In principio, eravamo all’inizio del luglio 2013, fu la procedura ufficiale del Governo cinese per una indagine antidumping e antisussidi sul vino europeo importato nel Paese Asiatico. Un’indagine che fu letta da tanti, se non da tutti, come una sorta di “ritorsione” sull’ipotesi di introdurre, da parte dell’Unione Europea, pesanti dazi ai pannelli solari che dal “Celeste Impero” venivano importanti nella Ue. E se le due parti in campo, su questo ultimo aspetto, hanno saputo raggiungere una soluzione pacifica, con un accordo siglato abbastanza velocemente, il “dossier vino”, invece, è restato, purtroppo, aperto. Perché? Il Governo di Pechino ha sempre sostenuto di non essere il promotore dell’indagine, ma semplicemente l’esecutore di una decisione di un tribunale cinese sull’avvio dell’inchiesta, su pressione dei produttori della Grande Muraglia, e che in ogni caso la vicenda non avrebbe avuto nulla a che fare con la questione dei pannelli solari. Tradotto, l’indagine antidumping e antisussidi sul vino europeo importato in Cina, “accusato” di ricevere aiuti di stato dall’Unione, soprattutto sottoforma di fondi dell’Ocm Vino, doveva seguire il suo iter senza se e senza ma.
Nel frattempo, le aziende vitivinicole europee hanno dovuto registrarsi in una lista da cui il Governo cinese ha sorteggiato il campione di indagine, con gli eventuali dazi applicabili solo se dalle investigazioni fosse effettivamente dimostrato dumping (ovvero vendita sotto al prezzo di costo) o aiuti di stato, valutando caso per caso la gravità della situazione e il “grado di collaborazione” nelle indagini. Nel mirino tutte le tipologie di vino, dagli spumanti ai rossi, bianchi e rosati fermi, e ai vini liquorosi, confezionati e sfusi. E praticamente tutte le misure coperte dall’Ocm vino (e non solo): fondi per la promozione nei Paesi terzi, ristrutturazione e riconversione dei vigneti, vendemmia verde, assicurazioni sul raccolto, fondi per lo sviluppo rurale, distillazione e così via.
Un caso spinoso che è stato preso subito molto sul serio a livello europeo ma a cui anche l’Italia ha risposto con grande energia soprattutto attraverso il Ministero dello Sviluppo Economico. Segno di come il rischio di perdere opportunità di crescita sul promettente mercato cinese preoccupi non poco tutto il tessuto economico che ruota intorno al vino, in Italia e in Europa. E non è un caso che nella procedura, voluta dal Governo cinese, si siano registrate anche la Commissione Ue, ed i Governi dei più importanti Paesi produttori, Italia, Francia e Spagna. Sul fronte del made in Italy enoico, fortunatamente, non ci sono stati casi particolarmente problematici. Anche il Gruppo Cevico, infatti, unica realtà italiana selezionata nel campione di indagine voluto da Pechino, è uscita indenne dall’inchiesta (le altre ancora sotto inchiesta sono le francesi Castel Freres, Maison Jean Loron, La Guyennoise e Les Grands Chais de France, e la spagnola Cherubino Valsangiacomo). Nessuna azienda italiana, quindi, compare nelle “black list” del governo cinese, sia in quella del Boft (Bureau of Fair Trade for Imports and Exports), che raccoglie i casi di sospetto damping, sia in quella dell’Ibii (Bureau of Industry Injury Investigation Ministry of Commerce), che, invece, prende in considerazioni le aziende sospette di aver ricevuto sovvenzioni di stato.
Tuttavia, la situazione resta ancora molto fluida e se l’unica apertura da parte cinese, sembra restare la disponibilità a favorire il dialogo diretto fra i produttori di vino europei e i produttori di vino cinesi per raggiungere un accordo economico di tipo generale, non pare neppure improbabile che il Governo cinese sia disponibile anche a prendere l’impegno di non introdurre dazi, neanche di tipo temporaneo, alla importazione dei vini europei in Cina. Intanto, e siamo a quello che sta succedendo in queste ore, la Commissione ha scelto come rappresentante dell’industria europea José Ramon Fernandez, segretario del Ceev (Comité Européen des Entreprises Vins is the representative professional body of the Eu industry and trade in Wines) l’associazione europea delle imprese vinicole a cui aderiscono Unione Italiana Vini e Federvini. Ma non solo.
Gli incontri che partiranno oggi a Pechino fra Commissione Ue e Governo cinese, stando alle indiscrezioni che ha raccolto WineNews, dovrebbero sposare l’indicazione del Ministero dello Sviluppo Economico italiano che, in tutto lo svolgersi della vicenda, ha espresso l’invito all’industria europea di tenere un atteggiamento positivo e flessibile alla ricerca di un accordo amichevole con l’industria locale cinese che eviti l’imposizione di misure sul vino europeo, in piena sintonia, appunto, con i continui sforzi che il governo italiano sta effettuando in tale direzione.
La prudenza, in casi di questo genere, è d’obbligo. Ma si spera in un epilogo della vicenda dai contorni non così catastrofici come sembravano potersi profilare al suo inizio. Va detto, però, che, vada come vada, le conclusioni che usciranno dai colloqui di metà novembre si applicheranno a tutte le esportazioni di vino europeo dirette nel Paese della Grande Muraglia.
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