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IL TEMA

Le potenzialità e le contraddizioni dei vini dealcolati: una questione di gusto, qualità e mercato

Con Meininger’s International e Weinwirtschaft un preciso focus su questo trend tramite analisi di mercato e un panel di degustazione

Il vino dealcolato è sulla bocca di tutti, ma è davvero “the next big thing”? Tra consapevolezza salutistica e cambiamenti nel gusto, il mondo del vino cerca di rincorrere i consumatori vecchi e nuovi per riconquistare quote di mercato, anche considerando la categoria dei vini no alcol. Ma la questione è molto più complessa di quanto si pensi. Un recente sondaggio dell’Università di Heilbronn in Germania - il mercato ad oggi più ricettivo per il segmento - ha condotto un’analisi di quattro anni tra i consumatori tedeschi (coinvolgendo 1.500 persone tra la popolazione generale), scoprendo che le categorie interessate ai vini dealcolati sono limitate, e che la loro motivazione ha meno a che fare con la salute o il portafoglio, bensì con il gusto: chiave sorprendente che, in pochi del settore, hanno affrontato. Lo hanno spiegato Clemens Gerke, capo redattore della rivista “Weinwirtschaft”, e Anja Zimmer, capo redattore di “Meininger’s International”, anche tramite il report annuale della Silicon Valley Bank sullo “Stato dell’Industria del Vino Statunitense 2024”, intervallato dalla degustazione di otto campioni di vini dealcolati da tutto il mondo (e premiati dal Concorso Mundus Vini, appositamente dedicato a questa categoria di bevande).
Intanto, un po’ di contesto: quello, ad esempio, in cui l’Oms, tra le ben note polemiche più volte raccontate, ha rivisto il consumo sicuro di alcol, a “zero bicchieri” al giorno. Viviamo anche in un periodo in cui sempre più giovani (le ultime statistiche stimano siano il 50%) decidono di non consumare alcolici e tra gli adulti, sempre più bevitori abituali di alcol decidono di diminuirne la frequenza (sono ormai noti e diffusi i Dry January e i Sober October, che tolgono ogni anno 2 mesi di consumo ai 12 totali). In questa attuale e diffusa disaffezione verso il vino, le etichette dealcolate potrebbero, secondo alcuni, rappresentare una boccata di ossigeno, anche in termini di semplificazione o soluzione agli ostacoli che la politica e la sanità stanno mettendo in atto per disincentivare il consumo di alcol e i problemi che ne derivano. Soluzioni, ad esempio, ad un canale di distribuzione pieno di ostacoli (tra licenze e monopoli, negozi specializzati), alla regolamentazione sempre più complessa (età legale per bere in rialzo, etichette sempre più severe, tasse/dazi/accise, negozi in diminuzione) e alle restrizioni pubblicitarie; mentre possono rappresentare per tutto il comparto del vino una occasione di innovazione e una opportunità per nuovi mercati e nuove fidelizzazioni.
Il sondaggio, effettuato in Germania, ha diviso la popolazione in 8 categorie rispetto all’interesse verso i vini dealcolati e solo 3 sono risultati ricettivi: gli antagonisti, contrari ideologicamente all’alcol, non ne consumano per questioni di gusto o di salute e rappresentano il 12,5% del campione; i conoscitori, che, da apprezzatori di vino senza esserne esperti, sono disposti a consumare vini dealcolati e rappresentano il 21% del campione; i giovani esploratori, che sono alla ricerca di cose nuove, in generale curiosi verso le nuove esperienze e rappresentano l’11% del campione. Il primo gruppo non è disposto a spendere più di 2 euro per i vini dealcolati, non sono quindi i consumatori giusti a cui rivolgersi (visti i costi di produzione); i conoscitori e i giovani esploratori, invece, concedono un tetto di spesa fino a 6,50-7,00 euro. Ma quali sono le motivazioni che rendono interessante in Germania il consumo di vino dealcolato? Non perdere la patente (per l’80%), non ubriacarsi (per il 71%), questioni di salute (per il 67%), curiosità verso il prodotto (per il 67%), gravidanza (51%), eventi sociali (34%) e questioni religiose (12%). Sembra quindi che sia più conquistabile il gruppo di conoscitori, che decide di alternare consumo di alcol a fasi/momenti di non consumo e il gruppo di giovani esploratori, che però è il più piccolo.
Dal report della Silicon Valley Bank, invece, alla domanda “Perché oggi consumi meno vino” le risposte più quotate hanno riguardato la salute (consumo meno alcol, 16,7%), il budget (devo spendere meno, 16,2%), il gusto (preferisco altre bevande, 9,8%), la dieta (consumo meno zuccheri, 9,3%), ed occasioni (non ho motivi per berlo, 8,8%). In totale, le motivazioni riconducibili al gusto hanno riguardato il 41,7% delle risposte, quelle relative alla salute il 26,5% e quelle di tema economico il 23%. La percezione gustativa è, quindi, centrale e va approfondita: i consumatori vogliono consumare meno calorie e il vino dealcolato ne contiene molte. Per enfatizzare gli aromi che la dealcolizzazione fa perdere (e che la presenza di alcol potenzia nel bicchiere) si aggiunge, infatti, zucchero: zucchero che si percepisce perfettamente al palato, creando quel contrasto dolce/acidulo tipico dei vini dealcolati. Tornando al sondaggio tedesco, il gusto è anche un tema per i conoscitori di vino, abituati ad una bevanda dal sapore completamente diverso. Comunicare i vini dealcolati come “sostituzione” al vino, potrebbe quindi essere la scelta sbagliata: sarebbe più utile concentrarsi sulle “occasioni” come eventi, festività e cene, dove i succhi o le bibite analcoliche hanno fin qui partecipato ai brindisi. È questo, ad esempio, che spiega il successo della birra analcolica (bevanda in realtà più facile da dealcolizzare visto il grado alcolico più basso, risultando anche più coerente aromaticamente rispetto al prodotto originario): non si è puntato sulla sostituzione, bensì sull’essere isotonica e rinfrescante, creando nuovi momenti di consumo.
Ed il mercato? Sembra essere in crescita, sia per le grandi aziende, che hanno i budget per investire in processi produttivi costosi (ma devono stare attenti alle strategie di posizionamento), che, per le aziende piccole, che possono usare il metodo della filtrazione (quella che funziona meglio, ma solo su piccoli lotti) e non devono badare alle strategie di mercato, perché una piccola produzione può essere anche servita nella ospitalità della cantina. Negli Stati Uniti il potenziale di crescita è dato al 6,4% entro il 2030 con cifre che toccano 1 miliardo di dollari. I principali competitori cui “rubare” segmento sono i cocktail analcolici (scelti dal 30% dei Millennials e dal 37% della Generazione Z) e la birra analcolica (rispettivamente 15 e 16%), mentre il vino dealcolato è scelto solo dal 9% dei Millennials e dal 10% della Generazione Z. Secondo l’Iwsr Drinks Market Analysis - No/Low Alcohol Strategic Study - per spingere la crescita è utile assicurare i consumatori che sia buono: puntare sulle celebrità dei social e sulla familiarità del marchio (sfruttando la “brand awarness” dei vini già sul mercato) può essere vincente, come sulle occasioni dove si consumano i competitori (aperitivi e feste). Anche i ristoranti possono contribuire alla diffusione dei vini dealcolati, studiando abbinamenti ad hoc (aiutati dai produttori che stanno già testando vini dealcolati con aggiunta di aromi che facilitino l’accostamento col cibo). Accostamento che ad oggi risulta abbastanza difficile, stando agli assaggi effettuati. Vini dealcolati assolutamente corretti e piacevoli (e, infatti, premiati al Concorso Mundus Vini), che, però, al momento è più facile immaginare adatti ai brindisi o durante un aperitivo, come già argomentato sopra, rispetto alle strategie di mercato da adottare per far comprendere, apprezzare e quindi vendere il prodotto. Le etichette, servite in quest’ordine - Schloss Wachenheim, Light Live 0,0% Sparkling Rosé (Germania), Mionetto, Alcohol Free Rose 0,0% (Italia), Lea Winery, Franc Lizer Spumante Blanc de Blancs Dealcoholized Wine 0% (Italia), Weingut W. & A.Löffler, Blanc de Blanc Alkohol Frei Null Alkohol - Voller Genuss (Germania), Neuspergerhof, Jederzeit weiß (Germania), Cantina Zaccagnini, il Tralcetto Vino Dealcolizzato Bianco (Italia), Rotkäppchen, Doppio Passo Primitivo Alternativa (Italia/Germania), Miguel Torres, Natureo Garnacha - Syrah 2022 (Spagna) - sono risultate tutte molto intense in termini di profumi (essenzialmente primari, quindi floreali e fruttati, con qualche eccezione tropicale, agrumata o balsamica se non addirittura speziata nel caso delle versioni rosse), enfatizzati ovviamente dalle eventuali bollicine. Al palato c’è dolcezza con intensità diversa, ma ovunque contrastata da spiccata acidità appuntita, che ricorda il succo di limone. Sono forse i rossi ad aggiungere un po’ di complessità, soprattutto nel sorso, dove permane la sensazione tannica del vino originario, regalando una sensazione di maggior persistenza e struttura.
A parte il gusto, restano in piedi, però, per i vini dealcolati diverse altre contraddizioni e problemi. La sostenibilità economica: produrre vini dealcolati costa decisamente più di un vino, perché ai costi di produzione del vino si aggiunge la dealcolizzazione e la eventuale successiva gassificazione per renderlo effervescente. Servono macchinari cari e si perdono quantità di prodotto e quantità di aromi. E se da un lato bisogna strategicamente vendere sullo scaffale i vini insieme alle loro versioni dealcolate per giustificarne i prezzi (decisamente più alti di qualsiasi altra bibita analcolica), dall’altra è fuorviante per il consumatore abituale, che pensa di comprare qualcosa che si assomiglia nel gusto, proprio quando tutti gli esperti avvertono che non bisogno confrontare le due categorie. La seconda contraddizione riguarda un tema imprescindibile di questi tempi, che è la sostenibilità ambientale: si mette in atto una catena di produzione per creare alcol (in questo caso dai grappoli), seguita poi da una catena di produzione che serve a togliere alcol. Lungo il processo si spende molta energia, si spreca molta acqua e, di nuovo, si perde prodotto: non proprio un processo virtuoso, che i salutisti tengono in considerazione. In ultimo, la deperibilità: non contenendo alcol, i vini dealcolati vanno consumati presto e hanno quindi una data di scadenza che va comunicata ai consumatori; il rischio è che le persone come i giovani esploratori li bevano mesi dopo l’acquisto, vivendo un’esperienza negativa che imputerebbero alla qualità del prodotto anziché all’alterazione del liquido.
Tutte considerazioni che si inseriscono in un quadro in cui, vale la pena ricordarlo, l’Italia ed i suoi produttori aspettano ancora una norma nazionale che consenta di produrre i vini dealcolati nei confini nazionali, in ottemperanza al regolamento Ue in materia, come già fatto da Francia, Spagna e così via. Al netto della visione, imprenditoriale e politica, tra chi vuole considerare i dealcolati comunque all’interno della galassia del vino, e chi non li considera vino e vorrebbe vederli chiamati in un altro modo.

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