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LO STUDIO

La filiera di vino, spiriti e aceti in Italia vale 21,5 miliardi di euro, e guarda al futuro

I numeri e le tante sfide di un settore che continua ad investire e creare benessere diffuso nell’indagine Nomisma by Federvini
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Vino, spiriti e aceti in Italia valgono 21,5 miliardi di euro (ph: Depositphotos)

Oltre 2.340 imprese (38.000 considerando anche quelle agricole di trasformazione), 21,5 miliardi di euro di fatturato diretto, 10 miliardi di euro di export (di cui l’80% concentrato tra Europa e Nord America, e con un saldo attivo di oltre 8 miliardi), 1 miliardo di euro portato nelle casse del Fisco (il 73% derivanti dalle accise sui prodotti intermedi, il 26% dalle imposte sul reddito delle imprese e l’1% dai contrassegni di stato), a cui si aggiunge un’Iva al consumo per vino, spiriti e aceti di 3,2 miliardi di euro: sono i valori più importanti che emergono dallo “Studio di Filiera”, per i settori Vini, Spiriti e Aceti, realizzato da Nomisma per Federvini e presentato oggi alla Camera dei Deputati, a Roma. Altrettanto rilevanti i valori sotto il profilo occupazionale: a fronte di 81.400 lavoratori direttamente occupati dalle imprese dei tre settori, grazie ad un effetto moltiplicatore pari a 5,8, se ne attivano oltre 460.000 nell’intero sistema economico nazionale che corrispondono a quasi il 2% del numero complessivo di lavoratori in Italia.
“Questo studio mette in luce la dimensione straordinaria raggiunta, nel complesso, dalle filiere che rappresentiamo, le quali assumono un rilievo strategico per il sistema economico italiano con un valore aggiunto superiore ai 20 miliardi di euro all’anno ed un export che movimenta 10 miliardi di euro. Comparti meritevoli della massima considerazione e del più attento supporto istituzionale, costituiti da imprese impegnate ogni giorno nel valorizzare prodotti di qualità, frutto del lavoro e della dedizione di imprese sane e dinamiche” ha commentato Micaela Pallini, presidente Federvini. “I produttori di vini, spiriti e aceti esprimono un patrimonio di cultura, di storia, di economia e di lavoro che produce benessere per le comunità locali e che, investendo in innovazione, sostenibilità e ricerca, contribuisce alla crescita del nostro Paese ed a far sì che lo stile di vita italiano sia così apprezzato nel mondo. Imprese che ancora oggi sono molto esposte a incertezze di natura geopolitica, normativa, commerciale, inflattiva. Pensiamo solo ai recenti problemi nel Mar Rosso, che hanno già fatto tornare a crescere notevolmente il costo dei noli marittimi. La difesa di questo patrimonio del made in Italy, con la sua storia, cultura e reputazione, è una responsabilità tanto degli imprenditori, con le loro organizzazioni di rappresentanza, quanto delle istituzioni. Ieri siamo stati ricevuti da Papa Francesco, ci ha detto che vino, terra e abilità agricola sono doni che Dio ha affidato alle persone per portare gioia a tutti. Ha parlato di attenzione all’ambiente, alle sane abitudini di consumo, al rispetto: valori che riflettono il nostro modo di essere aziende di questo settore”.
La fotografia evidenzia il rilievo strategico che le “filiere Federvini” giocano per il “Sistema Paese” sotto il profilo economico. I tre settori generano difatti sul territorio nazionale un valore aggiunto, inclusivo anche delle componenti indirette e indotte, pari a 20,5 miliardi di euro, corrispondenti all’1,5% del Pil nazionale. Di questi, 4,9 miliardi sono riconducibili all’effetto diretto (attribuibile alle imprese dei comparti attraverso la propria attività di produzione), 9 miliardi sono imputabili all’effetto indiretto (prodotto dai diversi fornitori attivati e dalla domanda generata a loro volta dai fornitori, di cui il 26% all’agricoltura, settore che ne beneficia di più, poi vengono consulenze e servizi, al 16%, e trasporti e logistica, 12%) e 6,6 miliardi all’effetto indotto, ovvero quello generato dall’incremento di reddito percepito da tutti i soggetti coinvolti a vario titolo nel processo economico (di cui il 25% attività immobiliari ed il 17% tra commercio al dettaglio e Horeca). Ancora, in termini di export, spiega la ricerca, i comparti di vino, spiriti e aceti italiani ricoprono un rilievo importantissimo, non solo in merito all’incidenza sulle vendite oltre frontiera del food & beverage (19%), ma soprattutto per il contributo positivo alla bilancia commerciale agroalimentare: 8,4 miliardi di euro di saldo commerciale aggregato netto, l’apporto più alto tra i prodotti italiani del food & beverage. Il nostro Paese è oggi il primo esportatore mondiale a valore di aceti, con una quota sull’export globale del 37%, nonché di vermut (34%), il secondo di vini fermi imbottigliati (22%, contro il 29% della Francia), e degli spumanti (25%, contro il 52% della Francia) e liquori (14%). Nel complesso, negli ultimi dieci anni l’Italia ha conosciuto una crescita del valore sui mercati esteri di oltre il 76%.
“Grazie alle proprie attività di produzione e agli approvvigionamenti di materie prime e servizi - spesso di provenienza locale - le imprese delle “filiere Federvini” rivestono un ruolo economico di primissimo piano per il nostro Paese, attivando valore in molteplici settori economici, dall’agricoltura alla logistica, passando dal commercio al dettaglio all’horeca ed al settore immobiliare. Ogni euro di valore aggiunto direttamente generato dalle imprese dei settori vini, spiriti ed aceti crea ben 4,2 euro nell’intera economia nazionale grazie agli impatti indiretti e indotti su altre filiere del made in Italy”, ha dichiarato Emanuele Di Faustino, responsabile Industria Retail e Servizi Nomisma. “La continuità del contributo strategico che le “filiere Federvini” forniscono al sistema Paese è, però, messa a dura prova dalle sfide legate all’incerto scenario macroeconomico e geopolitico internazionale. Basti pensare alla recente crisi del Mar Rosso oppure all’indagine antidumping sui distillati europei da parte della Cina, aspetti che potrebbero incidere in maniera importante anche sull’export italiano. Non c’è solo questo: pensiamo anche alla crisi demografica. L’Italia, per esempio, invecchia - ha sottolineato Di Faustino - velocemente: nel 2050 ci saranno 5 milioni di persone in meno e gli over 65 passeranno dal 28% al 42% della popolazione, con i giovani che, peraltro, hanno modelli di consumo totalmente diversi rispetto alle generazioni passate. Ma ci sono anche tanti aspetti positivi. La qualità percepita è elevata, aree del mondo come Medio Oriente, Africa e America Latina, oggi marginali, possono crescere tanto, ed inoltre il turismo che cresce è una leva da attivare, così come la crescita degli investimenti in sostenibilità ambientale e sociale”.
Di sfide per il settore, in collegamento da Bruxelles, ha parlato anche l’eurodeputato Paolo De Castro: “sfide che non finiscono mai, siamo in piena battaglia. Abbiamo messo a fuoco nel bilaterale con il Commissario all’Agricoltura Janusz Wojciechowski, la tematica dell’etichettatura che ha preoccupato le imprese. Il Commissario si è impegnato a chiarire che il rispetto dell’Ocm Vino non obbliga nessuno ad andare oltre quanto già previsto. Quando portammo a casa il risultato dell’Ocm nella Pac la volontà era chiara: non creare difficoltà ai produttori con la traduzione di tutti gli ingredienti in tutte le lingue dell’Unione Europea, calorie e Qr Code in etichetta bastano. Se il Commissario, come si è impegnato a fare, chiarirà questo con un suo statement, sarà un passo importante. Ma ci sono le pressioni salutistiche sempre presenti, per esempio - ha detto De Castro - idee di un’etichettatura che evoca allarmi per la salute, come fatto dall’Irlanda, e speriamo che non sia un precedente per altri, perché nei Paesi del Nord Europa l’approccio è diverso da quello Mediterraneo. Insomma, le sfide sono tante. La Commissione tra poco finisce il suo mandato, il Parlamento va in voto a giugno, è importante capire che, nei prossimi mesi, ci giocheremo tutto, e sarà fondamentale avere un Commissario all’Agricoltura capace di bilanciare le pressioni salutistiche e ambientaliste che sono fortissime in Europa, e fino ad oggi non è stato così. Ed è anche questo uno dei motivi delle proteste che vediamo in tutta Europa, c’è un malessere profondo perché gli agricoltori hanno la percezione di una Commissione Europea nemica dell’Agricoltura. Non ci sono provvedimenti specifici che preoccupano,  ma una sensazione generale che preoccupa e di cui dobbiamo tenere conto”.
“Avere la possibilità che queste filiere del vino, degli spiriti e degli aceti, siano percepite dalle istituzioni per quello che sono, al di là del loro valore immateriale è importante. Il punto cardine del nostro ragionamento di Federvini, da decenni - ha detto il vicepresidente Piero Mastroberardino, produttore di vino in Campania - è il recupero del valore, senza perdere la consapevolezza dell’aspetto quantitativo, che ha anche un valore sociale importante, perché sono filiere innervate nel sistema Paese, vitali per le comunità locali, che contano tanto. Ma la turbolenza che si registra in agricoltura in Europa, anche con atti violenti di alcuni elementi della filiera del vino in Francia, devono far riflettere. La competizione mondiale è sempre più forte, anche i mercati emergenti ormai sono maturi, l’offerta del vino ormai viene da tutto il mondo. Ma c’è un tema che è il tempo del ritorno degli investimenti: oggi il mondo ragiona a 3 mesi, in finanza, il vino ragiona a 20-30 anni. E quando la finanza, per esempio, un fondo, entra in un’azienda, chiede di dividere gli asset agricolo e commerciale. Ma è un controsenso rispetto a quello che ci diciamo, che il recupero del valore va fatto nella parte agricola in primis. Federvini ha sempre chiesto alle istituzioni di liberare risorse, che è l’unico modo per essere competitive. Eliminare ridondanze, togliere le cose che non servono o che rifacciamo uguali più e più volte anche a livello burocratico. Poi c’è il tema della promozione: aiutiamoci a recuperare competitività senza farci del male, usiamo regole almeno alla pari con gli altri Paesi europei. Ed ancora, il tema della marca, che, per le nostre imprese, al 95% è legata alla famiglia e alla familiarità dell’azienda. Ma una cosa è fondamentale: mettere a fattore comune la diversità dei territori, perché se ci facciamo la guerra sui prezzi in casa non ne usciamo, soprattutto ora che ci siamo accorti che il calo dei consumi è un tema strutturale. Bisogna unirsi intorno ai leader che creano valore, utilizzare il loro effetto boost, non il contrario”. In ogni caso, pur tra mille difficoltà, le imprese della filiera continuano ad investire in sostenibilità a 360 gradi, ambientale, sociale ed economica. “Oltre il 90% delle imprese dei tre comparti intervistate ha sostenuto negli ultimi tre anni investimenti, oltre che per l’acquisto di beni strumentali, anche a sostegno della sostenibilità ambientale (packaging sostenibili, riduzione dei consumi di acqua, produzione dell’energia rinnovabile) e sociale (attività culturali, selezione dei fornitori locali, iniziative umanitarie), della formazione del personale e della ricerca e sviluppo per nuovi prodotti. Questo ruolo attivo verso la sostenibilità trova conferma nell’85% della popolazione italiana che ritiene come le imprese di vini, spiriti ed aceti contribuiscano positivamente allo sviluppo economico dei territori nei quali sono insediate oltre che al rafforzamento dell’immagine del made in Italy all’estero. Una reputazione che, per 7 italiani su 10, deriva anche dal contributo positivo dato dai vigneti nella tutela del paesaggio italiano, nel salvaguardare le aree rurali prevenendo l’erosione dei suoli e nel favorire il turismo” ha sottolineato Denis Pantini, responsabile agroalimentare Wine Monitor Nomisma.
Numeri e riflessioni che raccontano di un settore che guarda al futuro, senza dimenticare il suo passato e chi lo ha aiutato a diventare grande ed importante, come il Cavalier Ezio Rivella, tra i padri dell’enologia moderna e pioniere che, con Castello Banfi a Montalcino soprattutto, ma non solo, ha portato il vino italiano da prima in Usa, e poi nel mondo, e ricordato in chiusura dalla presidente Federvini, Micaela Pallini, che lo ha definito “maestro del valore”. Le cui lezioni, ancora oggi, sono più attuali che mai.

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