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LA VITE AD ALBERELLO DI PANTELLERIA SI CANDIDA COME SITO UNESCO. IL DOSSIER INVIATO AL MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE DALL’ISTITUTO DELLA VITE E DEL VINO, CONDOTTO DA CARTABELLOTTA E AGUECI. ECCO TUTTE LE MOTIVAZIONI DELLA CANDIDATURA ...

Italia
Una veduta di Pantelleria

L’alberello di Pantelleria si candida a diventare un sito Unesco. La proposta arriva dall’Istituto Regionale Vite e Vino (condotta dal direttore Cartabellotta e dal presidente Agueci), che ha inviato un articolato dossier al Ministero delle Politiche Agricole. Così l’antica forma di allevamento della vite, fortemente radicata nel territorio pantesco, ma diffusa anche in altre zone del Mediterraneo, potrebbe avere finalmente un meritato riconoscimento internazionale.
L’alberello pantesco rappresenta l’identità della comunità isolana, quella particolare forma di allevamento e conduzione della vite che risale a tempi antichissimi e che oggi viene ancora tramandata. A Pantelleria, l’Istituto Regionale Vite e Vino ha condotto studi, sperimentazioni, ricerche sulla produzione vitivinicola pantesca ed ha promosso iniziative promozionali volte alla valorizzazione della stessa, come gli studi sui biotipi del vitigno Zibibbo.
Tra gli organismi di tutela dell’alberello che si sono impegnati maggiormente negli ultimi anni, c’è il Comitato volontario per la tutela e la valorizzazione dei vidi doc dell’isola di Pantelleria, nato nel 1997, che rappresenta l’80% della produzione dell’intero imbottigliato, venduto all’anno, dei vini doc dell’Isola. Il Consorzio, inoltre, lavora per il recupero dei tipici terrazzamenti sui quali i vigneti hanno dimora da secoli.
“Scongiurare il loro lento deterioramento - si legge nel dossier - significherà salvare le radici degli uomini e delle vigne, conservare l’espressione più antica dell’agricoltura mediterranea e lasciar convivere quel micro eno-sistema con la sua stessa storia”.

Focus - La pratica agricola di coltivazione del vitigno in alberello
L’applicazione della pratica colturale della potatura alla pianta di vite risale a tempi remoti, ma la prima documentazione certa si ritrova nella letteratura greca. Pare infatti che i Greci siano stati i primi ad adottarla per migliorare la produzione della vite. Dalla penisola greca questa pratica si diffuse dapprima nell’Italia meridionale ed insulare , mentre solo in un secondo tempo anche Etruschi e Romani si convinsero della sua efficacia. La concezione greca della viticoltura era infatti impostata su vigneti con alta densità di piantagione, piante piccole (ad alberello) senza sostegni o con piccoli sostegni morti, con potatura corta e annuale. La potatura è una pratica colturale non naturale , ed è tuttavia la tecnica più importante ed efficace in mano al viticoltore per disciplinare e guidare la produzione sia in senso quantitativo che qualitativo.
E’ una pratica utile anche per equilibrare lo sviluppo della parte aerea rispetto all’apparato radicale e ad organizzare la vegetazione al fini di facilitare gli altri interventi colturali. L’alberello è una forma di allevamento a ridotta espansione, è diffusa un po’ ovunque ed è tipica delle regioni in cui occorre contenere lo sviluppo della vite ( Francia settentrionale, Germania, zone collinari dell’Italia Centrale, Italia meridionale ed insulare, Spagna, Grecia, Tunisia, Marocco …), principalmente a causa delle condizioni ambientali non ottimali (climi caldo-asciutti, freddi, ventosi, terreni poco fertili).
Ad esempio, nelle regioni caratterizzate da estati siccitose, la vite allevata a tronco bassissimo in modo da ridurre la lunghezza dei vasi conduttori; la vegetazione che si sviluppa in queste condizioni, a diretto contatto con il terreno, limita le perdite energetiche per il trasporto allorquando la chiusura degli stomi limita quella per traspirazione; le viti basse o piccole resistono maggiormente alla siccità di quelle alte ed espanse. E’ una forma di allevamento che consente un alta densità di impianto per ettaro; l’utilizzazione massima delle riserve in acqua del terreno è ottenuta con un alta densità d’impianto, in modo che le radici del vigneto possano esplorare tutta la massa del terreno. La produzione, fortemente influenzata dal limitato sviluppo raggiunto è normalmente ridotta, ma di alta qualità e di elevata gradazione.
La funzione sociale e culturale della pratica agricola di coltivazione del vitigno ad alberello
Le modalità con cui vengono tramandate di generazione in generazione le tecniche di coltivazione del vitigno ad alberello sono essenzialmente di “apprendistato”, sul campo gli anziani trasmettono ai giovani le tecniche di allevamento, e la coltivazione della vite ad alberello.
La funzione sociale è quella di perpetuare la sopravvivenza della viticoltura nell’isola, viticoltura che incide notevolmente sell’economia isolana e sull’equilibrio ambientale, viticoltura che può sussistere solo con questo tipo di coltivazione data il contesto climatico-ambientale particolare: la natura declive dei terreni che nel corso dei secoli ha reso necessario il terrazzamento degli stessi, l’esiguo spazio a disposizione nei terrazzamenti con impossibilità di meccanizzazione delle operazioni colturali, la limitata disponibilità idrica,i forti venti. In questo contesto l’unica forma di allevamento possibile è quella a piccola espansione, e, quella ottimale si è dimostrata nel corso dei secoli quella ad alberello e, segnatamente, quella ad alberello pantesco.
La funzione culturale è quella di testimoniare un’antichissima pratica culturale che dai greci si è tramandata sino ai nostri giorni, nonché di preservare un paesaggio caratterizzante dell’isola di Pantelleria.
Un patrimonio di agricoltura e paesaggio difficile da mantenere e che va disperdendosi nel tempo, da qui la necessità di preservarlo.
“Il paesaggio terrazzato di Pantelleria (Sicilia) rappresenta un paesaggio culturale in cui da decenni è in atto l’abbandono dell’attività agricola. Non solo dal punto di vista botanico, ma anche da quello faunistico, estetico e forse pure per il successo del turismo, il mantenimento di un mosaico di campi coltivati, giovani campi abbandonati e vecchi campi abbandonati sarebbe il modo ottimo per preservare i valori non-produttivi del paesaggio terrazzato di Pantelleria. Una riserva, che avrebbe come scopo primario quello di conservare almeno parte del paesaggio terrazzato, e potrebbe riuscire a preservare pure il sapere degli agricoltori, gli straordinari metodi di coltivazione, le formidabili strutture e l’aspetto imponente di questo paesaggio culturale”. (Ruhl J. 2003)
Questa pratica agricola tradizionale rappresenta fortemente l’identità della comunità di Pantelleria
L’alberello pantesco rappresenta fortemente l’identità della comunità di Pantelleria in quanto rappresenta una particolare forma di allevamento e conduzione della vite , una variante del classico alberello in relazione alle particolare condizioni ambientali, pedo-climatiche e agli usi e costumi locali. L’alberello pantesco e il contesto in cui è inserito (terrazzamenti, muretti a secco,) caratterizzano fortemente l’identità isolana. L’alberello pantesco costituisce un caratteristico elemento del paesaggio dell’isola che per un verso affascina e per altro verso denuncia la fatica e la dedizione di una comunità agricola che si è meritata rispetto attraverso i secoli.
E’importante che l’attenzione alla salvaguardia si rivolga oltre ai beni aulici e monumentali a quelle tecniche e pratiche che pur considerate minori e popolari sono in realtà alla base della costruzione dei paesaggi e la manutenzione degli eco-sistemi.
Nella costruzione dei terrazzamento con i muretti a secco, dei giardini panteschi dei dammusi c’è l’uso di materiali e di forme caratterizzati dall’armonia ambientale, dalla qualità estetica e dalla carica simbolica. Senza queste opere, frutto di un impegno millenario delle genti, le piante non possono attecchire, i pendii sono sottoposti all’erosione e la desertificazione avanza.
I vigneti di Zibibbo sono uno dei simboli dell’identità dell’isola, insieme ai capperi, agli ulivi, ai giardini panteschi, ai muretti a secco e ai dammusi, le tipiche case in pietra lavica con il tetto a cupola bianca, di cui l’isola è costellata. Un patrimonio di agricoltura e di paesaggio difficile da mantenere che va disperdendosi nel tempo.
La coltivazione ad alberello crea un senso di continuità, un legame tra i membri della comunità di Pantelleria
Perché la coltivazione ad alberello crea un senso di continuità, un legame tra i membri della comunità di Pantelleria? Vediamo alcune pillole di storia e di cultura … Il lavoro dei contadini a Pantelleria rappresenta uno straordinario esempio di viticoltura eroica. Il clima è caldo e ventoso, i terreni sono impervi e le vigne vengono coltivate su piccoli terrazzamenti contenuti da muretti a secco in pietra lavica; all’interno di “conche” scavate nel terreno la vite cresce bassa e si espande orizzontalmente per proteggersi dal vento. Occorrono fatica e dedizione perché il lavoro è quasi esclusivamente manuale e più di tutto occorre un’interpretazione attenta e intelligente dei singoli contesti viticoli dell’isola …
“Il paesaggio di Pantelleria è talmente sassosa e alpestre che per ridursi a coltura vi hanno, si può dire, sudato sangue què poveri abitatori. Egli è uno stupore vedere a’ monti ed alle scoscese colline tolto il loro declivio ed alpestre e per mezzo come sarebbe di tanti gradi formati e resi stabili con ritegni e trinciere di pietre scavate in abbondanza dal medesimo sassoso terreno, resi i poderi in piano e sentirsi così dalla pioggia, che si ferma tanto che produchi gli effetti delle sue beneficienze…Par giusto di vedere quello che ne dicono i viaggiatori della Cina dove nel consimile modo le montagne son ridotte in pianura”. (C.A. Broggia - 1757).
“Prima di arrivare al miracolo dello zibibbo, il pantesco aveva operato un altro miracolo, aveva trasformato la terra sterile della sua isola in una terra fertile. Scrive con enfasi il Broggia: “ed è talmente sassosa ed alpestre, che per ridursi a coltura vi hanno, si può dire, sudato sangue que’ poveri abitatori”. In effetti, la fatica del pantesco per costruirsi la sua agricoltura è stata eroica. Egli dovette lottare contro tre nemici: il pietrame, il vento e la siccità. Del primo, il pietrame, egli ebbe facilmente ragione, rimuovendolo e sistemandolo in muri a secco di contenimento del terreno collinoso e di divisione delle proprietà o addirittura ammassandolo in tumuli, chiamati sési, al pari delle tombe preistoriche (ora questi sési non sono più in uso), o impiegandolo nella costruzione dei giardini. Contro il vento ha rimediato, sottoponendo le piante a una spietata potatura (la felice espressione è del professor Bonasera), costringendole a sdraiarsi sottovento. Infine, contro la siccità, non ha trovato fin qui altro rimedio che raccomandarsi a Dio che mandi la pioggia … La guerra contro il vento, nel settore vite, fu più difficile che altrove e impegnò a fondo l’intelligenza dell’agricoltore pantesco. Per salvare l’uva in fiore dal micidiale nemico, non era sufficiente la potatura spietata della pianta, occorreva dell’altro e il nostro agricoltore ebbe un’idea dantesca: come Dante schiaffa i simoniaci entro “...fori, d’un largo tutti e ciascuno era tondo...”, così lui propagginò la sua vite entro buche circolari, chiamate in dialetto conche, e in ognuna di esse affondò un ceppo, distanziando uno dall’altro di otto palmi, cioè due metri. Quando la vite è spoglia, il terreno in cui è piantata appare un curioso colabrodo (Angelo D’Aietti - Il libro dell’Isola di Pantelleria).
“...Tre capolavori ha composto il genio degli abitatori dell’isola: i muri a secco, i giardini, i dammúsi. I muri a secco, costruiti senza una goccia di malta, possono apparire una banalità, ma sono indubbia opera d’arte. Confezionati con pietre grezze, rottami di roccia, che l’Orsi felicemente definisce “pietre brute”, accuratamente sistemate e incastrate, hanno tre importanti funzioni: assorbire la folla di pietrame che gremisce il terreno, contenere quest’ultimo, che è nella massima parte in pendio, delimitare le proprietà. La struttura più semplice di tali muri è quella a due file di pietre aderenti e combacianti; un’altra, più complicata, è quella a ccasciáta, di cui parleremo appresso.
La rete di muri a secco distesa sul terreno coltivato appare un grandioso ricamo, che mostra evidente la trama artistica. I giardini sono, nell’antica originale edizione, delle costruzioni cilindriche, fatte pure di muri a secco, che contengono, nel terreno ivi racchiuso, pochi alberi da frutto, per lo più agrumi. Hanno la precipua funzione di bonificare il terreno dall’eccesso di pietrame e inoltre quella ovvia di proteggere dal vento gli alberi che racchiudono. Grazie alla loro forma cilindrica, il vento, non trovando appiglio per soffermarsi e flagellare, passa oltre, lasciando in pace la nave (il giardino) e indenne la mercanzia a bordo, cioè gli alberi … I giardini sono una delle note più caratteristiche e pittoresche dell’isola, che purtroppo si va cancellando. I moderni costruiscono giardini rettangolari, guastando disastrosamente la gustosa pietanza del paesaggio pantesco. (Angelo D’Aietti - Il libro dell’Isola di Pantelleria).

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