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LA PIÙ GRANDE “IMPRESA AGRICOLA” DEL PAESE? È LA MAFIA, CHE “FATTURA” 50 MILIARDI DI EURO, COMMETTE 240 REATI AL GIORNO, E CONTA PIÙ DI 350.000 AGRICOLTORI-VITTIME. COSÌ IL RAPPORTO CIA-CONFEDERAZIONE ITALIANA AGRICOLTORI “CRIMINALITÀ IN AGRICOLTURA”

La più grande “impresa agricola” del Paese? È la mafia, che “fattura” 50 miliardi di euro all’anno, commette 240 reati al giorno, e conta più di 350.000 agricoltori vittime della criminalità organizzata che allunga sempre più i suoi tentacoli sulle campagne. Ecco l’impressionante situazione che emerge dal rapporto “Criminalità in agricoltura” n. 4 di Cia- Confederazione Italiana Agricoltori, Fondazione Humus e Consiglio Nazionale Economia e Lavoro (Cnel). Furti di attrezzature e mezzi agricoli, usura, racket, abigeato, estorsioni, “pizzo”, discariche abusive, macellazioni clandestine, danneggiamento e incendi alle colture, aggressioni, truffe all’Unione Europea, “caporalato”, abusivismo edilizio, saccheggio del patrimonio boschivo, agropirateria, controllo delle filiere agroalimentari, dalla produzione alla distribuzione, i “canali” con cui l’agricoltura onesta viene derubata dalla criminalità organizzata. Che riesce anche a “fare sistema”, visto che nel rapporto si parla di “legami ormai consolidati tra cosche campane, calabresi, siciliane e pugliesi per poter meglio presidiare il settore su una scala di livello industriale”. Dirompente il problema dell’agropirateria: nel 2011 i sequestri operati dalle forze dell’ordine (13.867) sono più che triplicati sul 2010, per 1,2 miliardi di euro di valore, e a questo si aggiunge il fatto che ogni anno, anche per opera della criminalità organizzata, entrano in Italia prodotti alimentari “clandestini” e “pericolosi” per oltre 2 miliardi di euro. Poco meno del 5% della produzione agricola nazionale. Una piaga da debellare con impegni concreti. Tra le idee della Cia la creazione di una rete di imprese che, insieme alle istituzioni, possano contrastare la criminalità. “In questo contesto - ha detto il presidente della Cia, Giuseppe Politi - è importante il rating di legalità delle imprese che prevede l’istituzione presso l’Antitrust di un apposito albo. L’autorità garante per la Concorrenza, infatti, si raccorderà con i Ministeri dell’Interno e della Giustizia e la premialità sarà tradotta in un accesso più facile ai finanziamenti pubblici e ai prestiti bancari. Un modo per sconfiggere chi opera nell’illegalità ed evitare che tante aziende finiscano nelle mani della criminalità e dell’usura”.

Focus - Il rapporto Criminalità & Agricoltura di Cia-Confederazione Italiana Agricoltori
Più di 240 reati al giorno, praticamente otto ogni ora, oltre 350.000 agricoltori (un terzo del totale) che hanno subito e che subiscono gli effetti della criminalità organizzata che, come una piovra, allunga sempre più i suoi micidiali tentacoli sulle campagne italiane. Furti di attrezzature e mezzi agricoli, usura, racket, abigeato, estorsioni, il cosiddetto “pizzo”, discariche abusive, macellazioni clandestine, danneggiamento e incendi alle colture, aggressioni, truffe nei confronti dell’Unione europea, “caporalato”, abusivismo edilizio, saccheggio del patrimonio boschivo, agropirateria, controllo delle filiere agroalimentari, dalla produzione alla distribuzione. Così l’agricoltura produce “reddito” per l’azienda “Mafie S.p.a.” per oltre 50 miliardi di euro all’anno, pari a poco meno di un terzo dell’economia illegale nel nostro Paese (169,4 miliardi di euro).
I tentacoli stringono l’agricoltura. L’attenzione rivolta dalla criminalità verso l’agricoltura - si legge nel Rapporto Cia- è rilevante perché il settore è un terreno fertile nel quale si può sviluppare un “business” di dimensioni rilevanti. La ragione può essere facilmente ricercata nel fatto che questo particolare e delicato segmento produttivo provvede in maniera sostanzialmente diretta al fabbisogno primario di milioni di persone per garantire loro la sopravvivenza, specie in questi momenti di crisi alimentare. Da qui l’interesse ad investire, riciclare e mantenere una schiera di “sudditi” per il lavoro di manovalanza. Attraverso le campagne è, infatti, possibile esercitare il controllo del territorio per utilizzarlo non solo come base per nascondigli, ma soprattutto come punto di partenza per ulteriori sviluppi imprenditoriali.
Le organizzazioni criminali (mafia, camorra, ‘ndrangheta, sacra corona unita), dunque, non operano più solamente nel mercato della droga, della prostituzione e del gioco d’azzardo (che oltretutto interessano l’agricoltore come cittadino), né guardano unicamente i settori sui quali c’è ormai una consolidata letteratura: edilizia, smaltimento dei rifiuti, autotrasporto, sanità. La “piovra” ha nel mirino l’agricoltura e cerca di incrementare i propri affari illeciti esercitando il controllo in tutta la filiera alimentare, dai campi agli scaffali.
Ciò che emerge ancora una volta, è l’estensione e la ramificazione operativa dei clan interessati, sia a livello territoriale sia in termini di controllo criminoso su tutte le attività che riguardano produzione e smercio di prodotti agricoli. E ancora, i legami ormai consolidati tra cosche campane, calabresi, siciliane e pugliesi per poter meglio presidiare il settore su una scala di livello industriale. E ciò avviene attraverso l’accaparramento dei terreni agricoli, l’intermediazione dei prodotti, il trasporto e lo stoccaggio fino all’acquisto e all’investimento in centri commerciali. Tutti passaggi utili alla creazione del valore vengono presidiati. Naturalmente questa presenza capillare “strozza” il mercato, distrugge la concorrenza e instaura un monopolio oppure un oligopolio basato sulla paura e la coercizione.
Impongono i prezzi d’acquisto agli agricoltori, controllano la manovalanza degli immigrati con il caporalato, decidono i costi logistici e di transazione economica, utilizzano proprie ditte di trasporto (sulle quali viaggiano anche droga e armi), possiedono società di facchinaggio per il carico e scarico. Inoltre, negli ultimi anni le organizzazioni criminali arrivano fino alla tavola degli italiani, grazie all’ingresso diretto nella Grande distribuzione organizzata (Gdo) con supermercati ed insegne proprie.
I gruppi criminali sono, dunque, in grado di gestire tutte le attività relative alla produzione e allo smercio dei prodotti agricoli, lungo tutta la filiera che va dalla produzione al trasporto e alla distribuzione finale.
Tutti elementi che si ritrovano in diversi “dossier”, fra i quali quelli della Direzione nazionale antimafia, della Direzione investigativa antimafia, dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, del Corpo Forestale dello Stato, del Cnel (Osservatorio socio- economico sulla criminalità), del Censis, dell’Eurispes, di Legambiente e della Confesercenti “Sos Imprese”, che hanno permesso, con le loro analisi e i loro dati, di arricchire il Rapporto predisposto dalla Cia.
Agricoltori ostaggi delle mafie. Insomma, l’intero comparto agricolo, anche a causa della grave crisi economica che sta attraversando, rischia più di altri di essere completo ostaggio delle mafie che nelle campagne nascono e nelle campagne continuano a mantenere molti interessi di mafia come le aziende agricole, che rappresentano uno dei maggiori investimenti delle organizzazioni criminali. Oltre a ciò le mafie delle campagne, coniugando modernità e arcaicità, praticano abigeato e caporalato, usura ed estorsioni, furti e “cavallo di ritorno”, truffe e imposizioni di merce. L’agricoltura italiana è, quindi, sempre più terrorizzata. Un fenomeno che fino a pochi anni fa si riscontrava soltanto alle regioni del Sud, ma che adesso si sta espandendo a macchia d’olio in tutta Italia, in particolare nelle aree del Nord, dove la criminalità organizzata sta trovando terreno fertile per i suoi loschi affari. E così molti produttori agricoli sono preda di una malavita violenta e spregiudicata. Sono soggetti a pressioni, minacce e ad ogni forma di sopruso.
Prima - si legge nel Rapporto della Cia- erano solo Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna le regioni in cui l’attività delle organizzazioni malavitose concentravano la loro azione ai danni dell’agricoltura. Ora la malavita ha allargato il suo giro d’azione. Altre regioni del Centro e del Nord sono finite nel mirino dei criminali e gli agricoltori ne pagano le spese.
Reati. Al primo posto, per numero, fra i reati troviamo i furti di attrezzature e di mezzi agricoli. Il racket è il secondo reato - sempre per numero di crimini commessi- che si registra. Segue a debita distanza l’abigeato, un reato antico, ma in continua crescita. Ogni anno circa 150.000 animali spariscono, la gran parte destinata alla macellazione clandestina. Si tratta essenzialmente di bovini e maiali, ma anche di cavalli e in prossimità delle feste pasquali agnelli e pecore. Nello scorso biennio diverse e importanti operazioni delle forze dell’ordine hanno messo in risalto la vastità del fenomeno, che non si esaurisce alle regioni meridionali, ma tocca tutta l’Italia. Il sequestro di allevamenti di cavalli è una costante che compare in diverse inchieste.
Anche i furti di prodotti agricoli continuano ad essere sempre più frequenti. Ma non si tratta di occasionali furtarelli. Siamo in presenza di massicce sottrazioni del prodotto (spesso direttamente dalla pianta), che prevede una scientifica e organizzata operazione di raccolta.
Nelle mani degli “strozzini”.Tra i reati si segnalano, inoltre, il danneggiamento alle colture e le aggressioni nei confronti delle persone. Reati tipici dell’avvertimento mafioso a chi si dimostra restio a cedere ai ricatti. Più distinti, i fenomeni di usura e del pascolo abusivo. Proprio l’usura, alimentata dalla crisi economica, continua a crescere in maniera rilevante. Negli ultimi cinque anni 25.000 imprese agricole hanno chiuso per debiti o usura.
Il numero degli agricoltori coinvolti in rapporti usurai non sono meno di 20.000, ma le posizioni debitorie raggiungono un terzo delle aziende.
E qui s’inserisce il problema delle aste giudiziarie, dove le aziende agricole soffocate dai debiti passano la mano, prestando il fianco ad acquisti e trasferimenti di proprietà a soggetti esterni all’agricoltura. La crisi costringe molti agricoltori, piccoli e medi, a vendere, anzi a svendere. “Capolarato” e lavoro nero. Non meno grave è l’odioso “caporalato”, con lo sfruttamento, da parte della criminalità organizzata, soprattutto di extracomunitari (come ha messo in risalto la grave vicenda di Rosarno), molti dei quali irregolari. Meno frequenti, ma presenti, sono i furti di centraline per l’irrigazione, soprattutto nelle regioni dove c’è il problema cronico della carenza d’acqua. Per le stesse ragioni, si verificano allacciamenti abusivi ed estrazione dell’acqua da pozzi non regolari.
Crescente è anche la minaccia di cedere i raccolti dei prodotti a prezzi “stracciati”. Non vi sono scrupoli che tengano e il coltivatore si trova costretto a scegliere o accettare l’infame avvertimento o correre il rischio di vedere compromesso l’intero raccolto e con esso il lavoro di tanti anni. I “predoni del rame”. In questi ultimi anni è cresciuto l’assalto dei “predoni del rame”. Sono tanti gli agricoltori, soprattutto nel Sud, che denunciano furti di rame (contatori, cavi elettrici, generatori di energia, macchinari elettrici, tubi per pannelli solari e fotovoltaici, gronde per serre, pluviali di aziende e strutture). Un saccheggio silenzioso ma continuo. E questo reato, oltre al danno in sé, ha come causa diretta il blocco di raccolti e coltivazioni in momenti cruciali per l’agricoltura. In particolare, i furti di cavi elettrici lasciano al buio e senza energia diverse abitazioni agricole e piccole imprese che operano nel settore della trasformazione dei prodotti locali.
I furti di rame sono, dunque, un grave danno per le aziende, poiché la sostituzione dei cavi è piuttosto complessa e onerosa. Inoltre, i cavi vanno sostituiti per l’intera lunghezza e non possono essere sezionati. Per cui si è costretti a sfilare i monconi rimasti e riposare nelle condotte le nuove linee con notevole aggravio dei costi.
Vengono riscontrati anche fenomeni come la macellazione clandestina e le discariche abusive, ambedue presenti in tutte le regioni meridionali. Reati che travalicano gli interessi diretti dell’agricoltura, colpendo l’intera collettività e, più precisamente, la qualità dei prodotti e, conseguentemente, la salute pubblica.
Per quanto riguarda le discariche abusive e il traffico illecito dei rifiuti, il fenomeno, sempre più in espansione, si riscontra in quasi tutte le regioni, assumendo dimensioni nazionali e transnazionali. La criminalità impone anche i prezzi per i prodotti agricoli, pesature dei prodotti inferiori a quelle reali, compie estorsioni attuate mediante previo furto di mezzi destinati alla coltivazione, esercita il controllo del mercato fondiario, compie furti di grano, con devastazione dei campi coltivati, commerci illegali e intromissioni nell’acquisto dei prodotti.
In alcune regioni il furto della strumentazione agricola è legato ad un’attività di esportazione del ricavato verso paesi esteri a fronte, verosimilmente, di partite di droga.
In altre zone, invece, i mezzi agricoli vengono trasformati in pezzi di ricambio che hanno necessariamente bisogno di altri mercati. Per non parlare del bestiame che, sia se dirottato alla macellazione clandestina che verso viaggi “illeciti” fuori dai confini nazionali, deve essere “affidato” ad organizzazioni pronte allo smercio.
Inganno a tavola. Dirompente è anche il problema dell’agropirateria che è una vera spina nel fianco dei produttori e dei consumatori. Nel 2011 i sequestri operati dalle forze dell’ordine (13.867) sono più che triplicati rispetto al 2010 e sono stati pari a 1,2 miliardi di euro. Il fenomeno è in continua crescita, con frodi commerciali e sanitarie, falsificazioni, sofisticazioni e contraffazioni vere e proprie. E così il nostro Paese è al primo posto in Europa per le segnalazioni di cibi contaminati e contraffatti, come dimostrato dal recente convegno della Cia a Bari.
A questo si aggiunge il fatto che ogni anno, anche per opera della criminalità organizzata, entrano in Italia prodotti alimentari “clandestini” e “pericolosi” per oltre 2 miliardi di euro. Poco meno del 5 per cento della produzione agricola nazionale. I sequestri da parte delle autorità competenti italiane negli ultimi due anni si sono più che quadruplicati. I più colpiti dalle sofisticazioni sono i sughi pronti, i pomodori in scatola, il caffè, la pasta, l’olio di oliva, la mozzarella, i formaggi, le conserve alimentari.
La vulnerabilità dell’agricoltura. L’agricoltura mostra maggiori e più gravi elementi di vulnerabilità legate a quelle caratteristiche e inevitabili forme di “isolamento geografico” dei luoghi di lavoro e del livello di fragilità degli addetti.
Nelle campagne l’agricoltore è, infatti, spesso solo, disarmato, inerme, per cui, quando gli va bene, non gli rimane che scendere a patti. La paura, l’insicurezza, le preoccupazioni, nel mondo agricolo, hanno un altro sapore. Il bersaglio è bene individuale, non può nascondersi, né pararsi. Non si corre il pericolo di coinvolgere estranei nell’oppressione violenta. Solo la capacità imprenditoriale, la fatica e il lavoro sono a rischio. Oggetti di azioni criminali che, molte volte, la cronaca trascura o, peggio, ignora, con un atteggiamento colpevole che non tiene conto quanto esse incidono sulla produttività delle aziende agricole e sullo stesso sistema di vita dei produttori.
Nel “dossier” della Cia si rileva che la criminalità in campagna è autoctona, che può servirsi anche di extracomunitari (per lo più clandestini), ma che adopera per lavori di semplice manovalanza (carico e scarico di merce). Non si è in presenza di semplici banditi rurali, ma la loro spietata arroganza, la spregiudicatezza delle azioni confermano che siamo di fronte ad una vera e propria criminalità organizzata o comunque a persone strettamente collegate a forti organizzazioni malavitose che provvedono a trasformare in pingui affari il risultato delle azioni criminose. Infatti, una parte consistente del ricavato mette in moto una serie di mercati illeciti che hanno bisogno, per essere sostenuti, di un’organizzazione efficiente, disposta a tutto e spesso legata, a sua volta, ad altre organizzazioni per assicurarsi la copertura dell’intero territorio nazionale e anche di quello, per alcuni prodotti, internazionale.
La gravità della pesante presenza della criminalità nelle campagne è ben presente nell’autorità giudiziaria e di polizia. Sta di fatto che nel 2003 è stato istituito, nell’ambito della Direzione nazionale antimafia, uno specifico servizio per combattere l’allarmante fenomeno.

Focus - I numeri della mafia in agricoltura
Furti e rapine - 4,5 miliardi di euro
Racket - 3,5 miliardi di euro
Usura - 3 miliardi di euro
Truffe - 1,5 miliardi di euro
Contraffazione e agropirateria - 2 miliardi di euro
Macellazioni clandestine - 1 miliardo di euro
Abusivismo edilizio (saccheggi di patrimonio boschivo, idrico, faunistico e agricolo) 18,5 miliardi di euro
Ecomafie (rifiuti e reati contro l’ambiente) - 16 miliardi di euro
Totale 50 miliardi di euro

Focus - I “nuovi mercati” delle mafie in agricoltura
Usura: aumenta il fenomeno non quantificabile per tutte le attività economiche e sociali. Le difficoltà nel credito diventano drammatiche. Contraffazione e adulterazione dei prodotti agricoli (esempio il “pane della camorra”, sofisticazioni e adulterazioni di molti prodotti alimentari).
Truffe all’Agea (Agenzia per le erogazioni in agricoltura) che non sempre coinvolgono, direttamente, gli agricoltori, ma mettono in cattiva luce il mondo agricolo. L’Unione europea, nell’ambito delle politiche economiche e sociali, eroga, ogni anno, miliardi di euro per il settore agroalimentare. Tale volume di denaro ha da tempo attirato l’attenzione del crimine comune ma, soprattutto, di quello organizzato che ha visto in ciò una duplice possibilità: da un lato una cospicua rendita alla quale attingere per finanziare le attività illecite, a fronte di un rischio molto inferiore rispetto ai tipici reati commessi dalle organizzazioni criminali e, dall’altro, una concreta possibilità di riciclare i proventi di affari illegali. Per raggiungere questi obiettivi il crimine si avvale di molteplici forme, dall’estorsione - al fine di acquisire, non sempre la completa proprietà, ma anche il semplice controllo della produzione di fondi o di industrie agricole - fino alle frodi all’Unione europea.
Controllo della filiera agroalimentare: un fenomeno sempre più forte, con intimidazioni ai produttori, controllo della produzione, del trasporto e del commercio. Caporalato e lavoro nero in agricoltura: imposto agli agricoltori e controllato dalla grande criminalità organizzata, specie e soprattutto nelle zone tradizionali della criminalità. Modifica del paesaggio agricolo: investimenti in grandi strutture; terreni che modificano radicalmente ai quali non sono estranei interessi mafiosi.
Furti di rame: in questi ultimi anni è cresciuto l’assalto dei “predoni del rame”. Un fenomeno che viene gestito e controllato sempre più dalla criminalità organizzata.

Focus - La proposta: una “rete di imprese” per contrastare la criminalità organizzata
“Una ‘rete di imprese’ per contrastare la criminalità organizzata”. Questa la proposta lanciata oggi dal presidente della Cia- Confederazione italiana agricoltori Giuseppe Politi nel corso della presentazione, a Roma presso la sede del Cnel, del IV Rapporto sulla criminalità in agricoltura, curato in collaborazione con la Fondazione Humus.
“La situazione - ha avvertito Politi - è gravissima. Non c’è settore dell’economia che non sia finito tra i tentacoli della criminalità organizzata. Tantissimi sono gli imprenditori che, purtroppo, fanno i conti con il racket, con l’usura, con il ‘pizzo’, con i furti e le rapine, con le estorsioni, con le minacce e con le aggressioni. Per questo motivo riteniamo quanto mai indispensabile mettere insieme tutte le associazioni di categoria e instaurare un rapporto continuo e costruttivo con le istituzioni, con la magistratura e con le forze dell’ordine per cercare di debellare un ‘cancro ‘che sta corrodendo sempre di più la nostra economia, mettendo a rischio non solo la vita delle persone, ma anche la stessa sopravvivenza delle imprese che finiscono preda di una ‘piovra’ asfissiante e micidiale”.
“In questo contesto - ha aggiunto il presidente della Cia - è importante il rating di legalità delle imprese che prevede l’istituzione presso l'Antitrust di un apposito albo. L'autorità garante per la Concorrenza, infatti, si raccorderà con i ministeri dell'Interno e della Giustizia e la premialità sarà tradotta in un accesso più facile ai finanziamenti pubblici e ai prestiti bancari. Un modo per sconfiggere chi opera nell’illegalità e per evitare che tante aziende finiscano nelle mani della criminalità, dell’usura”.
“Giovanni Falcone - ha rilevato Politi- affermava che ‘la lotta alla mafia non può fermarsi a una sola stanza; la lotta alla mafia deve coinvolgere l’intero palazzo. All’opera del muratore deve affiancarsi quella dell’ingegnere’. Siamo, pertanto, tutti chiamati a un impegno eccezionale. Bisogna estirpare dalla nostra società un male pernicioso e devastante. L’azione da portare avanti deve essere totale e incessante. E ancora una volta la Cia sarà in prima linea in questa lotta di giustizia, di legalità, di democrazia, di civiltà”.
“D’altra parte, proprio l’agricoltura - ha affermato il presidente della Cia- da tempo sta vivendo un momento estremamente difficile e i tentacoli della criminalità organizzata si stanno inserendo nei gangli vitali del settore, condizionando pesantemente l’attività produttiva e lo stesso futuro imprenditoriale di moltissimi produttori”.
“L’agricoltura - ha detto ancora Politi- è sempre più terrorizzata dalla criminalità organizzata. Migliaia di produttori agricoli sono nelle mani della mafia, della camorra, della ’ndrangheta, della sacra corona unita. E sono soggetti a pressioni, minacce e a ogni forma di sopruso. L'ambiente rurale, storicamente, è stato percepito dalla criminalità come fonte di facile arricchimento. Il settore è, però, assolutamente sano, ma, proprio per questo, è compito delle istituzioni preposte mantenere alta la vigilanza, al fine di individuare e colpire ogni forma di illegalità che possa turbare il regolare svolgersi delle attività”.
“Il IV Rapporto mette, dunque, in chiara luce questi aspetti e conferma - ha concluso il presidente della Cia- la dimensione rilevante che l’attenzione delle mafie sta esercitando sulle campagne italiane. Un quadro preoccupante che non fermerà di certo la nostra azione per la legalità e la giustizia. Tutt’altro. Continueremo decisi nella nostra lotta contro la criminalità. E lo faremo senza lasciare nulla di intentato e utilizzando tutti gli strumenti possibili. Da qui la nostra proposta di una ‘rete di imprese’. Tutti i settori economici insieme e d’accordo con gli organismi pubblici preposti per sconfiggere un fenomeno dilagante e condizionante che mina le basi stesse della nostra società”.

Focus - Il “no” alla criminalità passa anche dal lavoro sui campi confiscati. La Cia ribadisce il suo impegno con Libera
Le mozzarelle, il vino, i taralli, i paccheri, l’olio e il succo d’arancia. Sono tanti i prodotti al gusto della legalità coltivati sulle terre confiscate alle mafie. Tutti simboli di una lotta alla criminalità combattuta con il lavoro della terra e oggi minacciati dalle fiamme dell’intimidazione e della ritorsione. La Cia-Confederazione italiana agricoltori, in occasione della presentazione del IV Rapporto sulle agro-mafie, vuole esprimere una ferma condanna agli autori degli incendi e piena solidarietà a Libera e a tutti i lavoratori delle cooperative colpite.
Prima gli uliveti di Castelvetrano e di Partanna nel trapanese, poi i campi di grano a Pignataro nel casertano e quelli a Mesagne nel brindisino, e poi ancora gli agrumeti di Belpasso in provincia di Catania: è un lungo elenco quello dei terreni confiscati alle mafie, prima “liberati” dal lavoro delle cooperative dell’associazione di don Ciotti e poi di nuovo offesi e umiliati dagli incendi dolosi che nell’ultimo mese hanno distrutto ettari ed ettari di campi coltivati.
“Di fronte a questi atti di un vandalismo spregevole e meschino -ha affermato il presidente della Cia Giuseppe Politi- vogliamo esprimere tutta la nostra vicinanza a Libera e ai tanti ragazzi che lavorano alla rivalutazione di queste terre, dove si coltivano legalità e giustizia. E ribadiamo ancora una volta il nostro impegno al fianco dell’associazione di don Ciotti, a cui da anni garantiamo ‘sul campo’ consulenza e assistenza tecnica”.
Con un accordo sottoscritto nel 2008, infatti, la Cia e Libera hanno ufficializzato una collaborazione che va avanti da più di un decennio: dalla fondazione nel 2001 della cooperativa “Placido Rizzotto” che produce l’ormai noto vino “I cento passi” dalle uve delle terre sequestrate ai boss Brusca e Riina del clan dei Corleonesi e arriva fino alla costituzione della cooperativa casertana “Terre di don Peppe Diana”, che ha recuperato i campi del clan camorristico dei casalesi capeggiato da Francesco Schiavone.
Il lavoro che Libera e Cia svolgono insieme è la dimostrazione di un impegno civile che vuole partire proprio dall’agricoltura per proporre un modello di sviluppo alternativo alla logica del sopruso e del ricatto. Un impegno che non si fermerà di fronte a questi roghi intimidatori, ma che anzi ora ritroverà ancora più determinazione nella lotta alla criminalità. Proprio con la cooperativa “Terre di don Peppe Diana”, che recentemente ha visto andare in fumo dodici ettari coltivati, oltre metà del grano coltivato nei terreni strappati alla camorra, la Cia ha lavorato insieme a Libera per produrre i “paccheri della legalità”, frutto sano di una terra fino a ieri umiliata dallo sfruttamento mafioso e che oggi ritrovano la dignità perduta nelle mani dei giovani a cui Libera li affida.
Ma il menù dei prodotti della legalità è ancora lungo, così come quello dei territori minacciati dalle mafie. Cinque ettari coltivati a legumi - ricorda la Cia - distrutti a Isola Capo Rizzuto, così come le duemila piante di arance bruciate a Belpasso o i cento ulivi nel catanese. Ma non solo incendi, a minacciare l’economia del lavoro onesto e legale delle cooperative di Libera sono state anche le intimidazioni e gli atti vandalici subiti nello scorso mese di ottobre dalle strutture agricole di Borgo Sobotino, in provincia di Latina, e ancora prima nella piana di Gioia Tauro in Calabria.

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