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La Nazione

Il brindisi del secolo ... Un vino memorabile, per le grandi occasioni, da collezione: così sarà il '97. Il debutto ufficiale dell'annata del secolo, nei giorni scorsi, a Montalcino. Davanti a "Sua Maestà", una platea d'eccezione: operatori italiani e esteri, stampa e critica enologica, da tutto il mondo (c'era addirittura il primo ministro belga Guy Verhofstadt). Questa vendemmia, che molti produttori assicurano sia la migliore della loro vita, avrà una tiratura di 4,5 milioni di bottiglie di Brunello, uno dei simboli dell'Italia nel mondo (Biondi Santi, lo storico marchio del Brunello di Montalcino, è entrato nella rosa di aziende selezionate da Altagamma, associazione che riunisce i più bei nomi del "made in Italy", da Gucci, a Ferragamo, da Versace a Valentino, da Tod's a Ferrari). Tutte bottiglie che andranno, dai 30 ai 60 Euro. Ma c'è da scommettere che i cru più blasonati, spunteranno cifre ben superiori. Come del resto avranno stime importanti, nelle aste, nei prossimi anni, le 8.994 bottiglie di Brunello "etico" firmate da Fernando Botero. Questi "pezzi unici da collezione" non saranno però in vendita: fanno parte di uno stock eccezionale già venduto "en primeur" (con 1.499 "certificati di proprietà") in favore delle popolazioni colpite dal sisma in Umbria e Marche. La qualità di un'annata come quella del '97 non nasce da motivi commerciali o promozionali, ma soprattutto in vigna e, soprattutto, per le volontà di "madre natura": "nel '97, le viti hanno beneficiato - spiega Stefano Campatelli, agronomo e direttore del Consorzio del Brunello di Montalcino - di un andamento stagionale molto favorevole, dopo la gelata del 18 aprile che ha determinato una notevole riduzione delle quantità. Dalla tarda primavera fino alla raccolta, quando si sono avute giornate molto soleggiate da agosto in poi, intervallate da sufficienti precipitazioni, il clima è stato ideale, consentendo alle uve di raggiungere una maturazione uniforme e un po' precoce (una ventina di giorni d'anticipo)". Montalcino non ha poi soltanto festeggiato il '97, definita "annata del secolo", ma anche un 2001, che promette bene. Prosit!

In principio fu il vermiglio

Il Brunello è la massima espressione enologica di una terra che vanta, da secoli, grandi tradizioni vitivinicole. Storicamente è il discendente diretto del "vermiglio", largamente prodotto nei vigneti terrazzati delle colline di Montalcino dal Duecento al Cinquecento. Nel Seicento, il letterato Leandro Alberti loda Montalcino "per li buoni vini" ma è nel Sette-Ottocento che assume una rinomanza nazionale soprattutto per la qualità dei suoi "moscadelli", che il poeta Redi destinò alle delizie delle dame. Il Brunello, enologicamente, nasce invece intorno alla fine dell'Ottocento ad opera di Ferruccio Biondi Santi, grazie anche a ricerche, studi ed esperimenti in atto da anni da parte di un gruppo di viticoltori locali (Santi, Costanti, Anghirelli, Galassi). Ferruccio Biondi Santi, attraverso la selezione clonale del vitigno Sangiovese, ottenne un prodotto di grande qualità, con caratteristiche di vino da lungo invecchiamento, che chiamò "Brunello" (quasi sicuramente un nome di fantasia, dovuto al colore caratteristico). E' stato il primo vino italiano ad avere la Docg nel 1980.

Un marchio simbolo

E' da sempre la leggenda del Brunello, la famiglia Biondi Santi: del resto, questo simbolo del "made in Italy", lo hanno inventato loro a metà dell'Ottocento. Ed, oggi, con la solita artigianale cura, Franco Biondi Santi, e suo figlio Jacopo, producono annualmente soltanto 70.000 bottiglie, bottiglie famose anche per la loro caratteristica longevità del mondo.
Questa cantina, che esporta "pezzi unici" in tutto il mondo, osannata nelle critiche dei mass-media Usa, conserva una incredibile gamma di annate del suo Brunello, a partire dal lontano 1888 (ma ci sono anche 1891, 1925, 1945 e 1955, 'unico vino italiano inserito da "Wine Spectator" nei 12 migliori del Novecento). Lo scrittore-giornalista americano Burton Anderson, una delle firme storiche del vino, lo ha definito "da meditazione: molto persistente che emana delicati profumi anche quando il bicchiere è stato svuotato. Profumi e sapori molto prolungati di incomparabile armonia."

Una cantina tutta in rosa

E poi c'è la cantina... tutta in rosa. Proprio così: tutte donne, dalla proprietaria alle addette, chi si occupa di amministrazione chi invece dell'accoglienza dei clienti, e chi delle mansioni di cantiniera vera e propria. Con l'aggiunta di due soli uomini, che sono poi l'agronomo e l'enologo e di un altro bel team di donne all'esterno, quelle che funzionano da panel di assaggio. Già, perché l'idea nacque proprio da lì: realizzare un Brunello per lei, adattare al gusto femminile quel vino considerato troppo robusto e impegnativo. Idea partorita ovviamente da Donatella Cinelli Colombini, rampolla di un'antica stirpe di vignaioli del Brunello, vulcanica anima del turismo del vino: alla Cantina del Casato, lei - figlia di Francesca, la «signora del Brunello» - ha messo in piedi il suo team tutto in rosa, con Mara, Barbara la cantiniera, le due Antonella. E lei, che del Brunello in rosa è il motore.

Benvenuti a Montalcino dove il vino è leggenda

Il passo del Lume Spento si chiamava così perché a transitarci di notte, ai tempi dei tempi, non era davvero il caso di farsi tanta pubblicità. Poi i briganti son passati di moda, sono arrivate invece le vigne, le ville, gli agriturismi, i fuoristrada con le targhe padane e tedesche. Ma il passo del Lume Spento è rimasto lì, a fare il davanzale dell'Apocalisse. La definizione ha una firma illustre, quella di Gabriele D'Annunzio, gli amanti del dettaglio possono trovarla nella Beffa di Buccari. Gli amanti delle apocalissi da gustare a tutto occhio e a pieni polmoni, invece, la possono verificare dal vivo: in certe fredde giornate d'inverno, dai culmini di Montalcino si vede il mondo. Tutto il mondo possibile: la Corsica e la Verna, il Terminillo e le Apuane, il Giglio e l'Abetone, l'Elba e Montepulciano, ccon l'Amiata lì quasi a far da chioccia. Non per nulla, da queste parti gira la voce che il Padreterno, alla fine dei famosi sei giorni, si ritrovò un sacco di cose belle nella gerla, non le aveva ancora scaricate, passò su questi colli e... vuotò il sacco, per l'appunto. Alla faccia della modestia. Ma, ad esser sinceri, Montalcino e le sue terre magari ne possono anche fare a meno. Un americano dei nostri giorni, il premio Nobel Saul Bellow, quando con I conti tornano ha voluto raccontare un po' del mondo visto, per parlare di un'Italia defilata dalle solite passerelle ha scelto per l'appunto Montalcino e la sua gente. Ilio Raffaelli, sindaco per una vita, è ancora la memoria storica di un paese che al bosco deve tutto, anche il nome, Mons Ilcinus, Monte dei Lecci, oltre a un'economia che il Grande Rosso ha lanciato solo negli ultimi decenni. E da dove cominciare, se non da un corroborante bicchiere di Brunello - Benvenuto Brunello, in febbraio: già, con questo freddo... -al Caffè Fiaschetteria Italiana, all'ombra del Palazzo Comunale stretto con la sua torre che pare un dito proteso verso il cielo, di nfaccia alla Fonti Castellane e alle Logge di Piazza, da dove cominciare un giro che non finirà mai di stupire. Tra la Fortezza trecentesca e la millenaria chiesa di San Salvatore, che fu cattedrale per secoli e che all'inizio dell'Ottocento fu «abbellita» (abbellita?) in stile neoclassico; tra la Madonna del Buon Soccorso e la quattrocentesca Sant'Egidio, la «chiesa dei senesi», alleati fin da Montaperti, anche se... Anche se i Senesi li aspettavano a gloria, i rinforzi da Montalcino: ma loro arrivarono a cose fatte, e non gli retò che... seppellire i morti. E da allora, per i Senesi, gli Ilcinesi saranno sempre «i beccamorti».
Ma intanto Montalcino s'è fatta bella. Ha messo su nell'ex convento di S. Agostino un Museo civico e diocesano che nel Sistema dei musei senesi, rete di splendidi gioielli di provincia, ha davvero pochi uguali, con il Crocifisso del Giambologna, i dipinti di Simone Martini e Ambrogio Lorenzetti, le splendide raccolte di sculture sacre in legno e di boccali in maiolica. Contraltare al sacro che diventa pur esso mistico: e allora converrà una visita, fuori città, al Museo del Vetro e del Vino - ci sono bottiglie di Picasso e Dalì accanto a manufatti etruschi ed egizi - racchiuso nei possenti bastioni del duecentesco castello di Poggio alle Mura. Dove la Banfi, che vi ha sede, mantiene una bellissima produzione di aceti balsamici. Dove dicono viaggi indisturbato il fantasma di un tal Ricciardello, spirito impertinente che si presenterebbe, in vesti ora di frate ora di soldato, soprattutto... nelle camere delle signore. Testimonial di un Medioevo che intorno a Montalcino ha lasciato gemme di rara bellezza, e per tutte - ancora a sud, verso Castelnuovo dell'Abate e l'Amiata - vale la splendida chiesa di Sant'Antimo, forme romaniche e pietre e marmi bianchi e rosa in mezzo ai quali a orari stabiliti e per le liturgie si leva armonioso e delicato il gregoriano dei monaci agostiniani francesi. O invece, più a nord, nel giro di tutt'altro itinerario, ecco l'Abbadia Ardenga con quel che ne resta, e davvero la Storia chiama a rivedere cicli e corsi. Che rivivono anche nelle tradizioni paesane, il Torneo di apertura delle Cacce e la Sagra del Tordo, tra agosto e ottobre, cortei in costume e gare di bravura con le frecce scoccate dagli archi. Fermate il tempo: a Montalcino non è difficile scendere.

Per la gola

Un bel piatto di pinci, al sugo di carne oppure «con le briciole», cioè pane raffermo sbriciolato e rosolato in padella con olio, sale e peperoncino: ecco un'idea che sposa sapori e profumi della tradizione più autentica, semplice e povera, con un pizzico di... malizia che non guasta mai. Soprattutto se l'invito è rivolta a lei: già, perché nel nome di questa pasta tutta particolare si nasconde un segreto non proprio pudico. Pinci, da qualche altra parte (Valdichiana, soprattutto) chiamati invece «pici»: pinci come plurale di «pinco», che se andate a vedere sui vocabolari più informati vedrete che non è il nome di battesimo del signor Pallino. No davvero, il «pinco» è nient'altro che ... la quintessenza della virilità, insomma, l'«arnese». E lasciamo perdere il seguito delle allusioni, basta ricordare che i pinci si fanno con farina, olio, sale, uovo, acqua. Si impastano, poi si... modellano a mano come «grossi spaghettoni». Si capisce perché il nome, e gli ammichci del caso. Per completare l'opera, potrete prenderla per la gola, a Montalcino, con i «rustici», i tipici biscotti secchi della Pasticceria Mariuccia (0577-849319) inzuppati in un bicchiere di profumato Moscadello.

Non solo grandi rossi

Non solo grandi rossi neppure nello shopping. Al contrario, anzi: perché non pensare per esempio a un delizioso vasetto di miele? Forse non molti lo sanno, ma Montalcino vanta a pieno titolo il rango di capitale del dolcissimo prodotto delle api. In tantissime varietà, come tanti sono i fiori che colorano prati, campi e boschi: c'è il miele di sulla, dolcissimo e rilassante, perfetto per sposarsi con i sapidi pecorini della zona ma anche per finire nel tè o nel caffè, c'è quello di eucalipto per curare la tosse, c'è quello di trifoglio e quello delicato di acacia, il «caldo» miele di girasole e quello più «fresco» di erica, e ci sono i più amarognoli, ma di splendido sapore, dal castagno o dal corbezzolo. Due indirizzi: l'apicoltura Ciacci Hubert, vicino alla Fortezza (0577-848019), con i suoi 500 alvaeri, o l'apicoltura Batignani (0577-848444). essenze gradevoli dei boschi della zona anche nei saponi di Rossana Mulinari, in pieno centro (0577-847034).

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