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L’ANNUNCIO DI TRUMP

“L’imposizione di un dazio al 30% supera ogni soglia di tollerabilità per le imprese italiane”

Così Federalimentare sulle nuove tariffe Usa sui prodotti Ue. Le reazioni di Confagricoltura e Coldiretti, Unione Italian Vini - Uiv e Federvini
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Le reazioni dell’agroalimentare italiano ai dazi Usa al 30% sui prodotti Ue

Sull’annuncio di dazi al 30% su tutti i prodotti Ue in entrata negli Stati Uniti a partire dal 1 agosto, contenuto nella lettera pubblicata sul suo social Truth dal Presidente Usa Donald Trump, indirizzata alla Presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, una prima dichiarazione dall’Italia, è arrivata dal presidente Federalimentare Paolo Mascarino che sottolinea come “ogni dazio fa male al commercio e avremmo preferito un’area di libero scambio euroatlantica, a dazi zero: l’imposizione di un dazio al 30% supera ogni soglia di tollerabilità per le imprese, aumentando il rischio di un calo significativo delle esportazioni, anche alla luce dell’attuale svalutazione del dollaro”. In particolare, spiega Mascarino, “il combinato disposto dell’impatto dei dazi Usa e della svalutazione del dollaro non sarà sostenibile per diversi settori e a tutela delle imprese chiediamo alla Ue un intervento della mano pubblica: così come gli Stati Uniti hanno fatto con i dazi, che di fatto è un intervento pubblico per proteggere la loro industria, anche noi lo chiediamo. Non pensiamo però a sussidi, ma ad urgenti interventi strutturali per rafforzare la nostra capacità competitiva riducendo i dazi interni alla Ue: snellire il carico burocratico sulle imprese, riformare i mercati dell’energia per garantire una riduzione dei prezzi, facilitare l’accesso al credito. In tal senso, proseguire con maggior decisione sulla strada del taglio dei tassi di interesse nell’area euro potrebbe aiutare la crescita economica”.
Per Federalimentare, “resta comprensibile - prosegue il presidente Mascarino - che la Ue voglia dare una risposta politica ai dazi americani, per dignità istituzionale e affinché non sia mortificata da questa decisione dell’amministrazione Trump: ma questa risposta della Ue riteniamo debba essere prudente e ancora aperta al negoziato, visto il rischio di un ulteriore 30% in caso di ritorsione. Il Presidente Meloni sta conducendo una complessa azione in Europa per contenere tutti coloro che vorrebbero una risposta muscolare alla minaccia dei dazi Usa, una strategia che rischierebbe di essere autolesionista per l’Europa e in particolare per l’Italia”.
Per il presidente Confagricoltura Massimiliano Giansanti, “i dazi al 30% all’Europa annunciati dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump vanno oltre ogni più cupa previsione e sono assolutamente inaccettabili. Per l’agricoltura europea, e per quella italiana, sarebbero una condanna che va a colpire non solo il settore primario, ma l’economia di interi Paesi. Le nostre imprese - aggiunge Giansanti - non potrebbero sopportare un carico di questo tipo, e la questione non riguarda solo la filiera agroalimentare. Come Europa dobbiamo essere uniti nel negoziato e trovare una soluzione che non affossi l’economia del nostro continente e che non metta in discussione i sistemi produttivi sul tema delle barriere non tariffarie”.
“I dazi al 30% annunciati dal presidente Usa Donald Trump sui prodotti europei potrebbero costare alle famiglie statunitensi e all’agroalimentare italiano oltre 2,3 miliardi di euro”, stima, infatti, Coldiretti, sulla base dell’impatto per le filiere nazionali già sperimentato in occasione delle tariffe aggiuntive imposte dal tycoon nel suo primo mandato, che aveva portato a un calo delle vendite a doppia cifra per i prodotti colpiti. L’impatto in termini di prezzi maggiorati per i consumatori americani si tradurrebbe inevitabilmente in ricadute anche sulle aziende italiane, vista la richiesta di “sconti” da parte degli importatori riscontrata nelle scorse settimane. La diminuzione dei consumi porta inevitabilmente a prodotto invenduto per le imprese tricolori, costrette a dover cercare nuovi mercati. Il tutto senza dimenticare il pericolo falsi, con gli Stati Uniti primo produttore mondiale di falso cibo made in Italy. L’eventuale scomparsa di molti prodotti italiani dagli scaffali rappresenterebbe un assist per la già fiorente industria del tarocco, stimata in un valore di 40 miliardi di euro. Al danno immediato in termini di un probabile calo delle esportazioni andrebbe ad aggiungersi quello causato dalla mancata crescita, aggiunge Coldiretti, con il cibo made in Italy in Usa che quest’anno puntava a superare il traguardo dei 9 miliardi di euro. A pesare è anche il fatto che le nuove tariffe aggiuntive andrebbero a sommarsi a quelle già esistenti, penalizzando in particolar modo alcune filiere cardine, a partire da quelle già sottoposte a dazio. Con il dazio al 30%, le tariffe aggiuntive per alcuni prodotti simbolo del Made in Italy arriverebbero al 45% per i formaggi, al 35% per i vini, al 42% per il pomodoro trasformato, al 36% per la pasta farcita e al 42% per marmellate e confetture omogeneizzate, secondo le proiezioni. “Imporre dazi al 30% sui prodotti agroalimentari europei, e quindi italiani, sarebbe un colpo durissimo all’economia reale, alle imprese agricole che lavorano ogni giorno per portare qualità e identità nel mondo, ma anche ai consumatori americani, che verrebbero privati di prodotti autentici o costretti a pagarli molto di più oltre ad alimentare il fenomeno dell’Italian Sounding - afferma il presidente Coldiretti Ettore Prandini - purtroppo non possiamo che constatare, laddove dovessero essere confermati i dazi il 1 agosto, il totale fallimento della politica esercitata dalla von der Leyen a danno dei settori produttivi e delle future generazioni. La Presidente deve spendersi per una soluzione vera, come non ha ancora fatto. In un momento delicatissimo per gli equilibri geopolitici ed economici globali, colpisce la totale assenza di coraggio e di visione strategica da parte dell’Europa. Mentre il mondo si riarma, le filiere si ricompongono e le grandi potenze investono nel rafforzamento della propria sovranità alimentare ed energetica, Bruxelles pensa a tagliare risorse proprio ai settori produttivi più strategici come l’agricoltura e dell’economia reale”. “Dopo la decisione europea di aumentare il proprio contributo alla Nato per superare quello degli Stati Uniti - aggiunge il segretario generale Coldiretti Vincenzo Gesmundo - la scelta americana di colpire il nostro agroalimentare con dazi punitivi appare profondamente ingiusta e del tutto asimmetrica. Non si può chiedere all’Europa maggiore responsabilità strategica e poi penalizzarla economicamente sul commercio. Serve uno scatto di lucidità da parte di tutti: ci auguriamo che un supplemento di razionalità, non solo diplomatica, riporti la discussione sul terreno del buon senso e dell’equilibrio tra alleati”.
A ruota, è arrivata anche la reazione del mondo del vino, con Unione Italiana Vini - Uiv: “è bastata una lettera per scrivere la pagina più nera dei rapporti tra due storici alleati dell’Occidente. Il 30% di dazio sul vino, se venisse confermato, sarebbe quasi un embargo per l’80% del vino italiano. A questo punto il destino nostro e di centinaia di migliaia di posti di lavoro è vincolato ai tempi supplementari, che saranno fondamentali, perché è impensabile poter collocare altrove nel breve periodo questi volumi di vino. Contestualmente, servirà senz’altro un intervento straordinario dell’Ue”, dice il presidente Unione italiana vini - Uiv Lamberto Frescobaldi.
Anche per la Federvini si tratta di una misura gravissima e ingiustificata, che rischia di compromettere un equilibrio costruito nel tempo, fondato sulla fiducia reciproca, sul dialogo commerciale e sulla condivisione di valori tra partner storici. Gli Stati Uniti rappresentano da anni un mercato strategico per l’export italiano, in particolare per i nostri prodotti di eccellenza, che hanno saputo conquistare la fiducia dei consumatori americani e contribuire in modo significativo alla crescita economica sia nazionale che transatlantica. L’introduzione di un dazio di questa entità metterebbe seriamente a rischio la competitività delle imprese italiane, con pesanti ricadute anche sulle controparti statunitensi. “L’imposizione di un dazio generalizzato del 30% colpisce in modo indiscriminato settori ad alto valore aggiunto, come il nostro - dichiara Giacomo Ponti, presidente di Federvini - è una misura gravissima e ingiustificata, che penalizza non solo i produttori europei, ma anche gli operatori economici americani che fanno parte integrante della nostra filiera commerciale”. Federvini osserva come le relazioni economiche tra Unione Europea e Stati Uniti siano profondamente interconnesse, in particolare nei settori legati all’agroalimentare, alla distribuzione e alla ristorazione. Misure unilaterali come questa, adottate senza consultazione o confronto, compromettono il principio di reciprocità su cui si basa il commercio internazionale e rischiano di produrre conseguenze durature e dannose da entrambe le parti. Negli Stati Uniti, il sistema distributivo a tre livelli - importazione, distribuzione e vendita - genera valore aggiunto anche grazie alla presenza dei prodotti europei. Per ogni dollaro speso in beni europei di qualità, si attivano fino a 4,50 dollari nell’economia americana, tra occupazione, fiscalità e crescita del comparto horeca. “Non si tratta solo di proteggere il nostro export - prosegue Ponti - ma di tutelare un interesse economico comune. Le nostre eccellenze sono parte di un ecosistema economico e culturale condiviso: ostacolarne l’accesso al mercato statunitense significa danneggiare anche le filiere e i lavoratori americani che, da anni, ne sono parte attiva”. Federvini accoglie con convinzione l’impostazione costruttiva espressa dalle istituzioni europee, che hanno riaffermato la centralità del dialogo transatlantico e la necessità di tutelare gli interessi comuni nel rispetto delle regole internazionali. “È fondamentale - afferma Ponti - che l’Europa si presenti con una voce unita e determinata per tutelare le proprie filiere strategiche e gli operatori economici colpiti da scelte unilaterali e sproporzionate”. La Federazione chiede una risposta immediata, chiara e coordinata da parte delle istituzioni italiane ed europee, con l’obiettivo di riaprire il confronto a livello bilaterale e multilaterale, nel pieno rispetto delle regole del commercio e della cooperazione internazionale. “È in gioco la sopravvivenza di migliaia di imprese e la stabilità di un ecosistema virtuoso che ha generato valore e occupazione su entrambe le sponde dell’Atlantico. Occorre agire subito, con spirito costruttivo, visione strategica e una voce europea forte e coesa”, conclude il oresidente Ponti, sottolineando come Federvini continuerà a operare in stretto contatto con le autorità italiane, le istituzioni europee e i partner internazionali, per contribuire a una soluzione equa, sostenibile e coerente con i principi che hanno ispirato fino a oggi la relazione tra Europa e Stati Uniti.
Basti solo ricordare, ancora una volta, quanto l’industria alimentare italiana sia fortemente orientata all’export: gli Usa sono la seconda destinazione del nostro export, e valgono nel 2024 7,7 miliardi di euro di fatturato, pari al 14% del totale delle nostre esportazioni; prima degli Stati Uniti abbiamo solo la Germania, che vale 7,9 miliardi di euro. Lo stesso vale per il vino italiano, del quale gli Usa sono il mercato più importante con circa 2 miliardi di euro di export, pari al 24% delle esportazioni totali, e con le etichette tricolori che rappresentano il 40% dell’export totale dell’Ue verso gli Stati Uniti; ad aprile 2025, primo mese soggetto ai dazi, l’export di vino italiano verso gli Usa ha registrato una battuta d’arresto, con un calo del 7,5% a volume e del 9,2% a valore; allargando lo sguardo all’Ue, l’export di vino europeo verso gli Usa vale quasi 5 miliardi di euro l’anno, quello proveniente da oltreoceano arriva a 318 milioni di euro; e complessivamente le vendite di alcolici europei negli Usa (vino incluso) generano un fatturato di 8 miliardi di euro a fronte di un import degli stessi prodotti pari a 1,3 miliardi di euro. Gli States restano, perciò, un mercato davvero fondamentale, e resta prioritario favorire la presenza delle nostre imprese sostenendone la competitività.

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