
Quella della redditività è una sfida esiziale per le aziende di medie e piccole dimensioni. Come quelle riunite nella Fivi, e su cui si gioca il loro futuro. La Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti, organizzazione senza scopo di lucro, è nata nel 2008 proprio per promuovere e tutelare la figura, il lavoro, gli interessi e le esigenze tecnico-economiche di coloro che chiudono la filiera, dal vigneto alla cantina, alla commercializzazione. Un piccolo grande “esercito” di oltre 1.700 produttori, da tutte le regioni italiane, per un totale di oltre 17.000 ettari di vigneto e una superficie media ad azienda di 10 ettari (dati Nomisma-Wine Monitor indagine 2024 in collaborazione con Fivi). Va da sé che la sostenibilità economico-finanziaria delle aziende vitivinicole verticali sia stata l’oggetto della ricerca realizzata dall’Invernizzi Agri Lab di Sda Bocconi School of Management, con il sostegno della Fondazione Romeo ed Enrica Invernizzi e di Crédit Agricole Italia, in collaborazione con Fivi, presentata, ieri, al Vinitaly 2025 a Verona.
La ricerca, su un campione rappresentativo sia in termini numerici che di distribuzione geografica proporzionalmente alla consistenza dei Vignaioli Fivi nelle diverse regioni, si è basata su un questionario dettagliato compilato in modo completo da 348 aziende e da 152 parzialmente. Diversi i parametri analizzati che hanno confermato correlazioni prevedibili se non addirittura evidenti per chi osserva da vicino il settore e altre che individuano criticità su cui intervenire. “Abbiamo analizzato le scelte strategico-gestionali più rilevanti e approfondito al contempo le esigenze di credito e le opzioni di finanziamento utilizzate - ha spiegato Luca Ghezzi, coordinatore della ricerca e docente di management and control systems di Sda Bocconi School of Management - riservando un’attenzione particolare all’adozione di pratiche di sostenibilità ambientale, valutandone l’impatto sulla redditività e sulla competitività aziendale. Lo studio ha, inoltre, approfondito le problematiche legate al passaggio generazionale, momento cruciale per assicurare la continuità operativa e stimolare l’innovazione all’interno delle imprese”.
Il trend di fatturato degli ultimi tre anni è apparso correlato positivamente con la vendita diretta, al consumatore finale e/o all’Horeca: le aziende che vendono in questi canali presentano un andamento del fatturato migliore della media generale del campione. Lo stesso vale per le aziende che propongono con successo esperienze enoturistiche e che hanno investito in marketing e promozione. Da questa stessa analisi della struttura dei costi emerge un dato interessante: le aziende con crescita sostenuta o moderata hanno una minore incidenza dei costi energetici. Inoltre, l’export ha rappresentato un driver trainante della crescita del trend di fatturato nell’ultimo triennio. Tra le aziende che hanno dichiarato una crescita moderata o moderata del fatturato, infatti, il 45% presenta una percentuale di export elevata.
“Questi dati - ha commentato Rita Babini, neo-presidente Fivi e vignaiola con Ancarani - rafforzano le nostre richieste a livello europeo: maggiore accessibilità ai fondi Ocm promozione per le aziende di medio-piccole dimensioni, attualmente di fatto escluse, e realizzazione di misure di sostegno alle attività enoturistiche, fondamentali in questo frangente storico anche per un’educazione al consumo consapevole, oltre che per la diversificazione dei canali di vendita e per crescita delle economie territoriali delle aree interne. Più del 70% dei nostri quasi 1.800 soci esporta e il 23% vorrebbe farlo in futuro: quasi tutti hanno negli Stati Uniti il principale mercato di riferimento, ma alle condizioni che si stanno realizzando diventerà difficilissimo e verrà a mancare uno dei determinanti positivi di fatturato per i Vignaioli Italiani. Per questo chiediamo al Governo di continuare a mettere in campo tutti gli sforzi diplomatici possibili per porre fine alle guerre commerciali e salvaguardare un settore fondamentale come quello primario”.
Interessante quanto rilevato sulla correlazione tra sostenibilità e redditività: l’unico riscontro positivo, a prescindere dalla classe di fatturato, è sull’immagine aziendale, e soltanto in alcuni casi. Quindi a questo si riduce il vantaggio competitivo che non si traduce in modo evidente in maggior redditività. Un elemento per certi versi sorprendente visto che la declinazione della sostenibilità, dal vigneto alla cantina, dovrebbe consentire, se ben interpretata, anche a una razionalizzazione delle attività e quindi una riduzione dei costi, al di là dell’effetto positivo sulla reputazione dell’azienda.
Le attività di formazione sono considerate rilevanti dal 75% del campione che desidererebbe un supporto maggiore su marketing e vendita e in seconda battuta sulle tecniche agronomiche. “La ricerca ci ha confermato alcuni elementi che prima potevamo solo ipotizzare - ha sottolineato Babini - e ci rafforza nella volontà di tutelare e promuovere un modello produttivo, quello delle aziende vitivinicole verticali, che è fondamentale non solo per il futuro del mondo del vino, ma per la tenuta socio-economica di tantissimi territori italiani. Purtroppo quello delle nostre aziende è un modello resistente e fragile al contemporaneo. Ha resistito e continua a resistere grazie a fondamentali solidi di risorse e competenze, spesso trasmesse da generazioni. Ma in un contesto di grandi mutamenti a livello nazionale, europeo e globale, e di fronte a una crisi climatica che rende sempre più rischioso il lavoro agricolo, è importante che questo modello venga riconosciuto nella propria originalità e unicità, e messo nelle condizioni di competere alla pari con gli altri soggetti della filiera”.
Il 45% delle aziende interpellate per l’indagine non ha ancora affrontato il passaggio generazionale, tema cruciale in particolare per queste piccole aziende custodi di territori fragili che si vanno via via spopolando a detrimento di un patrimonio di tutti. Le difficoltà individuate sono il coinvolgimento generazionale ancora in corso per il 31% di queste aziende e le limitate risorse finanziarie, che rappresentano una barriera economica per garantire un passaggio efficace e strutturato. Inoltre emerge che l’accesso ai capitali potrebbe facilitare l’ingresso delle nuove generazioni e incentivare investimenti in innovazione e crescita. Tra le difficoltà anche la resistenza della generazione precedente e le modifiche nelle scelte strategiche dell’azienda. Le aziende che l’hanno già affrontato (43%) godono già dei benefici del passaggio generazionale, individuati nell’ampliamento delle opportunità commerciali, nell’innovazione di prodotti e servizi e nell’incremento delle competenze digitali. Effetti amplificati nelle aziende di dimensioni minori. Al contrario l’impatto è stato limitato sulla riduzione dei rischi operativi e sull’ottimizzazione dei processi. “Il passaggio generazionale è fondamentale per la continuità dell’attività che molti di noi hanno rilevato dalle generazioni precedenti e perché il territorio non finisca abbandonato vittima del cambiamento climatico e di dissesti - ha commentato Babini - certo rispetto ad altri settori noi che trasformiamo il nostro prodotto agricolo siamo più fortunati, ma per proseguire è necessaria una maggiore redditività e chiediamo anche agli istituti bancari strumenti ad hoc per supportarci negli investimenti”.
L’indagine ha rivelato anche - come illustrato da Biagio Maria Amico, accademico fellow, Sda Bocconi School of Management - che nonostante le piccole dimensioni la quasi totalità delle aziende del campione (il 93%) ha fatto sforzi importanti in termini di investimenti negli ultimi tre anni, a dimostrazione che si tratta di imprese che hanno come priorità il miglioramento aziendale. E questo è un elemento caratterizzante importante per l’accesso al credito a cui la maggior parte delle aziende accede con cambiali agrarie. “L’approccio di Crédit Agricole al tema della sostenibilità, sia essa economica, sociale o ambientale, è molto pragmatico - ha concluso Maurizio Crepaldi, responsabile direzione affari e Agri Agro di Crédit Agricole Italia - oggi per un’azienda vitivinicola adottare pratiche sostenibili è utile e conveniente perché significa progettare uno sviluppo durevole in termini di redditività e di reputazione aziendale. Come Banca, siamo al fianco della Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti perché riconosciamo l’importante ruolo di custodi e ambasciatori del territorio svolto dagli associati e vogliamo affiancare i loro percorsi di transizione ecologica”.
Clementina Palese
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