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L’INCONTRO

Le colline del Conegliano Valdobbiadene, il futuro tra genius loci e patrimonio umano

La storia del paesaggio e i suoi interpreti, tra i ciglioni del Prosecco, con lo storico Davide Rampello e del professore Mauro Agnoletti
CIGLIONI, CONEGLIANO VALDOBBIADENE PROSECCO SUPERIORE, DAVIDE RAMPELLI, MAURO AGNOLETTI, PAESAGGIO, UNESCO, Italia
Il paesaggio del Conegliano Valdobbiadene

Il concetto di paesaggio è ben più poliedrico ed antico di quanto si possa immaginare, ma anche più sfumato, perché non ha a che fare solo con l’ambiente che ci circonda, quanto con l’interazione che ha con l’uomo, che lo ha plasmato nel corso dei millenni. È il genius loci, l’espressione del carattere di un luogo. Le cui caratteristiche si intrecciano con la cultura, la storia, la sensibilità degli uomini che lo abitano e lo cambiano. Una connessione che ha assunto una rilevanza enorme nella cultura romantica, al centro dell’incontro “Genius loci e patrimonio umano: la tutela del paesaggio per il futuro della comunità”, organizzato dal Consorzio di Tutela del Conegliano Valdobbiadene Prosecco per approfondire il tema del paesaggio e proiettarlo nel futuro, nella prospettiva della sostenibilità ambientale, sociale ed economica, nel Festival del Conegliano Valdobbiadene (da oggi al 12 giugno). Un confronto arricchito dagli interventi di Innocente Nardi, presidente del Consorzio di Tutela del Conegliano Valdobbiadene Prosecco, Davide Rampello, storico della cultura materiale, curatore di mostre e direttore artistico di grandi eventi, Mauro Agnoletti, professore Pianificazione del paesaggio rurale alla Scuola di Agraria dell’Università di Firenze, Enrico De Mori, architetto paesaggista, delegato Fai per l’ambiente e responsabile del progetto pilota “Rolle Borgo Fai”, Jacopo Veneziani, professore e dottorando in storia dell’arte alla Sorbona di Parigi, e Aldo Bonomi, sociologo.
“La prima idea di paesaggio prende le mosse dal concetto di belvedere, una meraviglia nata quando Cosimo de’ Medici decise di costruire a Fiesole la Villa di Delizia, e, per la prima volta, fu fatto un terrazzamento che non aveva alcun altro scopo se non quello di riunire le persone ad ammirare ciò che li circondava, la bellezza”, racconta lo storico Davide Rampello. “Un luogo cioè, da cui ammirare il bello. Questo concetto di paesaggio sta negli occhi, nella mente e soprattutto nel cuore della gente. Per tutelare il paesaggio bisogna tutelare il sentimento che lo ha prodotto, la conoscenza, l’amore, il rispetto, che sono i veri valori che fanno sì che esiste un genius loci, l’idea di un capitale umano, e quindi un paesaggio. Che sta prima di tutto dentro all’uomo, è l’espressione del suo sentire, del suo sentimento, della sua conoscenza, del suo modo di lavorare”.
Una “terrazza” che, ricorda Rampello, sarà anche “Al centro del Padiglione Italia a Expo Dubai (inizialmente prevista per il 2020 e slittata ad ottobre, curato da Davide Rampelli, ndr), con un belvedere circolare alto 8 metri e di 12 metri di diametro, esternamente a muro a secco, ma con varie tessiture, per sottolineare come la diversità sia la testimonianza dell’ingegno dell’uomo, che opera in maniera diversa nei luoghi italiani, dal Friuli alla Puglia, dalla Liguria alla Val d’Aosta alla Sicilia, ma con la stessa intelligenza e qualità. E questa è l’anima della cultura romana e latina, il vero lascito alla cultura occidentale, ossia la cultura del progetto. Nella cultura latina nasce il design, il disegno. Vasari - ricorda Rampello - diceva che il disegno è il padre di tutte le arti, un concetto che nasce all’interno della cultura latina. È la base da cui tutte le culture italiane hanno saputo continuamente, con ingegno e grande abilità, trasformare ed evolvere, perché avevano avuto una straordinaria visione del mondo”.
Tornando tra i ciglioni e le colline del Conegliano Valdobbiadene, riprende lo storico, “sono l’ultimo lascito di una cultura che non è solamente dei padri e dei nonni, è di molto prima. Se penso alla cultura della vigna e della vite, dobbiamo tantissimo ai Romani. Se ragioniamo ripensando alla nostra memoria, pensando a tutti i valori che sono stati espressi, è chiaro che il punto non è solo tutelare il paesaggio, ma reimparare e reinsegnare agli uomini l’amore, la conoscenza. Genericamente diciamo natura, ma dentro ci sono incredibili conoscenza che purtroppo non comprendiamo più. Il mondo contadino e agrario ha un patrimonio enorme di conoscenza. Per dare l’idea di quanto sia importante capire e comprendere, uscendo dai luoghi comuni riguardo alla nostra idea di Rinascimento tutto arte, cultura e scienza - conclude Davide Rampelli - cito Piero Camporesi: “Può destare una certa sorpresa che lo Stivale apparisse, più che un Belpaese, una grande officina di industriosi artigiani, una terra di mastri, di artieri, di mercanti, di banchieri, di marinai, di ingegneri, di architetti, di zappatori, di ortolani, piena di laboratori, filande, mulini di ogni genere, terriere, miniere, di campi ben coltivati, di orti e giardini ammirevoli, più che un Paese di artisti dediti al culto del bello, un grande cantiere di macchine e di uomini operosi”.
Ma quali sono il ruolo storico dell’agricoltore e gli effetti futuri del riconoscimento dell’unicità di un paesaggio rurale, e Patrimonio Unesco, nel territorio del Valdobbiadene Conegliano Prosecco Superiore? Come ricorda Mauro Agnoletti, Professore di Pianificazione del paesaggio rurale alla Scuola di Agraria dell’Università di Firenze, “Il tema dei paesaggi e della ricchezza che rappresentano per il nostro Paese, frutto di millenni di storia, è stato per anni un tema sottostimato. Il Consorzio del Prosecco Conegliano Valdobbiadene è stato il primo a iscriversi al Registro Nazionale dei Paesaggi, valutando come le qualità del paesaggio stesso fossero parte del progetto di conservazione e valorizzazione del territorio. Un paesaggio si dice storico perché ha una sua stabilità, resilienza. Pensiamo alle enormi trasformazione vissute nel corso della storia dell’uomo nell’ultimo secolo, economiche, sociale ed ambientali, che non hanno stravolto alcuni paesaggi. Una integrità che non è come quella di un monumento, la vite ha un suo ciclo vitale, ma la si coltiva nello stesso modo, scegliendo sempre gli stessi assetti territoriali, usando quindi le stesse pratiche agricole, che si tramandano di generazione in generazione”.
Attenzione a non fare l’errore di pensare che la qualità di un paesaggio sia legata alla sua immutabilità. Al contrario, “C’è un elemento dinamico: senza un agricoltore che lavora, un paesaggio rurale non si conserva”, riprende Agnoletti. “È l’agricoltore a determinare il destino del paesaggio. Può scegliere di non lavorarci più, riconsegnandolo alla natura. O lavorarci con tecniche diverse e il paesaggio cambia, oppure di conservarlo così. Questa stabilità crea un’altra qualità, che il Prosecco ha, di rappresentare l’identità e un tratto della cultura del territorio. Non c’è identità che non si costruisca nel tempo, come un’identità si può modificare nel corso del tempo. Ma non c’è un genius loci senza che la storia abbia validato anche i processi di trasformazione: si possono accettare delle trasformazioni, ma ci vuole del tempo per riconoscerle come tratto culturale”.
Restando sull’esempio delle colline vitate del Conegliano Valdobbiadene, “in questo territorio ci sono dei tratti che si sono mantenuti, e che ne costituiscono i valori, che sono associati alla qualità dei suoi prodotti agricoli, alle pratiche agricole, alla cultura espressa attraverso l’approccio ad un territorio aspro e difficile, con pendenze incredibili, dove ad un agricoltore proveniente da altre zone dell’Europa sembrerebbe impossibile svolgere un’attività agricola redditizia, ma che alla fine crea il paesaggio”.
Così, continua il Professore di Pianificazione del paesaggio rurale, “Nel caso del paesaggio rurale, questo è il prodotto dell’attività dell’agricoltore, che nel corso del tempo crea un valore aggiunto, non riproducibile, che oggi è un driver per l’economia e la valorizzazione di beni e servizi legati al territorio. Per molto tempo, nel vino, si è puntato su ciò che ci hanno insegnato i francesi, nonostante la grande varietà dell’Italia e il ruolo dei Romani nell’aver introdotto la cultura enoica nel Nord dell’Europa. L’elemento importante è che per essere competitivi noi oggi non possiamo basarci solamente su vitigni o terroir, ma la qualità del paesaggio diventa un parametro con cui si compete nel mondo, anche solamente per l’ospitalità turistica. Noi siamo in una situazione in cui per valorizzare il sistema Paese, o alcune delle sue produzioni, l’elemento del paesaggio non è solo un elemento estetico, ma qualitativo”.
Ogni elemento, sostiene Agnoletti, non è indipendente dall’altro. “Non c’è un bel vigneto in un bel paesaggio, ma un bel prodotto che ha una qualità data dal rapporto tra le diverse qualità che creano quel paesaggio, che quindi diventa un aspetto qualitativo intrinseco anche dello stesso vitigno. Potrei coltivare la Glera in un’altra condizione, un’altra cultura, ma sarebbe un altro prodotto. È un aspetto importante perché apre scenari futuri interessanti per il nostro Paese. Rispetto all’iscrizione a Patrimonio Immateriale Unesco, c’è una novità: ci sono molti paesaggi vitivinicoli, ma questa è la prima candidatura di un paesaggio vitivinicolo che punta sul paesaggio”.
Ed è questo un tratto assolutamente originale, perché “Ci si iscrive per tanti valori, come sito culturale, come prodotto dell’opera dell’uomo, ma questa è la prima candidatura che punta sugli aspetti paesaggistici, in particolare il mosaico paesaggistico che contraddistingue il territorio del Prosecco e questa particolare modalità di sistemazione agraria fatta dai ciglioni”, ribadisce il Professore di Pianificazione del paesaggio rurale. Ciglioni che, riprende, “Non sono terrazzamenti veri e propri, come quelli fatti in pietra a secco presenti in tante altre parti dell’Italia, ma sono appunto dei ciglioni, ossia gradoni erbosi con i quali ci si arrampica in cima a queste colline con pendenze incredibili. È un tratto costante nel tempo, descritto già nel Seicento, ma di origine ancora più antica”.
In questo senso, conclude il professore Mauro Agnoletti, “l’aspetto paesaggistico è diventata la chiave di volta per iscriversi all’Unesco come paesaggio, e ha degli elementi interessanti di studio. Come la forma dei campi, spesso circondati da alberature o siepi, da filari arborati di piccola dimensione che creano un puzzle con caratteristiche molto distintive, che ne costituiscono anche l’aspetto estetico. Alla fine, questa candidatura, rispetto al turista che visita l’Italia e i siti Unesco in tutto il mondo, può mostrare questi aspetti del paesaggio, che sono sia percettivi, e quindi legati ad un’estetica, ma anche fatti di elementi legati alle pratiche agricole in rapporto con l’ambiente. Riconoscere questi ambienti significa indirizzare lo sguardo del turista, indirizzarlo e creare una cultura del paesaggio che può servire a molti altri aspetti legati ad un complesso di fattori e processi sociali, economici e ambientali che poi portano questi luoghi a fare da testimonial di un modello di agricoltura sostenibile e che risponde anche alle ansie e alle preoccupazioni attuali legate al destino del pianeta, ossia produrre in modo da non compromettere la base ambientale”.

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