La notizia, va detto, è di quelle che avrebbero fatto trasecolare le buonanime di Joyce, Conan Doyle, Wilde e tutto il nutrito pantheon di sudditi di Sua Maestà britannica: ma nellʼanno domini 2014, stando a dati di “Cga Strategy” (www.cgastrategy.co.uk), riportati da “The Drink Business”, a tenere sempre più frequentemente a galla i bilanci dei pub britannici, storicamente “templi” della birra, sono nientemeno che il vino e i superalcolici.
Tra il 2013 e il 2014 queste due categorie di prodotti hanno infatti generato un aumento di ricavi per gli operatori del settore quantificabile in circa 280 milioni di sterline (334 milioni di Euro), accaparrandosi quote di mercato rispettivamente del 18% e del 22%. Perdipiù, hanno aggiunto gli analisti di CGA, queste due percentuali saliranno entrambe di un ulteriore 2% entro i prossimi quattro anni, lo stesso periodo nel quale la quota di mercato di birra e sidro scenderà del 3%. Altro dato sicuramente eloquente: la quota di ricavi dovuta al vino nei locali di recente apertura è pari al 22%, con birra e sidro “solamente” al 40%, mentre il trend si inverte per i locali che stanno per tirare giù la saracinesca - in questi ultimi le percentuali diventano rispettivamente pari al 12% e al 59% circa. Tutto questo sta accadendo nonostante il fatto che la birra sia stata esentata dal 2013 dallʼaggiornamento annuale delle imposte sugli alcolici (il cosiddetto “alcohol duty escalator”), che ha imposto alla vendita di tutti questi prodotti una tassazione annuale aggiuntiva del 2% oltre il tasso di inflazione: non a caso, quindi, la Wine & Spirit Trade Association sta alzando la voce per esentare dallʼaggiornamento anche vino e superalcolici. Lʼintroduzione di questa “scala mobile fiscale” ha portato ad oggi i consumatori britannici a pagare qualcosa come il 38,8% di tutte le tasse sugli alcolici imposte a livello europeo: il 79% del costo di una bottiglia di superalcolici (e il 57% di quella di una bottiglia di vino) nel Regno Unito se ne va proprio in tasse.
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