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VINO E POLITICA

La nave del vino made in Italy tra le acque incerte dell’Italia, e quelle agitate dell’Europa

Salute, etichettatura, promozione e clima: tutti i nodi da sciogliere al centro degli “Stati Generali del Vino” di scena oggi a Roma
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Il vino made in Italy pensa al suo futuro (ph: Freepik)

La riforma delle Dop e Igp che riguarda anche il vino, che dovrebbe chiudersi entro il 24 ottobre sotto presidenza spagnola; il tema degli healt warning irlandesi che, al di là dei danni diretti a vino e alcolici in genere, rappresentano un vulnus alle regole del mercato unico; le risorse Ocm Vino, il loro utilizzo e la loro efficacia, in qualche modo minata dalla burocrazia italiana da un lato, e messe in discussione, in altro modo, a livello Ue; ma anche una direttiva sul packaging e sul riuso degli imballaggi che si spera non vada in porto e venga rivista, perché a detta di molti creerebbe più danni (anche ambientali) che vantaggi, così come alcune norme sui fitofarmaci in agricoltura, ma anche l’obbligo delle indicazioni nutrizionali in etichetta, che entrerà in vigore dall’8 dicembre, e che sembrava risolto con il “Qr code” ed il digitale, e che invece viene rimesso in discussione; e ancora, il ritorno del tema del “no safe level” del consumo di alcolici, che non distingue tra abuso (da combattere) e consumo moderato e consapevole (da divulgare), che torna ad aleggiare come uno spettro mai domo su un settore che, come è stato ricordato ancora una volta, da tutti, è tradizione, storia, cultura, economia, qualità, territorio, innovazione, ricerca e molto altro. È un mare di acque agitate, per la nave del vino europeo, quello delineato negli “Stati Generali” del vino, oggi a Roma, un confronto tra rappresentanti di Governo, istituzioni Ue, Regioni e stakeholders, voluto dalla Rappresentanza in Italia del Parlamento europeo e della Commissione europea (anche in vista della campagna elettorale per la tornata europea del 2024), dove sono stati messi sul piatto tanti temi, da europarlamentari, rappresentanti della filiera italiana del vino (da Albiera Antinori per Federvini a Lamberto Frescobaldi per Unione Italiana Vini - Uiv, da Luca Rigotti per Allenza delle Cooperative a Lorenzo Cesconi per la Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti - Fivi, a Riccardo Cotarella - Assoenologi, fino a Massimiliano Giansanti e Ettore Prandini, guide rispettivamente di Confagricoltura e Coldiretti, tra gli altri), in un incontro aperto dal Ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, che, tra le altre cose, ha annunciato anche uno stanziamento di 7 milioni di euro, oltre a quello giù sul piatto, per aiutare le aziende colpite dalla peronospora.
“Il vino va difeso, fa parte della nostra cultura, come ho potuto anche toccare con mano visitando il meraviglioso Museo del Vino di Torgiano della famiglia Lungarotti. Dobbiamo guardare al futuro, e non a caso - ha detto Lollobrigida - abbiamo accelerato sulla sperimentazione sulle Tea, per i vitigni resistenti, così come dobbiamo migliorare sulla promozione. Abbiamo ricevuto critiche per il bando Ocm e per la questione della presentazione dei tre preventivi per ogni azione (cosa che, secondo il presidente del Consorzio Doc Sicilia, Antonio Rallo, “per il timore di sanzioni che ancora non si conoscono nei meccanismi e nella portata, per altro, ha limitato gli investimenti tanto di imprese che di consorzi”, ndr). Rispondo che abbiamo lavorato nel segno della trasparenza, perché sennò rischiamo di perdere risorse in Europa, ma dico anche che siamo pragmatici, e se per un’azione non si possono presentare tre preventivi perché tre fornitori non ci sono, il contributo arriva lo stesso”. Argomentazione che non ha convinto più di tanto, ma che si è persa tra i tanti temi, importanti, messi sul piatto.
A partire dalla recente relazione della Corte dei Conti Ue sull’efficacia, in termini ambientali, delle risorse dell’Ocm Vino, le cui conclusioni sono state criticate all’unanimità (come riportato qui) ma non solo.
“Abbiamo avuto un periodo difficile - ha detto per esempio l’eurodeputato Herbert Dorfmann, membro della Commissione Agricoltura - abbiamo superato l’allarme sulla commissione Beca, nel quadro della lotta al cancro, dove non si distingueva tra uso e abuso di alcol, ma ora su questo tema sono tornate a lavorare altre commissioni sul tema della salute. E legato a questo, sugli healt warning irlandesi, di cui si parlerà ancora nella legislatura che inizierà nel 2024, dico che il rischio vero non è tanto l’Irlanda, ma che altri Paesi seguano il suo esempio, mettendo a rischio l’immagine del vino e non solo, ma soprattutto la tenuta delle regole del mercato unico”.
Altro tema che sembrava superato, e ora viene rimesso in discussione, nel quadro della riforma del regolamento su Dop e Igp, è quello del ruolo dell’Euipo in tema di modifiche ai disciplinari, come ricordato dal presidente Federdoc, Giangiacomo Gallarati Scotti: “siamo alle battute di arrivo con una buona sintesi, anche grazie al lavoro del relatore Paolo De Castro, ma ora pare che la Commissione voglia tornare su cose per noi già sistemate, il ruolo della Euipo, che per noi non ha capacità di intervenire sul sistema delle denominazioni, e sul quale vogliamo che ci sia competenza esclusiva della Commissione. Salvaguardato anche le specificità dell’Ocm Vino, e lavoriamo sul tema della promozione, che deve essere continuativa”. “Questo in Europa è un momento importante, non solo per la riforma del regolamento Dop e Igp - ha detto lo stesso Paolo De Castro, che ne è relatore - la situazione non è facile per ragioni culturali, il Nord Europa ha un approccio diverso dal nostro, mediterraneo, al consumo di alcol, e non è sotto scacco il vino in particolare, ma anche la birra di cui l’Irlanda è grande consumatrice e produttrice, e tutti gli alcolici, perché si lotta contro un modello di consumo diverso. E ci sono tante insidie anche su temi che sembravano chiusi. Per esempio, sul tema dell’etichettatura e dei valori nutrizionali, dove si era arrivati al “Qr code” e al digitale per evitate mille scritte, peraltro da tradurre in tante lingue, in etichetta. Ora le ultime linee guida a cui sta lavorando la Commissione potrebbero tornare indietro e dire che non basta il “Qr code”, e questo ci spaventa molto. In generale - dice De Castro - c’è pressione su prodotti alcolici, e anche sul vino. In una fase in cui peraltro il mercato non sta benissimo. Ma il vino resta un settore fondamentale, economicamente e anche a livello ambientale, e dobbiamo continuare ad investire e spero che spingeremo tutti sulle Tea. Sul tema della riforma del regolamento su Dop e Igp stiamo lavorando bene, speriamo di chiudere entro ottobre, sotto presidenza spagnola, ci sono tante migliorie, dalla semplificazione, al ruolo dei consorzi, alla non sovrapposizione di denominazioni a menzioni tradizionali come nel caso Prosek, e non solo”.
Ma sul piatto ci sono tanti altri temi, come sottolineato dal presidente Confagricoltura, Massimiliano Giansanti. “Il vino è un settore straordinario, i nostri prodotti sono in ogni parte del mondo, ma abbiamo tante sfide da affrontare, a partire da un mercato che si segmenta sempre di più, con i giovani che guardano sempre più spesso a prodotti dealcolati, anche in Canada, per esempio, dove si parla di linee guida analoghe a quelle seguite in Irlanda. C’è poi il tema del cambiamento climatico: la stagione che stiamo terminando con la vendemmia - ha detto Giansanti - non è positiva per molti aspetti, ma si deve intervenire a livello legislativo prima possibile, per l’adozione delle Tea, che per esempio avrebbero permesso di limitare molto le perdite legate alla peronospera. E poi vanno ripensate alcune strategie. In quest’annata il bio ha avuto molti più trattamenti del convenzionale, Agrofarma ci dice che oggi con le politiche Ue di taglio di agrofarmaci e pesticidi dovremmo ridurre del 70% la produzione di vino, per esempio. C’è il tema del packaging, che ci dice di recuperare cartone e bottiglie nel mondo: sono tutte cose complesse, da capire e discutere, con buon senso, pensando che non esiste la perfezione in Ue e l’imperfezione fuori, e che la competizione è feroce nei mercati. Dobbiamo riprogrammare il nostro percorso, e se non lo facciamo quest’anno che non siamo guidati dall’euforia che a volte fa trascurare i problemi, non lo facciamo più”.
Cosa non semplice, in un’organizzazione complessa come quella Unione Europea, come spiegato dall’eurodeputato Nicola Procaccini, membro della Commissione Ambiente. “Dove c’è meno trasversalità rispetto a quella della Commissione Agricoltura: purtroppo la Commissione Ambiente è permeata di una componente ideologica più forte e questo rende più difficili dialogo e comprensione, e trovare delle sintesi di buonsenso. Sul tema packaging, io spero che il provvedimento non arrivi a conclusione in questa legislatura, perché spero che la prossima recuperi il buonsenso che si è perso. Penso al rischio di perdere le conquiste sull’economia circolare, raggiungendo come nel sistema italiano grandi risultati sul tema del riciclo, costringendo anche le famiglie a fare la differenziata: oggi si dice che è tutto da rifare, che è roba vecchia, non green abbastanza, e che si deve andare sul riuso, che peraltro non sempre è possibile e praticabile, e spesso è complicato. Non ci sono due punti di vista, uno pro ambiente e uno contro l’ambiente. C’è la differenza tra un ambientalismo più ideologico, che a volte vede l’agricoltore come minaccia per l’ambiente, che è illogico, ed uno più pragmatico”. “Apprezzo quello che dice l’eurodeputato Procaccini, siamo un settore fortunato, che, negli ultimi 40 anni, ha fatto tanto - ha sottolineato Albiera Antinori, alla guida del Gruppo Vino Federvini e di una delle imprese più importanti del vino italiano, come Marchesi Antinori - ha portato benefici ad aziende, ma anche a territori, sicurezza economica per tanti. Ma c’è un’accelerazione sul voler fare norme su norme, magari anche per l’obiettivo giusto della sostenibilità, che per noi è fondamentale perché la terra la teniamo per generazioni, ma non può partire un treno normativo ogni giorno, a volte con cose incomprensibili, a volte senza senso. Come si fa a pensare di recuperare il 10% del vetro che va in tutto il mondo? Oppure l’etichetta: c’è il “Qr code”, come si fa a pensare che con etichette già stampate, di carta, si possa rispondere meglio e più velocemente che con il digitale? E se c’è un piano europeo - ha detto Antinori - non ci scordiamo le cose sul piano italiano. Facciamo la certificazione di sostenibilità nazionale, i monopoli ce la chiedono. Il catasto digitale dei vigneti: nel 2023 gli strumenti ci sono. Sulla parte promozione, sulla questione dei “tre preventivi”, dico: se vogliamo sburocratizzare facciamolo, perché se si continua a creare carta, non si crea valore, da redistribuire lungo la filiera, che è l’obiettivo vero e condiviso”. Per Ettore Prandini, presidente Coldiretti, è fondamentale che “invece di parlare di autonomie regionali, si metta in campo una politica agricola nazionale coordinata, anche nella promozione del vino, sul modello di Sopexa dei francesi”.
“L’eccesso fa male? Siamo pronti a lavorare con la Commissione per un claim unico a livello europeo, all’interno della norma vitivinicola, senza ricorrere a soluzioni allarmistiche, Nutriscore o, peggio ancora, lasciare che ogni Stato membro, decida da sé, come ha fatto l’Irlanda”, ha detto Lamberto Frescobaldi, alla guida del Gruppo Frescobaldi, altra “ammiraglia” del vino italiano, e di Unione Italiana Vini (Uiv). Che ha aggiunto: “nel mondo si stappano 37 miliardi di bottiglie di vino, con una domanda cresciuta del +27% negli ultimi 20 anni, è stato straordinario. Ora da qui al 2035-40 la crescita rallenterà, sarà del +7%, ci vuole un attimo di riflessione. L’età media si alza, cambia la cultura del mondo, lo stile di vita, quindi la crescita sarà più lenta, ma non per questo non serviranno aiuti puntuali per sostenere la competitività del settore, con risorse adeguate. C’è un vigneto Italia molto vecchio, per esempio, con difficoltà gestionali grandi per la scarsa possibilità di utilizzare macchine, c’è il rischio di abbandono di alcune zone. Speriamo non siano quelle collinari e di montagna, fondamentali anche per salvaguardia del territorio. Oggi, con i consumi in contrazione su scala globale, ribadiamo la necessità di contingentare la produzione - ha detto Frescobaldi - anche attraverso la riforma del sistema di assegnazione per le autorizzazioni di nuovi impianti: non è più accettabile una distribuzione a pioggia di nuovi vigneti per un totale di quasi 7.000 nuovi ettari l’anno. Le autorizzazioni dovrebbero invece insistere nelle aree più competitive, che non generano giacenze e secondo seri criteri di ammissibilità e priorità, anche basati su aspetti ambientali”. Sul capitolo sostenibilità del vino, il presidente Uiv sollecita passi avanti in sede europea: “sappiamo che la Commissione Ue sta lavorando a una norma quadro: è una buona notizia perché il nostro settore ha la maturità per poter disporre di una norma europea specifica in materia di sostenibilità. Al contempo - ha aggiunto Frescobaldi - vi è anche la necessità di veder armonizzate le regole attraverso uno standard unico e non - è il caso attuale anche in Italia - definite secondo variegate norme e standard privati e altrettanto variegati loghi e certificazioni”.
E se a portare la voce dei piccoli produttori è stato Lorenzo Cesconi, presidente Fivi (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti), “orientati per forza di cose a qualità ed eccellenza, con l’Horeca unico canale possibile, e con un export che rimane fondamentale, perché è diversificazione di mercato e possibilità di crescita”, secondo Tommaso Battista, presidente Copagri, “il mondo del vino sta attraversando una delicata situazione di mercato che, in particolare in alcune Regioni del Paese, sta causando un rallentamento delle transazioni economiche e generando preoccupazioni rispetto alle prospettive commerciali; tale congiuntura, aggravata dai noti incrementi dei costi di produzione, dall’andamento dell’inflazione e, soprattutto, dalla ripercussioni della peronospora, sta mettendo a rischio la tenuta economica delle piccole e medie imprese del settore”.
A tirare le somme è stato Luca Rigotti, alla guida della cooperativa trentina Mezzacorona, e coordinatore del settore vitivinicolo dell’Alleanza delle Cooperative Italiane e presidente del Gruppo di Lavoro Cogeca Settore Vino: “sul tema Irlanda, il grave è la lesione dell’unità dell’Ocm, dell’Organizzazione comune di mercato. Servono regole uguali per tutti gli Stati - ha detto Rigotti - altrimenti si vanifica il lavoro fatto fino ad oggi: stabiliamo standard elevati, ma con regole uguali per tutti. Poi si torna a parlare di “no safe level”, nel consumo di alcol e di vino, e questo non va bene. Dobbiamo lavorare sulla cultura del bere moderato. Come non va bene mettere gli agricoltori tra coloro che sono imputati di distruggere l’ambiente: non è vero. In vigna da anni si lavora sulla sostenibilità, dove c’è vino e agricoltura, c’è economia, c’è benessere, c’è territorio. E dobbiamo pensare al futuro, con più trasparenza, dobbiamo pensare al supporto all’export, nei mercati nuovi ma anche in quelli consolidati, dove si fanno i numeri veri. Spero che in futuro costruiremo una visione di vino italiano come prodotto salubre. E serve al più presto lo standard unico di certificazione di sostenibilità nazionale, per distinguere il vino italiano a livello internazionale”.
A dire la loro, tra gli altri, anche i vertici di Consorzi importanti, come quelli del Prosecco Doc e del Pinot Grigio delle Venezie. Albino Armani, ai vertici del secondo, ha sottolineato come “il ruolo del consorzio non è solo tutela e promozione: deve essere un incubatore di idee, di condivisioni di progetti pluriennali, non si può pensare a obiettivi “isterici”, o annuali, puntuali con 27.000 ettari da gestire. Tracciabilità e trasparenza sono fondamentali per la costruzione di valore, e anche per questo penso che si possa pensare di aprire a sistemi di controlli reciproci internazionali: non temiamo di far vedere agli altri cosa facciamo, siamo virtuosi, ma vogliamo vedere anche cosa fanno gli altri”.Luca Giavi, direttore Consorzio del Prosecco Doc, si è focalizzato sul tema della tutela internazionale, partendo dal caso Prosek croato. “Del Proseck il problema non sono le 20.000 bottiglie croate, ma la difesa della denominazione. Due mesi fa eravamo alla Corte Suprema a Singapore, il Governo ha riconosciuto “Prosecco” come denominazione, l’Australia ha fatto ricorso perché lo considera una varietà d’uva, e ha vinto il primo grado. E gli avvocati, per vincere questo ricorso, hanno guardato anche a siti di produttori italiani che ancora indicano Prosecco come varietà. Quindi prima dobbiamo fare i compiti a casa. Ma al di là di questo, come possiamo pensare che un giudice extra Ue ci dia ragione quando la Commissione Ue consente ad uno Stato membro di utilizzare il termine Prosek? Il giudice dirà che prima dobbiamo mettere a posto le cose a casa nostra. È una questione che doveva essere risolta già, probabilmente si aspetta che la nuova normativa Dop e Igp dirima la questione in maniera definitiva. E sul mercato dico: calma a parlare di crisi. I numeri sono negativi, ma vanno letti alla luce di risultati fuori norma nel 2022, legati ad un’euforia del post Covid che ha portato a risultati economici davvero straordinari”.

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