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MERCATO ENOICO

Le coop del vino ai “raggi x”: l’analisi di Luca Castagnetti “Management DiVino by Studio Impresa”

Marginalità minori rispetto ai privati per privilegiare la remunerazione dei soci. Ma sempre più realtà creano o acquistano società di capitali
COOPERATIVE, MANAGEMENT DIVINO, MARCO CASTEGNETTI, STUDIO IMPRESA, vino, Italia
Le coop del vino ai “raggi x”: l’analisi di Luca Castagnetti “Management DiVino di Studio Impresa”

Sebbene sempre più orientate a mercato e qualità, nell’essenza delle cooperative del vino c’è, al primo posto, la remunerazione dei soci. E, considerando che buona parte della produzione cooperativa è destinata alla gdo, non stupisce più di tanto che sulle cantine private, le cooperative abbiano performance economiche minori in termini di redditività e valore aggiunto. Non di meno, il modello cooperativo, che è fondamentale per la tenuta di vaste aree viticole, ed è sempre più, con la forza dei numeri, terreno fertile anche per la sperimentazione in vigna, guarda sempre più spesso a società di capitale di proprietà delle cooperative stesse, ma che consentono una libertà di azione maggiore rispetto alla cooperativa stessa. È il quadro che emerge dall’analisi di Luca Castagnetti, direttore del Centro Studi Management DiVino di Studio Impresa, professore a contratto di Economia dell’Impresa Vitivinicola Università di Verona, per il “Corriere Vinicolo”, giornale dell’Unione Italiana Vini (Uiv). L’indagine è realizzata su un campione di 852 imprese con ricavi maggiori ad 1 milione contenute nella banca dati del Centro Studi Management DiVino, 852 realtà di cui 274 sono cooperative. Ma “è necessario rilevare che la maggior parte delle cooperative approva il proprio bilancio in luglio o agosto, allineando l’esercizio al naturale ciclo economico-finanziario, mentre le società private chiudono i loro bilanci nell’anno solare. Questo sfasamento comporta che nel fare analisi comparate tra loro, i periodi di riferimento non coincidono e i dati delle cooperative sono generalmente “più vecchi” di sei mesi sui dati delle imprese private”.
In ogni caso, spiega l’analisi di Castagnetti, se una similitudine si ritrova nel numero medio di addetti (30 per le coop e 33 per i privati), le differenze maggiori, come detto, sono nelle performance economiche: in primis, nella marginalità, con Ebitda del 5,4% per le cooperative contro il 12,8% delle cantine private, una forbice di 7,4 punti che è in crescita sul recente passato (era del 6% nel 2019). Nel dettaglio, su 13,6 miliardi di euro di ricavi del campione totale, le cooperative ne hanno realizzati 5,2, il 38,1%, con un utile netto di 67,1 milioni di euro, rispetto ai 510 delle cantine private. Per 677 milioni di euro di valore aggiunto (13%), rispetto a 1,8 miliardi delle cantine private (21,7%).
Un quadro che, secondo Castagnetti, si spiega principalmente per due motivi. “Il modello di business della cooperazione che favorisce i ristorni ai soci conferitori di uva: nella voce “Acquisti” del bilancio troviamo il maggior valore per kg di uva riconosciuto ai soci grazie alla loro compartecipazione al valore creato nella trasformazione e commercializzazione del prodotto. Nelle imprese private tale valore raggiunge i soci attraverso i dividendi che non incidono sul valore dell’Ebitda; nella differenza di valore aggiunto, poi, pesa non solo il valore dei ristorni ma anche il posizionamento della cooperazione nella filiera complessiva della produzione vitivinicola, in quanto molte cooperative non completano la catena di creazione del valore fino alla bottiglia fermandosi alla vendita di grandi quantità di vino sfuso. Per l’imbottigliato si registra anche un posizionamento del prezzo che fatica ad entrare nel segmento medio-alto del mercato, anche se con eccezioni di tutto rilievo”. Dal punto di vista prettamente finanziario, dunque, emerge chiaro come il modello cooperativo non sia particolarmente vincente, ma “per i conferitori agricoli il modello è virtuoso perché valorizza la loro uva facendoli compartecipi del maggior valore sviluppato a valle con la trasformazione in vino e successiva commercializzazione”. Tuttavia, per le cantine sociali, restano i rischi derivanti da una scarsa capitalizzazione che porta spesso ad un forte indebitamento, con poca capacità di investire.
Infatti, spiegano ancora i dati analizzati da Castagnetti, le cooperative hanno minori ammortamenti (pesano per un 3,7% sui ricavi contro il 4,93% delle private) a testimonianza di una minore attività di investimento. “investire in un contesto in cui i flussi di cassa sono il 50% rispetto a quelli ottenuti dalle imprese private e il peso dei debiti finanziari è molto alto rispetto alla capacità di produrre flussi non è agevole. Il sistema cooperativo pur avendo un peso minore sul mercato ha più debiti in valore assoluto rispetto alle imprese private: le coop con il 38,1% del mercato hanno una PFN di 941.329.525 euro, mentre le imprese private pur con il 61,9% del mercato hanno una Pfn che si ferma a 812.612.246 euro. Il rapporto Posizione Finanziaria Netta/Ebitda conferma questa grande differenza: 3,35 per le coop contro uno 0,75 delle imprese private. Questa situazione rappresenta un possibile handicap del sistema che nel lungo periodo può annullare i diversi vantaggi propri della cooperazione, tra cui ricordiamo il principale: quello fiscale. Le imprese private hanno un’incidenza delle imposte sull’utile netto del 37,65% per le industriali e del 10,58% per le agricole, mentre le cooperative si fermano al 2,8%”.
Ma oltre alla interessante e per certi versi inedita panoramica generale, l’analisi individua anche “i campioni” della cooperazione, dividendoli tra le cooperative che fatturano più di 50 milioni di euro, e quelle sotto a questa soglia. A livello complessivo, per fatturato, in testa c’è il Gruppo Caviro, con 408 milioni di euro (ed una crescita, in tre anni, del 16,3%), che spicca anche per redditività, con un Ebita dell’8,8%, su una media della cooperazione del 5,4%. Con 264 milioni di euro di fatturato, al secondo posto c’è Cavit, leader della cooperazione del trentino, che spicca per la posizione finanziaria netta in negativo di -39 milioni di euro (e quindi di fatto con cassa positiva), seguita da Cantine Riunite-Civ con 260 milioni di euro, davanti ad un altra realtà di riferimento in Trentino ed in Italia come Mezzacorona, a 213 milioni di euro, e a Terre Cevico con 167 milioni di euro. Ancora, in questo gruppo di “over 50 milioni di fatturato”, vengono segnalate anche le “cooperative emergenti”, con risultati di crescita importanti negli ultimi 3 anni, come Cantina di Soave, tra i principali player del vino veneto, con 143,8 milioni di euro di ricavi (+25,5% nel triennio), la siciliana Cantine Ermes con 118,8 (+36,2%), ancora la veneta Vi.Vo Cantine con 104,6 (ed una crescita del +87,5%), seguita da Cantine Vitevis con 64,9 +38,7%) e da Cantine di Verona con 58,9 (68,6%).
Ma se questo il quadro riservato ai “big”, interessante anche lo spaccato riservato alle cantine sociali, con ricavi tra 10 e 50 milioni, un campione formato da ben 90 realtà. Se al top per fatturati ci sono la siciliana Cantine Settesoli (48,9 milioni di euro), l’abruzzese Tollo (45,5) e la veneta Cantina Valpolicella Negrar (42,7 milioni di euro), per tasso di crescita, nel triennio, spiccano la Cantina Produttori di San Michele Appiano (+39,7%, a 28 milioni di euro), Girlan (+33,4% con un fatturato di 13,3 milioni di euro), e Terre Cortesi - Moncaro (+31,4%, con un fatturato di 35,5 milioni di euro), mentre il dato migliore sulla redditività è quello della Cantina dei Vignaioli del Morellino di Scansano, unica in doppia cifra con il 10,6%, ed un giro d’affari a 14 milioni di euro.
Ma come detto, “un aspetto nuovo da analizzare è quello che vede sempre più cooperative dare vita e/o acquistare società di capitali. Il fenomeno è poco conosciuto e mai messo in evidenza negli studi del settore. I motivi che portano una cooperativa a dare vita ad una società di capitali sono molteplici e dipendono da opportunità offerte da questo tipo di società e da vincoli che dipendono dal loro essere cooperativa che possono essere superati dalle società di capitali. Le Srl e le Spa non hanno il vincolo capitario (un socio-un voto) che caratterizza il mondo cooperativo e ben si prestano a operazioni finanziarie anche con soggetti diversi. Possono fare utili, distribuirli oppure reinvestire tutto senza dover rispondere ai soci e alle loro esigenze di reddito. Il dilemma della scelta tra difesa della redditività del socio e sviluppo dell’impresa Cantina Sociale trova nelle società partecipate una “scorciatoia” molto utile per sviluppare progetti altrimenti di difficile realizzazione”.
La forte crescita dei mercati porta, inoltre, molte cooperative a saturare la capacità di conferimento di uva dei propri soci, spiega l’analisi di Castagnetti, e ogni ulteriore crescita è soggetta al vincolo della “prevalenza” che obbliga a non superare le quantità di uva conferita con le uve acquistate sul mercato. Questa situazione suggerisce a molte cantine sociali di costituire veicoli societari esterni e paralleli nei quali sviluppare progetti enologici e commerciali altrimenti non realizzabili all’interno dei veicoli propri della cooperazione. Accade nella cooperazione la stessa situazione che spesso ritroviamo nelle imprese private “agricole”, anch’esse soggette al vincolo della prevalenza: la presenza nel gruppo di imprese “commerciali” realizzate per non far perdere alle imprese “agricole” la fiscalità di favore ad esse riconosciute. “Nella nostra banca dati delle imprese del vino abbiamo anche l’informazione relativa alle società soggette al controllo e al coordinamento da parte di altra società. Abbiamo preso in esame le più significative, escludendo le pure commerciali. Si tratta di 22 società che hanno realizzato nel 2021 (i bilanci 2022 ancora non sono disponibili) ricavi per 825 milioni di euro. Il volume è significativo e sposta la quota di mercato “proprio” della cooperazione dal 38,1% al 44,1%, facendo diminuire la quota privata da 61,9% a 55,9%. Il volume è importante, ma giova ricordare che in questa lista troviamo anche imprese leader come il Gruppo Italiano Vini di proprietà di Cantine Riunite & Civ Società Cooperativa Agricola”.
Se i ricavi sono significativi, spiega ancora l’analisi, non lo sono altrettanto, però, i risultati economici che risultano essere inferiori a quelli delle imprese private: questo gruppo di società registra un Ebitda del 7,53% che porta il risultato complessivo del mondo della cooperazione al 5,7% contro un 13,4% dei privati al netto delle società controllate dalle cooperative. Anche sotto l’aspetto finanziario queste 22 società ripercorrono le caratteristiche delle cooperative controllanti più che delle “sorelle” private. La Pfn è significativa e presenta un rapporto Pfn/Ebitda di 4,33 che porta il risultato complessivo del mondo della cooperazione al 3,53 contro un 0,53 dei privati al netto delle società controllate dalle cooperative.
“Il peso dei debiti finanziari che abbiamo visto essere una caratteristica della cooperazione italiana lo ritroviamo anche nelle Srl e Spa partecipate: questi dati sembrerebbero dimostrare che la cooperazione utilizza nelle sue partecipate le stesse logiche economiche e finanziarie utilizzate “in casa”, assimilando o leggermente migliorando i risultati delle proprie Srl e Spa ai risultati delle cooperative stesse. Forse un’occasione mancata per imprimere al mondo delle cantine sociali una più marcata traiettoria di sviluppo in linea con il mondo delle grandi e piccole imprese private del vino italiano”, conclude l’analisi di Luca Castagnetti, direttore del Centro Studi Management DiVino di Studio Impresa e professore a contratto di Economia dell’Impresa Vitivinicola Università di Verona.

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