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La riscoperta dell’affinamento in anfora è una delle tendenze enologiche più interessanti degli ultimi anni: persa da secoli, affonda le proprie radici nell’Antica Roma, come emerge dagli scavi della Villa di San Giovanni, sull’Isola d’Elba

Italia
Gli scavi della Villa di San Giovanni, sull’Isola d’Elba, in Toscana

La riscoperta dell’affinamento in anfora è una delle tendenze enologiche più interessanti degli ultimi anni, capace di fare nuovi accoliti in tutta la Penisola, da Josko Gravner, in Friuli, tra i primi a puntare su una tecnica millenaria che in Est Europa, specie in Georgia, non è mai andata persa, ad Antonio Arrighi, che all’Isola d’Elba, da 6 anni a questa parte, ha fatto un passo indietro, enologicamente parlando, di 2000 anni. Già, perché sulle più grande delle isole toscane, porto di spicco già in epoca Romana, la produzione di vino era una delle attività principali, come emerge dal lavoro di Franco Cambi e Laura Pagliantini, co-direttori dello scavo archeologico della villa rustica romana di San Giovanni, nella rada di Portoferraio, presentato al Convegno “Vino in anfora fra ricerca archeologica e produzione”, di scena ieri a Firenze, nella cornice dell’Accademia dei Georgofili.
Gli scavi hanno portato alla luce diverse anfore vinarie, ed in particolare cinque “dolia defossa”, grandi vasi interrati che contenevano ciascuno più di mille litri, molto simili a quelle prodotte oggi dalla Fornace Artenova. La produzione enoica della Rada di Portoferraio, per quanto ne sanno gli storici, era destinata al consumo interno ed al mercato locale, anche se il potenziale appare decisamente superiore al fabbisogno. Una peculiarità che, però, si può spiegare alla luce del fatto che all’epoca il vino non era considerato solo una bevanda, ma un vero e proprio alimento che apportava calorie ed era fondamentale anche per l’alimentazione degli schiavi. Oltre alle “dolia defossa”, sono state ritrovate anfore vinarie che, invece, servivano per la commercializzazione del vino stesso verso la terraferma.

Focus - La sperimentazione della terracotta di Impruneta nell’affinamento del vino
L’uso della terracotta nell’affinamento del vino, in realtà, non è mai andato perduto, specie nei Paesi dell’Est Europa, ma in Italia, tranne rare eccezioni, è tornato sulla cresta dell’onda in tempi relativamente recenti, sulla spinta della partnership tra Fornace Artenova di Impruneta e diverse aziende del Belpaese, dal Friuli Venezia Giulia alla Campania.
“Le prime sperimentazioni sulla produzione di giare in terracotta di Impruneta per la vinificazione e l’affinamento del vino iniziano - racconta l’enologo Francesco Bartoletti - alla Fornace Artenova nel 2008, dove vengono svolte le prime prove di affinamento in piccoli contenitori da 100 litri, che hanno portato oggi a esportare le giare di terracotta di Impruneta in tutto il mondo. Le caratteristiche della terra di Impruneta sono risultate ottimali per l’uso enologico, isolamento termico e ossigenazione del vino in primis. Lo studio di un sistema di chiusura in acciaio inox - continua Bartoletti - ha permesso di completare il contenitore per un utilizzo ottimale da parte dei produttori di vino. L’utilizzo dei contenitori in terracotta consente di affinare e ossigenare il vino senza però cedere niente a differenza del legno e quindi promettono di rispettare al massimo le caratteristiche del vitigno e del territorio di origine senza modifiche sulle peculiarità organolettiche del vino.
Nel 2016 è iniziata una ricerca con il Dipartimento di Chimica dell’Università di Firenze per studiare a fondo le caratteristiche della terra e la porosità delle giare come anche gli aspetti aromatici dei vini affinati in terracotta, ed il 19 e 20 novembre 2016, ad Impruneta, andrà in scena “La terracotta e il vino” n.2.

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