, una bandiera di ricchezza territoriale e biodiversità incredibile. Abbiamo questo tesoro, non ne abbiamo altri uguali. E spesso non ricordiamo cosa il vino rappresenta anche economicamente: dà da vivere a tante famiglie, c’è un indotto incredibile. Il vino non è un bevanda - ha sottolineato Cotarella - è un estratto di cultura di storia di tradizione ed innovazione. Ma non è stato sempre così. Negli ultimi 50 anni c’è stata una rivoluzione copernicana, e noi enologi ci sentiamo i protagonisti principali di questo rinnovamento. Prima c’era il vino bianco, il vino rosso, qualche rosato fatto un po’ così. Oggi il vino è una cosa seria. E quando parliamo di territori dobbiamo essere coscienti di un grave errore fatto, nel tempo. Io lavoro in tanti Chateaux in Francia, che mi chiedono di non parlare delle loro varietà, ma dei territori, perchè il vitigno si può riproduttore in molti luoghi, il territorio è irreplicabile. Perchè se non identifichiamo il vino con il territorio, non daremo a quel vino “nome e cognome”. Abbiamo tanti territori, trasversali, unici. Prendiamo la Toscana, per esempio: è piena di Sangiovese, un vitigno importantissimo - dice Cotarella - ci sono tante denominazione a base di sangiovese, ma si parla di Montalcino, di Chianti Classico, Montepulciano, di Chianti e così via, non del vitigno. E il consumatore vuole questo, perchè spende i suoi soldi e vuole sapere da dove viene il vino, e resta impressionato dai territori. Il vino non è un oggetto, ma un soggetto - ha aggiunto ancora Cotarella - ed il territorio è fatto di tanti elementi: il terreno, che è una base fissa, e poi tante varianti, dal clima alle persone. Oggi serve scienza, pura, in vigna e in cantina, per conoscere bene il terreno, le caratteristiche della vigna, e mitigare gli effetti del cambiamento climatico. Ma è fondamentale l’elemento umano, la cura maniacale che serve per fare il vino. Se guardate gli occhi di un produttore quando parla del suo vino è come quando parla di un figlio, così come di un vigneto, che nasce, cresce, viene curato. Ma tutto è nel legame del territorio. Nel mondo tutti invidiano il nostro Paese. Da qualche anno sentiamo la vicinanza della politica, non solo con i contributi economici al settore, che sono tanti, ma negli strumenti che danno operatività agli enologi, supporto ai produttori, sicurezza ai consumatori. E così il vino può essere davvero il nostro simbolo e la nostra bandiera del mondo”.
Riflessioni, quelle di Massimo Montanari e RIccardo Cotarella, che hanno arricchito il dibattito politico sul ruolo delle Dop e dei Consorzi di Tutela. “Si può parlare di “Dop Cultura” nei territori con una forte identità legata alle Indicazione Geografiche - spiega il direttore Qualivita, Mauro Rosati - e l’analisi che abbiamo portato avanti in questi anni con la Fondazione ci mostra come, in tali contesti, le Dop e Igp hanno preso parte al consolidamento della cultura civica e del capitale sociale inteso come l’insieme delle reti associative basate sullo sviluppo di norme e relazioni di fiducia nelle comunità”. A questo si aggiunge, naturalmente, il contributo dei Consorzi e delle imprese associate nell’affermare anche i valori legati ai fattori ambientali e paesaggistici, ai saperi e alle tradizioni produttive, all’innovazione del settore e alla formazione e all’educazione delle comunità”.
“I nostri prodotti di eccellenza sono frutto di tradizioni, territori e comunità agricole e sono convinto che questo accurato censimento dei prodotti Dop, Igp ed Stg - ha detto Stefano Patuanelli, Ministro delle Politiche Agricole - rappresenti un punto di riferimento per la conoscenza del nostro patrimonio alimentare che è alla base della promozione delle caratteristiche delle produzioni made in Italy nel mondo e contemporaneamente ne consente la trasmissione nel tempo, tramite l’educazione alimentare rivolta alle nuove generazioni. Queste azioni sono oggi fondamentali per difendere la nostra dieta mediterranea dagli attacchi di coloro che promuovono l’omologazione alimentare nel tentativo di imporre un’unica dieta a livello globale. Su questo tema ho sempre assicurato che il Ministero si opporrà in tutte le sedi comunitarie e internazionali a ogni possibile azione che possa danneggiare direttamente o indirettamente il nostro sistema agroalimentare”.
“L’Atlante Qualivita edito da Treccani - ha aggiunto Gian Marco Centinaio - Sottosegretario di Stato per le Politiche Agricole - è un importante lavoro enciclopedico che si è consolidato negli anni. Si tratta del primo e unico volume europeo dedicato ai prodotti agroalimentari e vitivinicoli italiani a denominazione e ha contribuito a far conoscere caratteristiche e particolarità delle nostre eccellenze. Un contributo prezioso che rappresenta, attraverso la creazione di banche dati storiche, anche una vera e propria forma di tutela del nostro made in Italy, tanto apprezzato nel mondo e per questo purtroppo anche oggetto di imitazione e italian sounding. Motivo per cui, quanto prima, renderemo operativa al Ministero una task force ad hoc permanente per la sua difesa”. “Gestire l’offerta - ha detto ancora Paolo De Castro, presidente Comitato Scientifico Qualivita ed eurodeputato - sarà la principale scommessa che i produttori e i Consorzi di tutela potranno fare con se stessi e con il mercato. Con la Politica Agricola Comune appena approvata, che entrerà in vigore nel 2023, l’Unione Europea e l’Italia, in particolare, avranno, infatti, la possibilità di regolamentare l’offerta di tutti i prodotti agroalimentari a Denominazione di Origine e Indicazione Geografica Protetta quale estensione di una norma che, finora, permetteva di programmare l’offerta solo per alcune categorie di alimenti come formaggi e salumi. E questa è una novità di grande rilievo, che consentirà di difendere i redditi degli agricoltori e sostenere la crescita di queste produzioni di eccellenza nei mercati esteri. Un capitale intellettuale fatto di materie prime e di risorse umane che le lavorano fra tradizione e innovazione, come riportato anche nella nuova edizione dell’Atlante Qualivita, edita da Treccani, e che consentirà di portare sulle nostre tavole sempre più cibi certificati, in termini di sicurezza e riconoscibili dai consumatori.
“Con questa nuova edizione, rivista ed ampliata, dell’Atlante Qualivita - ha sottolineato Massimo Bray, dg Treccani - si conferma la volontà di Treccani di accompagnare in un percorso di promozione e divulgazione uno strumento prezioso di conoscenza del ricchissimo patrimonio di eccellenze enogastronomiche italiane. A muoverci è la convinzione che le varietà enogastronomiche del nostro Paese rappresentino uno degli elementi costitutivi del patrimonio culturale nazionale, da tutelare in ogni sede, oltre che una leva potentissima di promozione dell’immagine dell’Italia nel mondo come sinonimo di qualità e attenzione alla sostenibilità ambientale e sociale. Ciascuna delle oltre 800 schede che costituiscono il cuore del volume - e che collocano questo insieme straordinario di prodotti su una mappa del capitale non solo economico, ma anche sociale e culturale in Italia - ci ha permesso di compiere, tappa dopo tappa, un viaggio attraverso un territorio ricco e variegato, modellato nei secoli dalla mano dell’uomo e custode di un sapere e di un saper fare che hanno visto nella produzione alimentare uno sbocco privilegiato. Un viaggio che speriamo possa, attraverso l’Atlante Qualivita, coinvolgere un pubblico sempre più ampio e diventare progressivamente sapere diffuso e condiviso”.
“È sempre più importante che strumenti come l’Atlante Qualivita – ha spiegato Cesare Mazzetti, presidente Fondazione Qualivita - diffondano informazioni sul sistema delle Indicazioni Geografiche e sugli effetti positivi che hanno sulla nostra società, specialmente in un momento delicato come quello attuale, in cui purtroppo assistiamo spesso a strumentali tentativi di screditamento e indebolimento - come avviene, ad esempio, con l’etichettatura Nutriscore - a vantaggio di sistemi e tecnologie produttive industriali e globalizzanti. Come Qualivita proseguiamo il nostro percorso di valorizzazione delle produzioni Dop e Igp e diffusione della conoscenza del settore, anche grazie a collaborazioni importanti come quella con Treccani, certi che questa sia la strada giusta per affermare un modello che ha dimostrato di sapere garantire qualità, trasparenza e sostenibilità”. “Treccani è uno ormai un riferimento di valore assoluto a supporto delle Dop e Igp nazionali. Da un lato rappresenta uno strumento consolidato a tutela delle filiere Dop e Igp e dei cittadini sempre più sotto attacco a livello internazionale. Dall’altro è una fotografia profonda del ruolo delle Indicazioni Geografiche e dei Consorzi di tutela lungo tutta la penisola: presidio dei territori e possibilità, attraverso i disciplinari di produzione, di introdurre regole che possono facilitare il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi posti dalla sfida della transizione ecologica e dal Green Deal”, ha concluso Cesare Baldrighi, presidente di Origin Italia.
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