
Ancora una piccola nicchia, destinata a crescere, che attualmente vale 2,4 miliardi di dollari nel mondo, ma che punta a raggiungerne i 3,3 nel 2028. Un trend, portato avanti anche dai consumi che cambiano, su cui il confronto e la discussione si è accesa, ma che, accanto a prospettive giudicate più o meno stimolanti, potrà continuare a svilupparsi grazie ad una normativa definitiva, al continuo progresso produttivo grazie alle tecnologie e, secondo alcuni esponenti del mondo del vino, anche con una esplicita difesa e salvaguardia del vino dealcolato. Il futuro del vino no e low alcol continua a tenere banco ed è stato al centro, oggi, di un nuovo appuntamento a Vinitaly 2025, a Verona, con “Tecnologia 0.0: produzione e innovazione a confronto” che ha visto in prima linea l’Unione Italiana Vini (Uiv) in collaborazione con Veronafiere.
Tra i presenti alla tavola rotonda (da sottolineare, oggi come ieri, la folta presenza di pubblico a dimostrazione di un tema che interessa non poco), produttori di vini “No-Lo”, realtà di spicco del mondo del vino e fornitori di tecnologie e macchinari per la dealcolazione italiani. Il focus è partito con una tecnologia che sta progredendo nei dealcolati, aspetto fondamentale per il rispetto delle caratteristiche organolettiche del prodotto e che può favorire tecnologie di scala. Ma al momento un forte freno, che è stato ribadito, arriva dall’impossibilità di poter produrre in Italia, aspetto che mette in “stand by” gli investimenti e fa aumentare i costi, visto che le cantine italiane si devono rivolgere all’estero.
Paolo Castelletti, segretario generale Uiv, dopo ieri, è tornato “sull’esigenza di sgombrare alcuni aspetti legati alle cantine, soprattutto per le accise per i no e low alcol”, richiedendo, di nuovo, “una norma ponte che ci accompagni fino al 2026”. Uiv ha evidenziato che “a inibire la produzione, oltre all’ambiguità delle disposizioni relative l’obbligo di separazione degli spazi che dovrebbe risolversi a breve, il pasticcio normativo che lascia il comparto in balia dell’incertezza sull’applicazione delle accise in attesa del decreto interministeriale, previsto a partire dal 1° gennaio 2026”.
E se Adolfo Rebughini, dg VeronaFiere, non nasconde la curiosità di vedere come si evolve il trend emergente dei “No-Lo”, a cui Vinitaly 2025 ha dedicato uno spazio importante, Massimo Pivetta, sales director wine Omnia Technologies, gruppo che si occupa di innovazione industriale e specializzato in soluzioni su misura per i settori del vino, delle bevande, degli alimenti, dei prodotti lattiero-caseari e farmaceutico, ha fatto una panoramica sulle tecniche di produzione. “I prodotti dealcolati devono avere una qualità accettabile ed essere il più vicino possibile al prodotto di origine, ma separare l’alcol non è semplice e nel vino ci sono componenti che non sopportano i cambiamenti termici”. Ma la tecnologia e il lavoro hanno prodotto risultati. Il tutto inizia grazie all’impiego di una “membrana che permette di separare componenti nobili (come i tannini, polifenoli e non solo, ndr) da acqua e alcol che si possono invece separare in modo semplice. Il processo è composto sottovuoto, non c’è consumo di acqua che viene recuperata. Di richieste ce ne sono, c’è un grande parlare, ma aspettiamo la normativa”. Anche Albano Vason, direttore generale VasonGroup, azienda specializzata in soluzioni e prodotti innovativi per l’utilizzo enologico e l’industria agroalimentare, ha spiegato la propria tecnica di dealcolizzazione del vino e i risultati qualitativi importanti ottenuti: “fare un vino dealcolato è molto più difficile che farlo con l’alcol perché all’interno del processo, nella fase di dealcolazione, si va a togliere un costituente che è fondamentale per diversi aspetti. Tra l’altro i vini dealcolati dovranno avere una data di scadenza, qualcosa di completamente nuovo per il mondo del vino. In Italia c’è molto fermento, ma abbiamo solo iniziato a vendere impianti. Stiamo lavorando molto bene in Spagna e ora si è aperto il mercato anche in Argentina ”.
Uno dei nomi più noti del vino italiano e altoatesino è Hofstätter, cantina storica dell’Alto Adige, guidata da Martin Foradori Hofstätter, un pioniere degli spumanti alcol free in arrivo dalla Mosella: “stiamo parlando dell’atterraggio su Marte, mentre in Italia non abbiamo ancora il binocolo per vedere la luna. Il mondo sta cambiando, dopo la nicotina sembra che sia l’alcol il nemico numero uno. La qualità è importante, io prevedo un “casotto” qualitativo, a livello di denominazioni, basta girare le controetichette e se ne trovano di tutti i colori, tra aromi naturali, infusi, sale contenuto. Il vino dealcolato deve essere protetto per legge. Da cosa? Dai cocktail, da tutte le bevande analcoliche. Il nemico non è il vino dealcolato. Va protetta anche questa parte della filiera e dobbiamo anche lavorare sulle denominazioni come hanno fatto i francesi, ci dobbiamo differenziare dal resto del mondo. Abbiamo perso del tempo inutile, dobbiamo recuperare. Io spero che i macchinari siano accessibili anche ai piccoli produttori per mantenere il nostro valore aggiunto”.
Per Fedele Angelillo, ceo Mack & Schühle Italia, azienda che produce e distribuisce vini nel mondo, “c’è una grande confusione nel mercato”, ma anche “una diversità qualitativa importante”. Il futuro sarà anche di queste nuove tipologie di vino e quindi “bisognerà lavorare sulla tecnologia per produrre no e low alcol, abbassare gli zuccheri il più possibile e agire sull’aromaticità dei prodotti. Dobbiamo uscire dal mondo delle bevande dove siamo relegati in una competizione a perdere con le multinazionali. Per fare questo dobbiamo continuare ad insistere sulla qualità, anche a partire dalla vigna”.
Claudio Galosi del Gruppo Argea, il principale Gruppo privato italiano nel settore vitivinicolo, ha ricordato come sui “No-Lo”, “abbiamo iniziato a lavorarci nel 2021. La qualità dall’inizio è aumentata molto. Io dico che il grosso del lavoro va fatto nei vigneti. Ad oggi i costi sono molto importanti per fare un impianto e la normativa non è molto chiara, andare all’estero fa aumentare i costi. Sono comunque fiducioso, guardando all’ultimo anno sembra che ne siano passati dieci. E la richiesta c’è”. Per Pierluigi Guarise, ceo Collis Wine Group, “da un lato guardiamo a questo mercato (“No-Lo”, ndr) con attenzione perché è positivo, ma diciamo anche prudenza. C’è confusione, non si capisce più dove è il vino, bisogna stare attenti a non debordare nel mondo delle bevande. Se non difendiamo il vino dealcolato rischiamo di non portare a casa il business. La tecnologia ha fatto e farà passi da gigante, ma serve prestare attenzione e normare quello che bisogna fare”. Riguardo a questo comparto di nicchia, ma in ascesa, il direttore tecnico Mionetto, una delle aziende di riferimento del Prosecco, Alessio Del Savio, sta lavorando con vini a base Glera per “accorciare sempre di più le distanze con il Prosecco, strizzando l’occhio alla denominazione”. La produzione, circa 4 milioni di bottiglie, è all’estero (Germania), “ma siamo convinti che partiremo anche in Italia: speriamo le modifiche del decreto siano vicine il più possibile”.
Le conclusioni, sul tema “No-Lo”, sono state affidate a Marzia Varvaglione, presidente Comité Européen des Entreprises Vins (Ceev) e dell’Associazione dei Giovani Imprenditori Vitivinicoli Italiani (Agivi): “stiamo facendo dei passi da gigante dal punto di vista della qualità, l’anno scorso si respirava la paura di un conflitto col vino, oggi diciamo che le tipologie sono complementari e ciò ci consente di differenziare il rischio in un contesto estremamente volatile dei consumi. Ora, come produttori e imprenditori, dobbiamo capire come tutelare questi vini e come inquadrarli in modo che siano facilmente e chiaramente riconoscibili anche per i consumatori”.
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