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LA SICILIA DEL VINO È UNA DELLE REGIONI RAMPANTI DEL VINO ITALIANO, RICCA DI CANTINE E TERRITORI DI SUCCESSO. MA COLDIRETTI LANCIA L’ALLARME: UVE PAGATE 5 EURO A QUINTALE. LI PETRI (SETTESOLI): “PROBLEMA C’È, MA NON PER CHI HA PUNTATO SULLA QUALITÀ”

Italia
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La Sicilia è, senza dubbio, una delle Regioni del vino italiano cresciuta di più, negli ultimi 10 anni, sul fronte della qualità e del mercato, grazie ad una storia antica, a produttori illuminati e a fenomeni enologici come quello dell’Etna, per citare l’ultimo e più clamoroso in ordine di tempo, che ne hanno fatto una della “tigri” del vino italiano nel mondo, sempre più amata da mercato e critica. Ma è anche una delle Regioni più vitate e produttive d’Italia, e le difficoltà non mancano. Anzi, secondo alcuni, si rischia un vero e proprio collasso: a lanciare l’allarme è stata la Coldiretti, che ha denunciato uve pagate 5 euro al quintale, e prezzi in crollo anche del 50% sul 2012.
“C’è chi dice che esagero - spiega, a WineNews, Alessandro Chiarelli, alla guida di Coldiretti Sicilia - e se si scoprisse che è così sarei contento e chiederei scusa. Ma è da 8/9 mesi che i prezzi delle uve ribassano, da mesi chiediamo alle dogane, senza successo, il flusso di entrata di tutte le merci trasformate che arrivano in Sicilia, vino e mosti concentrati dall’estero. Abbiamo troppa produzione che va indirizzata in maniera diversa, perché se da una parte ci sono le eccellenze di decine di cantine che per fortuna sono riuscite a costruirsi un brand ed a venderlo sul mercato, ci sono migliaia di produttori, che seguono gli andamenti delle cantine di ammasso e delle vendite, e assistiamo da troppi mesi ad un gioco indefinito al ribasso, e la generalità dei conferitori di uve ancora aspetta i conguagli, non ha certezze, e prenderà la metà dell’anno scorso. Ci sono tanti problemi: tanto prodotto sfuso che arriva dall’estero, un’Europa che, consentendo lo zuccheraggio in alcuni Paesi, per esempio, non ci permettere di smaltire i mosti che invece potrebbero trovare mercato, non ci sono progetti di gestione delle eccedenza, si continua ad imbottigliare tanto vino siciliano fuori Regione, che poi non si sa che fine fa sui mercati, e ci troviamo Nero d’Avola a 98 centesimi al discount, senza nessuna ricaduta di valore sul territorio. E, in tutto questo, ci vorrebbe una Regione più forte, in quanto istituzione. E poi c’è una forbice tra quanto prende chi conferisce uva o vino, e quanto guadagnano gli imbottigliatori, che credo non esista in nessun altro territorio italiano. E mi chiedo se non ci sia un “cartello” di chi ha capitali, di imbottigliatori e di acquirenti delle uve, per tenere il prezzo basso”.
Toni esagerati, per molti, che, però, ammettono che il problema, in qualche misura, esiste, nonostante i tanti casi di successo del vino siciliano. Come Salvatore Li Petri, direttore Settesoli, una delle realtà più grandi ed affermate del vino siciliano: “questo tipo di allarmismi, non fanno altro che far male. Non ci dobbiamo nascondere dietro ad un dito, il problema esiste, ma bisogna prendere di petto la realtà per affrontare la situazione senza piangersi addosso. È chiaro che delle problematiche ci sono: la produzione nel mondo, quest’anno è stata molto più abbondante, in particolare, rispetto alle ultime due vendemmie e quindi sono riemersi di nuovo i problemi di 2/3 anni fa. Problemi che non risolviamo se non ci mettiamo in testa che il vino è un prodotto sul quale va creato un futuro, cambiando strutturalmente il modo di fare vino e commercializzarlo. Se io continuo a produrre, produrre, senza vedere cosa il mercato chiede, senza pormi il problema sulla qualità del vino che produco, se questo vino ha una sua identità o meno, è chiaro che la variabile su cui il cliente decide è solo il prezzo. Nel momento in cui si decide solo sul prezzo, è chiaro che, nel mondo, ci sarà uno che vende ad 1 centesimo meno di me e il gioco è al ribasso. Purtroppo, sta avvenendo anche questo. Nel momento in cui c’è stata una piccola sovrapproduzione di vino nel mondo, ma la domanda non è cresciuta, creando un minimo di esubero, le categorie di vini che soffrono di più sono i vini di qualità standard. Se il grosso della produzione in Sicilia è fatta da questa tipologia di vini, è chiaro che poi ci sono questi tipi di problemi. La Sicilia che, negli ultimi 30 anni, ha seguito un progetto imperniato sulla qualità non sta soffrendo, vive delle regole del mercato, gioca la sua partita e riesce a vendere le proprie bottiglie nel mondo. La Sicilia rappresentata dalle grida di allarme che dà la Coldiretti, non rappresenta quegli imprenditori illuminati e quelle aziende che hanno seguito un progetto di qualità, che hanno guardato al mercato come punto di sbocco. Se io continuo ad intestardirmi a fare un vino senza una sua identità, è chiaro che poi subisco il mercato. Se faccio una politica di qualità, una politica di fidelizzazione del cliente, o, anche nel mondo del vino sfuso, cerco di differenziarmi per produrre al meglio una qualità sempre migliore, il risultato lo porto a casa. Bisogna prendere, come esempio, le tante cantine virtuose che ci sono in Sicilia. Non si può ogni anno che ci sono dei problemi, andare a piangere dietro la porta dell’Assessore, l’Assessore non è il mercato. La Sicilia raccontata da questo allarme non è, fortunatamente, la Sicilia che ai più è conosciuta”.

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