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VINO E TERRITORIO

L’Abruzzo del vino, tra il primato in gdo e la qualità che cresce, corre lungo un doppio binario

Tra la grande produzione che porta il brand nel mondo, e gli artigiani che conquistano le vette. In vista del riassetto della denominazione

L’Abruzzo è da sempre terra di vino e pastorizia. E se dell’ultima l’espressione gastronomica più celebre e popolare sono gli arrosticini di pecora, parlando di vino il simbolo è senza dubbio il Montepulciano d’Abruzzo. Vino che stabilmente si gioca il podio dei più venduti nella grande distribuzione italiana con corazzate come il Chianti ed il Lambrusco, il Montepulciano d’Abruzzo, il più celebre dei vini abruzzesi, fu anche il vino degli emigranti che, in particolare nella prima parte del Novecento, portarono le proprie vite e le proprie conoscenze e consuetudini alimentari soprattutto negli Stati Uniti, ma anche in Canada e non solo. E non a caso oggi Usa e Canada, dopo la vicina Germania, sono i principali mercati stranieri del vino d’Abruzzo, che, all’export nel 2021, ha mosso più di 203 milioni di euro (in crescita del +8% sul 2020). Con i produttori abruzzesi, che riuniti nel Consorzio Vini d’Abruzzo, stanno lavorando a far crescere la qualità e la tipicità di una produzione che, nel complesso, è fatta di 3,8 milioni di ettolitri all’anno, di cui 1 milione a Denominazione d’Origine. Ed a questo milione concorre per la stragrande maggioranza proprio il Montepulciano d’Abruzzo, con 800.000 ettolitri. Mentre 192.000 nascono dalla gemma bianchista della Regione, ovvero quel Trebbiano d’Abruzzo fatto entrare nell’“Olimpo” dei grandi bianchi del mondo da griffe come Valentini o Masciarelli, nomi tra i più celebri del vino d’Abruzzo, insieme ad altre realtà di assoluto pregio come Zaccagnini o Emidio Pepe, che hanno portato lustro all’Abruzzo, negli anni, investendo anche nel legame tra vino e cultura, ma anche alle grandi cooperative cantine Codice Citra e Cantina Tollo e grandi realtà private come la Fantini Vini, con le loro etichette sugli scaffali di tutto il mondo. A spiegare a WineNews come si riesce a mantenere in equilibrio l’immagine dell’Abruzzo come terra di vini quotati dalla critica internazionale e presenti nei più grandi ristoranti del mondo, ma anche tra i più venduti nella distribuzione di massa, ed a tratteggiare la via per crescere ancora, in futuro, è Valentino Di Campli, presidente del Consorzio Vini d’Abruzzo, nella “Abruzzo Wine Experience”.
“L’Abruzzo è in salute, siamo cresciuti superando la pandemia, soprattutto con il Montepulciano d’Abruzzo, ma anche con Pecorino e Passerina, ed il 2022 è partito bene anche per il Trebbiano d’Abruzzo, che quest’anno celebra 50 anni dalla Doc, ma soffre dall’avere un nome che hanno altri vini non apprezzati come il nostro. L’anno, però, è partito bene, e siamo contentissimi. E, negli ultimi 3 anni, a partire dal 2018, abbiamo lavorato per una riorganizzazione dei disciplinari che rendesse chiaro in etichetta il racconto della diversità dell’Abruzzo, territorio vocato dalla costa alla montagna, alla produzione di vini che sono molto diversi, anche se vengono dagli stessi vitigni. La capacità di penetrazione attraverso la gdo ha fatto sì che i nostri vini fossero conosciuti in tutto il mondo. Contemporaneamente la capacità di alcuni ha fatto apprezzare alla critica del mondo i nostri grandi vignaioli, ma anche le cooperative, cresciute in qualità: è il “modello Abruzzo” che vogliamo rendere più evidente in un disciplinare che definisce meglio la scala dei valori, poi declinata sui territori, da quelli più grandi ai Comuni, alle vigne. È il lavoro che dovremmo fare sempre più in futuro, e continuare, anche con azioni come “Abruzzo Wine Experience”, per far conoscere produttori, bellezze paesaggistiche, culturali, legate ai vini, ovvero il nostro territorio”.
Per un Abruzzo del vino che, dunque, continua a viaggiare sul doppio binario della produzione di grandi numeri, per la gdo, affianco alle eccellenze. Come sottolinea Chiara Clavolich, a capo di Clavolich, una delle cantine emergenti, per quanto storiche, del vino abruzzese: “il doppio binario abruzzese è qualcosa con cui i produttori hanno a che fare da una vita, io ho iniziato in cantina nel 2004, e già era così. Già sul mercato c’erano i privati come Valentini, che hanno sempre lavorato sulla qualità e sul livello superiore, ma anche Masciarelli, per esempio. Negli ultimi 15-20 anni il mercato ha preso sempre più consapevolezza, il consumatore sa che c’è un Montepulciano d’Abruzzo che va da un livello base ad un livello aulico. Ora stiamo lavorando bene, il Consorzio sta lavorando alla modifica dei disciplinari per parlare, intanto, della differenza tra i prodotti che vengono fatti e imbottigliati al 100% in Abruzzo, e quelli che non lo sono, e vengono imbottigliati fuori Regione. Questa è una distinzione che non abbiamo mai avuto fino ad oggi, ed ora inizierà ad essere a portata al consumatore con la menzione “Superiore” in etichetta. E questo, in futuro, servirà anche a valorizzare i microterritori ed i cru, che faranno conoscere l’eccellenza abruzzese”.
Una terra, l’Abruzzo, dalla cultura millenaria, e dove anche il vino è “poesia in bottiglia”. Con il pensiero che, quasi d’obbligo, corre a Gabriele D’Annunzio, tra i più grandi poeti di tutti i tempi, che al vino della sua terra natale, l’Abruzzo appunto, ha dedicato versi tra i più belli, spesso mescolati all’eros, come ne “Il Dono di Dioniso”, per esempio. “... E de ‘l profumo agreste come de ‘l calor d’un vino si nutrivano i sogni dilettosi ...”, scrive ancora D’Annunzio. Ma, soprattutto, per il poliedrico ed eccentrico Vate, proprio il Montepulciano d’Abruzzo era soprattutto il “vino della memoria”, capace di svelare in un rapporto più letterario che reale, un lato inedito del poeta, che era rigoroso nella sua dieta, che a suo dire era quella “propria dei pastori abruzzesi”, quanto astemio, ma un profondo conoscitore e cultore dei vini più famosi della sua epoca, e delle tradizioni culinarie e dei prodotti semplici ma saporiti della sua terra, ricordati con nostalgia tante volte nelle sue lettere e nelle sue opere dall’esilio volontario al Vittoriale, perché legati ai ricordi più intimi di famiglia e alla madre, reggitrice della cucina. Dal brodetto di pesce al capitone di Natale, con i quali a casa D’Annunzio si stappava, ovviamente, il Montepulciano.
Una sintesi lirica di quello che è ancora oggi l’Abruzzo del vino: una terra aspra e dolce, rude e gentile, schiva e generosa allo stesso tempo, dove la vigna è presente dal tempo dei Romani, con le prime testimonianze certe della presenza del Montepulciano d’Abruzzo che sono del Settecento, per un vitigno che copre oltre 17.000 ettari di vigna, accompagnati dai 14.000 del Trebbiano, per l’80% allevati ancora con la Pergola abruzzese, altro tratto distintivo di un territorio che, anche attraverso una profonda riorganizzazione della sua piramide produttiva, con una sola Igp, Terre d’Abruzzo, al posto delle 8 fino ad oggi esistenti, con l’introduzione della menzione “Superiore” per i Dop regionali come i vini Montepulciano d’Abruzzo, Trebbiano d’Abruzzo, Cerasuolo d’Abruzzo, Pecorino d’Abruzzo, Passerina d’Abruzzo, Cococciola d’Abruzzo, Montonico d’Abruzzo.
Espressioni di un Abruzzo enoico che, secondo la critica di vino Veronika Crecelius, firma italiana della rivista tedesca ”Weinwirtschaft“, “in questo momento ha un’offerta di vini per tutti i mercati e per tutte le esigenze, è una Regione che può soddisfare tanti consumatori diversi.
Siamo ad un livello bellissimo per i vini bianchi, sviluppati molto negli ultimi anni, con tanta sperimentazione in vigna e cantina, con coraggio in alcune decisioni, anche costose, ma poi apprezzate sul mercato. Il Pecorino funziona, il Trebbiano è molto più longevo di prima, si sa trattare in vigna. C’è il Cerasuolo, che penso possa essere la “next big thing”, perchè è un grande vino che si può bere a tutto pasto. C’è il tema del colore, che è molto scuro, si fa fatica a collocarlo tra i rosati, ma non va snaturato, può essere un alternativa, per esempio, per chi vuole bere vini rossi anche in estate, ma è un vino complesso, che va spiegato al mercato. Poi c’è il Montepulciano, che ha bisogno di diventare più moderno, elegante, agile, e forse il cambiamento generazionale che c’è in tante cantine aiuterà. E poi, in Abruzzo, ci sono tanti vini biologici buoni, senza difetti, capaci di evolvere, e anche questo rappresenta una grande opportunità”.
Per un Abruzzo del vino, dunque, che sta segnando un buon andamento in questa prima parte di 2022, e cerca di avere tutte le carte in regola per un futuro. Futuro che “è il Cerasuolo, vino che ci caratterizza, che ci scorre nelle vene e che su cui dobbiamo contare, perchè lo facciamo solo qui”, spiega Giulia Cataldi Madonna, alla guida della celebre Cataldi Madonna, che aggiunge: “il mercato sta andando molto bene, il Covid paradossalmente ha aiutato i nostri vini, c’è stato un grande rimbalzo, e di Cerasuolo ne beviamo tantissimo qui in Abruzzo, ma anche all’estero”. “Il futuro è roseo - aggiunge Alessandro Nicodemi della storica cantina Nicodemi - lo dico perchè, in questi ultimi anni, sia le aziende familiari che le cantine sociali, che qui rappresentano l’80% della massa critica, hanno raggiunto livelli qualitativi molto alti. Il nostro Montepulciano d’Abruzzo non ha problemi di vendita. Il problema, semmai, è il prezzo medio che è ancora molto basso, non rispecchia la qualità del vino: il vino gira, ma non sappiamo ancora affermare il valore delle bottiglie. Siamo primi in gdo, ma siamo presenti anche nei più grandi ristoranti del mondo, ma le punte di eccellenza sono il 10-15% della produzione. Per il resto della produzione, ancora, i prezzi sono troppo bassi, se guardiamo ad un parametro come la produzione lorda vendibile, è ancora il 30-40% in meno rispetto ad altre regioni”. “La qualità sta crescendo in maniera trasversale - aggiunge Caterina Cornacchia della Barone Cornacchia - così come l’attenzione per la Regione, anche grazie al lavoro di promozione fatto dal Consorzio. C’è la riscoperta di una regione che fino ad oggi è rimasta un po’ in ombra, ed invece ha tantissima qualità, cose da raccontare ed esperienze da far vivere. Per il futuro dobbiamo puntare sull’autenticità, che vuol dire riscoprire la propria storia e riscoprire quello che si ha, partendo dai propri vitigni, da una viticoltura bio, dalle fermentazioni spontanee, aggiungendo il meno possibile ed esaltando quello che le uve hanno da darci”. “Il Montepulciano d’Abruzzo - aggiunge Fausto Albanesi della cantina Torre dei Beati - lo conoscono tutti, soprattutto nel segmento della convenienza, del grande rapporto qualità prezzo, sia in Italia che all’estero. La sfida è valorizzare le nostre eccellenze, che esistono e sono tante. È necessario, però, che lo sforzo di riforma dei disciplinari tenga conto di queste eccellenze e preveda, come in parte è, anche una differenziazione su scala geografica. Un disciplinare che prevede un solo vino ha meno appeal su un consumatore sempre più evoluto, rispetto ad uno che tenga conto delle zone di produzione. Avere una Doc unica come Montepulciano d’Abruzzo, come è stato fino ad oggi, voleva dire unire sotto lo stesso nome prodotti da 2 euro e da 150 euro a bottiglia, e questo diventa difficile da raccontare. È importante avere la forza di valorizzare differenze che esistono e che il consumatore vuole sapere, c’è grande interesse per l’Abruzzo, che è bellissimo, stupefacente, ma dobbiamo raccontarci in modo vero: quello che fanno nel Teramano non è quello che si fa a Loreto Aprutino, per esempio. Il vino non è più una commodity, ma si beve per apprezzarlo, per capire le differenze che ogni territorio esprime. È una chiave di lettura importante per affrontare i mercati in ottica futura”.
Con Abruzzo, toponimo e brand, che, comunque, ricorre sempre, con costanza, nelle Denominazioni più grandi ed in quelle di nicchia, per affermare l’identità dei vini di una Regione intima, come la descrive D’Annunzio, calorosa ma riservata, lontano dal turismo di massa e vocata a quello slow e “del silenzio” nei suoi borghi arroccati straordinariamente ricchi di storie, miti e leggende, e nella sua natura incredibilmente biodiversa, che dalle cime dei massicci del Gran Sasso d’Italia e della Majella alla Costa dei trabocchi, paragonati dal Vate a “ragni colossali” e descritti nella tragedia “Il Trionfo della Morte” come “macchine che parevano vivere di vita propria”, si immerge nel Mar Adriatico e si apre al mondo. E da quel mare, una terra di pastori, ma anche di pescatori, sa trarre una cucina poliedrica, che si esprime in un’altra peculiarità come i trabucchi, come spiega lo Francesco d’Angelo, chef del ristorante “Essenza - Cucina di Mare” a San Vito Chietino, sulla Costa dei Trabocchi. “La nostra cucina in Abruzzo, tradizionalmente, è prettamente di terra, più di carne e verdura. Poi siamo venuti fuori con il pesce ma non ovunque. I trabucchi stessi, che sono una peculiarità, erano di contadini che temevamo il mare, e avevano costruito queste macchine per pescare. Ed il pesce riportato a casa e dato alle mogli da cucinare poi si mescolava con i sapori della terra, con le verdure, e così per esempio è nato il brodetto, che ha una ricetta diversa in ogni città della costa”. L’Abruzzo, insomma, è pura poesia.

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