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LA POLITICA AGRICOLA COMUNITARIA VA RIVISTA: NO A TAGLI DI RISORSE, MODIFICARE LA DEFINIZIONE DI “AGRICOLTORE ATTIVO” E MODIFICHE AL “GREENING”. COSÌ COLDIRETTI, CONFAGRICOLTURA E CIA. RODRIGUEZ (COMMISISONE AGRICOLTURA UE): “NON È CONTRO ITALIA”

Se c’è una cosa che mette d’accordo le diverse anime dell’agricoltura italiana, è che la Pac (Politica Agricola Comunitaria) post 2013, così come è, proprio non piace a nessuno. E ognuno ha la sua ricetta per provare a cambiarla prima che sia definitivamente approvata dall’Unione Europea. Uno dei rischi più concreti è quello di vedere arrivare nel Belpaese 1,4 miliardi di euro per il settore.
“Per scongiurare il taglio e superare le troppe contraddizioni nella proposta di riforma, la Coldiretti è impegnata - ha detto a Fieragricola il presidente di Coldiretti Sergio Marini - in una “road map” di incontri con i principali protagonisti del negoziato che ha già portato nella nostra sede in Italia il presidente della Commissione Europea Dacian Ciolos, il Presidente della principale Organizzazione agricola francese (Fnsea) Xavier Beulin, e la prossima settimana incontreremo Peter Kendal presidente dell’Nfu inglese. Dopo aver raggiunto l’obiettivo di una posizione comune a livello nazionale siamo impegnati nella ricerca di alleanze in Europa nella convinzione che la riforma della Pac deve rappresentare l’occasione per una forte legittimazione della spesa verso l’agricoltura risolvendo i problemi strutturali di volatilità dei prezzi e del ridotto potere negoziale lungo la filiera.
Occorre evitare - ha sottolineato Marini - che all’accoppiamento dei prezzi alla produzione che aveva causato una rendita di posizione a valle della filiera si sostituisca una nuova forma di accoppiamento alla superficie che rappresenterebbe una nuova ed incomprensibile rendita fondiaria. Questo è il principio che deve guidare le modifiche alla proposta della Commissione Europea. Il Paese che si è impegnato di più verso un modello agricolo capace di rispondere alle aspettative dei cittadini in termini di sicurezza, qualità, biodiversità, occupati e ricchezza prodotta per ettaro si ritrova paradossalmente - ha sostenuto Marini - ad essere quello più penalizzato. Bisogna superare nel negoziato le criticità che riguardano, in particolare, l’insostenibile taglio delle risorse disponibili, l’applicazione del “greening” e la definizione di agricoltore attivo, ma anche le misure per controllare la volatilità dei prezzi agricoli nonché la necessità di rafforzare le organizzazioni dei produttori. La proposta della Commissione individua la figura dell’agricoltore attivo al quale destinare le risorse della Politica agricola comune, in base ai finanziamenti che già prende e non per quello che fa e per come lo fa, e questo è anche iniquo e inaccettabile per i cittadini. Per Coldiretti e per l’intera filiera agricola italiana l’agricoltore attivo non può, invece, che essere quello professionale, cioè quello che lavora e vive di agricoltura e che sarebbe spinto all’abbandono dalla riduzione del sostegno. Per questo occorre lasciare gli stati membri liberi di adottare una definizione adeguata. Anche la proposta di destinare il 30% delle risorse al greening (“rinverdimento”) per favorire una maggiore cura dell’ambiente è in realtà da rivedere perché esclude - ha concluso Marini - la maggior parte delle colture virtuose in termini sostenibilità del territorio e di cattura di CO2, ampiamente diffuse nell’agricoltura italiana come olivo, vite e alberi da frutta, che sono la base della dieta mediterranea. In pratica un olivicoltore italiano non prenderebbe i pagamenti “verdi”, mentre i prati della regina d’Inghilterra sì.
Insomma, i nodi da sciogliere sono tanti, anche perché, ha ricordato il presidente di Confagricoltura Piero Guidi, “è in gioco il futuro di 14 milioni di aziende e 48 milioni di lavoratori. In Italia il reddito degli agricoltori nel 2011, benché aumentato sul 2010, è ancora inferiore a quello del 2005. Mentre la volatilità delle quotazioni e la debolezza della posizione degli agricoltori sui mercati e l’aumento delle importazioni rendono sempre più necessario intervenire per dare fiducia alle imprese. Confagricoltura crede nella necessità di una riforma della Pac, adeguandola ai tempi, ma purtroppo le proposte della Commissione europea hanno deluso le nostre aspettative. In una situazione come quella attuale in cui c’è bisogno di maggiore impulso politico a favore del settore agricolo, l’Europa sembra invece imboccare la strada del disimpegno, anche finanziario. Il futuro del bilancio dell’Ue, secondo la Commissione. prevede aumenti in termini reali praticamente per tutte le rubriche tranne che per la spesa agricola destinata ai mercati ed allo sviluppo rurale. Un taglio tra il 2013 ed il 2020 che noi stimiamo in oltre il 12% in termini reali, per entrambi i “pilastri” della Pac. Inoltre - ha continuato il presidente Guidi - c’è il ri-orientamento delle risorse destinate ai pagamenti diretti degli agricoltori. Un criterio che dobbiamo assolutamente ridiscutere perché, essendo basato unicamente sul parametro della superficie, penalizza agricolture come quella italiana con un alto valore aggiunto per ettaro”. E anche ha Confagricoltura non piace il sistema del “greening”: “il legame tra impegni ambientali e pagamenti diretti ad esempio, penalizzerebbe notevolmente la competitività delle nostre aziende. Un recentissimo sondaggio della Rete Rurale Nazionale promossa dal Ministero delle Politiche Agricole ha dimostrato che solo il 10% delle aziende con seminativi soddisfa il requisito della diversificazione in tre colture a seminativi (quindi il 90% delle imrpese dovrà cambiare i propri ordinamenti colturali). Mentre sono poco più di un quarto (il 27%) le aziende che hanno già a disposizione il 7% di aree da destinare a focus ecologico previsto dalla proposta. Come dire che i due terzi delle aziende dovranno individuare, anche rinunciando a produrre evidentemente, una porzione aziendale da destinare a finalità ambientali”. Da ridiscutere, poi, anche altri interventi di mercato, come “i diritti di impianto vitivinicoli e la fine delle quote zucchero, fissata al 2015. Nell’attuale contesto di mercato, il venir meno di queste misure potrebbe costituire un pericolo per la stabilità di questi comparti. Mentre mancano provvedimenti adeguati a dare forza agli agricoltori nella filiera agroindustriale”.
E poi “c’è il rischio concreto che la programmazione del Fondo Europeo di Sviluppo Rurale collegata a quella di altri fondi comunitari snaturi la funzione del “secondo pilastro” della Pac che deve rimanere ad esclusivo vantaggio degli agricoltori. Confagricoltura è pronta a dire la sua in un negoziato che parte tutto in salita e riguarda oltre il 70% del territorio europeo, con 14 milioni di imprese agricole nei 27 Paesi dell’Unione. Per non parlare dell’indotto: la sola catena agroindustriale europea (quindi trascurando tutte le moderne filiere non food tra cui le bioenergie) attiva 750 miliardi di valore aggiunto, praticamente il 6% del Pil comunitario ed impiega a vario titolo 48 milioni di addetti: più di un quinto della manodopera complessiva dell’Unione. Un valore quindi socioeconomico enorme.
La Pac è uno dei nodi cruciali per il futuro dell’agricoltura anche per la Cia - Confederazione Italiana Agricoltori che, però vede anche altre urgenze nel breve termine: “le nostre imprese ora hanno bisogno di risposte immediate su Imu e caro-gasolio - ha detto il presidente Giuseppe Politi - e ancora prima dell’appuntamento europeo, è indispensabile risolvere in tempi brevi le tre grandi emergenze del settore: l’Imu sui fabbricati rurali, l’aumento degli estimi catastali per i terreni agricoli, il caro-gasolio. Senza efficaci misure in questa direzione, sarebbe un vero disastro, con la chiusura di migliaia di aziende sull’intero territorio nazionale. Per questo motivo abbiamo lanciato un ultimatum al governo: o si guarda con più attenzione ai problemi del settore oppure scatta immediata la mobilitazione, con iniziative sindacali, anche di carattere unitario, in tutt’Italia. Da parte nostra c’è sempre stata la piena disponibilità alla soluzione dei problemi che attanagliano il Paese. Siamo persone responsabili e pronte ai sacrifici, anche duri. Ma davanti all’assurda, ingiusta e pesante tassazione dei terreni agricoli e di strumenti di lavoro come i fabbricati rurali (la stalla, il magazzino o la cascina) noi non possiamo stare zitti. Si tratta di mezzi produttivi che non possono subire una tale imposizione fiscale. Allo stesso modo, non possiamo più accettare che i continui rincari del gasolio agricolo pregiudichino il domani non solo di migliaia di serre (che ne fanno largo uso soprattutto nel periodo invernale per il riscaldamento delle colture), ma anche delle altre imprese agricole. D’altra parte - ha aggiunto il presidente della Cia - rispetto alle considerazioni portate avanti dalla nostra Confederazione, vogliamo dare atto al ministro dell’Agricoltura, Mario Catania, di svolgere un ruolo positivo in una fase certamente difficile. In questo contesto, vogliamo ribadire con grande autonomia la volontà di sostenere coloro che nel governo hanno compreso il ruolo primario dell’agricoltura nella società e nell’economia e vogliono, perciò, contribuire alla sua valorizzazione. Ma anche per la Pac è indispensabile avviare da subito un confronto concreto e costruttivo tra tutti i soggetti della filiera agroalimentare e le istituzioni centrali e locali per un nuovo progetto di politica agraria. Un percorso che deve avere il suo punto focale in una Conferenza nazionale sull’agricoltura e lo sviluppo rurale. Un appuntamento più volte annunciato, ma mai finora realizzato veramente. Lo impone l’attuale situazione del settore primario e il dramma economico e sociale in cui vivono migliaia di imprese”.
“L’Italia agricola ha bisogno di una nuova strategia condivisa e di ampio respiro. Dopo il varo di provvedimenti per fronteggiare l’emergenza - ha evidenziato Politi - occorre sviluppare una strategia tesa a sviluppare ricerca e innovazione, a favorire l’ingresso dei giovani e l’aggregazione fondiaria, a rendere efficienti i mercati, a sostenere la competitività, a ridurre i costi di produzione e a semplificare i rapporti tra imprese e Pubblica amministrazione. E’ ormai giunto il momento di cambiare. Se si vuole puntare alla crescita delle aziende è indispensabile accelerare la marcia. Le misure del governo Monti non danno risposte puntuali e concrete in questo senso. Chiediamo dunque che si riaccendano i riflettori sull’agricoltura e si tenga realmente conto del ruolo fondamentale che svolgono gli imprenditori agricoli del nostro Paese”.
“D’altronde - ha sottolineato il presidente della Cia - abbiamo sempre sostenuto che una posizione forte nel negoziato sulla riforma della Pac deve avere, a monte, un’idea chiara dell’agricoltura in Italia, deve essere funzionale a un progetto di agricoltura”.
Più in dettaglio, per quanto riguarda la riforma della Pac 2014-2020, secondo Politi “deve avere precise priorità: efficienza del mercato, rafforzamento delle organizzazioni di produttori, diffusione dell’economia contrattuale, misure per favorire il ricambio generazionale, sostegno degli strumenti (assicurazioni e fondi di mutualità) per contenere gli effetti della volatilità dei prezzi e delle crisi di mercato”. Ad oggi, però, “la proposta formulata dalla Commissione Ue non ci soddisfa affatto. C’è bisogno di correzioni proprio per garantire un futuro di certezze agli agricoltori. L’Italia -ha ricordato il presidente della Cia- non può accettare una redistribuzione dei fondi del primo pilastro che peggiori ulteriormente la sua posizione finanziaria, con una riduzione del 6,9% del budget di risorse. Per questa ragione, al commissario europeo all’Agricoltura abbiamo sollecitato un confronto sereno e responsabile sulla riforma Pac post 2013, proprio per garantire un futuro di equità e sviluppo all’agricoltura europea. Comunque, ka futura politica agricola comune dovrà assolutamente porre al centro l’agricoltura e le imprese agricole. Il sostegno pubblico dovrà essere destinato agli agricoltori professionali e alle aziende che operano nel mercato dei prodotti e del lavoro. Vogliamo sostenere gli imprenditori agricoli, non i percettori di rendite fondiarie e parassitarie. Ecco perché - ha concluso Politi - insistiamo affinché, nel complesso negoziato comunitario sulla Pac 2014-2020, ci sia una posizione autorevole dell’intero governo in grado di far valere le ragioni dei nostri agricoltori. Una posizione del ‘sistema Paese’. E’ in gioco la sopravvivenza di centinaia di migliaia di imprese che rappresentano un patrimonio inestimabile per l’apparato economico e per l’intera società italiana”.

Focus - Silva Rodriguez, dg della Commissione Agricoltura Ue: “non è una Pac contro l’Italia”
I negoziati sulla riforma della Politica agricola comune (Pac) post 2013 inizieranno presumibilmente fra qualche mese, dopo l’esito delle Presidenziali francesi. Dal palco di Fieragricola, il direttore generale della Commissione Agricoltura dell’Unione europea, José Manuel Silva Rodriguez, tiene a bordo l’Italia, “tra i fondatori della Pac, che quest’anno festeggia i 50 anni, e che non può essere concepita senza il contributo italiano, che è fondamentale”. Una buona notizia, alla quale si deve aggiungere la conferma del budget per il bilancio agricolo (che però dovrà fare i conti con l’inflazione) e la volontà di ampliare i progetti destinati all’innovazione nel settore primario.
Ma i principi ispiratori della prossima riforma comunitaria, per quanto non si discostino da quelli di 50 anni fa, “richiedono una diversa elasticità nella loro declinazione - osserva Silva Rodrìguez - per effetto di una maggiore volatilità dei prezzi, per l’aumento dei costi di produzione, per l’aumento della domanda di cibo e anche per i cambiamenti climatici in corso. Serve dunque un approccio nuovo da parte delle istituzioni verso il mondo agricolo”.
In particolare, secondo il direttore generale della Commissione Agricoltura, “bisognerà superare le tensioni delle cosiddette “4F”: food, feed, fuel & fiber (cibo, mangimi, energia, fibra). E la nuova Pac dovrà appunto superare queste sovrapposizioni”.
La sfida, annuncia Silva Rodrìguez, “sarà coniugare competitività e ambiente, perché non può esserci competitività senza una tutela ambientale. La Pac d’altronde è una risorsa non soltanto per gli agricoltori, ma per tutti i cittadini dell’Unione europea. Per questo agli imprenditori agricoli si chiede di compiere uno sforzo sociale. Una frase che serve per introdurre e spiegare le finalità del greening (l’inverdimento e l’obbligo di applicare la rotazione o misure specifiche agro-ambientali): in parte un sacrificio, ma necessario per la crescita dell’economia e dell’agricoltura nel suo complesso”.
E sul sistema previsto per i pagamenti diretti della Pac agli agricoltori (il cosiddetto Primo Pilastro), si parla di regionalizzazione: “non intendiamo certo pagamenti differenti fra Veneto e Lombardia o Food Valley - chiosa - quanto una omogeneità di sostegno per singole produzioni”. Una questione che apre la strada ad una domanda: in previsione della prossima Pac, l’Italia non farebbe meglio ad avere un unico Programma nazionale per lo sviluppo rurale, anziché 21 Piani di sviluppo rurale fra Regioni e Province autonome?

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