Dopo le luci della ribalta di Times Square, il cuore pulsante di New York, crocevia quotidiano animato da milioni di persone provenienti da ogni parte del mondo, il vino italiano, che, per giorni, si è preso la scena, prima con i Grandi Marchi (che mette insieme 18 delle realtà familiari del vino italiano più importanti), poi con la “Wine Experience” firmata “Wine Spectator”, ed infine con il “Simply Italian Great Wines” by Iem, vola nell’entroterra, a Chicago, sulle sponde del lago Michigan, che, in un autunno straordinariamente caldo, tiene fede al suo soprannome. La “windy city”, seconda tappa del tour Usa (di scena, oggi, con WineNews presente), è entrata ormai prepotentemente nella mappa e nei radar delle aziende italiane, e non potrebbe essere altrimenti. Terza città più grande del Paese, la capitale dell’Illinois è una meta meno battuta dal turismo internazionale, ma non per questo meno interessante. L’architettura neo gotica la rende unica, riconoscibile e affascinante, il Field Museum ed il Museum of Contemporary Art, tra gli altri, sono i fiori all’occhiello di una intensa vitalità culturale, ma è la National Italian American Sports Hall of Fame, il museo dedicato agli atleti statunitensi di origine italiana, che mantiene in vita, dal 1977, il legame tra la città di Chicago e l’Italia. Oggi il 3,5% della popolazione cittadina ha origini italiane, ma la metropoli è stata capace, nei decenni, di costruirsi una identità fortissima, anche in termini gastronomici. La “deep-dish pizza”, ad esempio, che ben poco ha a che fare con la pizza italiana, se non per la forma e, almeno nelle intenzioni, nel condimento, è una vera e propria icona di Chicago, conosciuta in tutti gli Stati Uniti e amatissima, tra i tanti, da Oprah Winfrey. E poi, restando in tema, c’è il non meno iconico “italian beef”, un panino farcito da sottilissime fettine di roast beef bollito con il suo brodo ricco di spezie, le cui origini sono a dir poco fumose, ma è diventato popolare negli anni Trenta del Novecento grazie ad un macellaio italiano: Pasquale Scala.
Quello tra Chicago e l’Italia, come si può immaginare, è in legame forte, con momenti e protagonisti più o meno edificanti, come racconta bene la parabola di Al Capone, il gangster più mediatico della storia americana, nato a New York ma spedito proprio a Chicago da quella che negli anni Venti veniva chiamata “Mano Nera”, ossia la mafia italiana. Era l’epoca del proibizionismo, e Al Capone con il contrabbando di alcolici contribuì non poco alla crescita della mafia italo americana in una città che, nei decenni successivi, è passata per tanti momenti difficili, dalle proteste del 1968 al triste primato, purtroppo ancora attuale, di città con il tasso di criminalità più alto di tutti gli Stati Uniti.
Ma Chicago è anche molto altro. È il secondo centro finanziario in Usa, e nel 2015 ha generato un Pil di 360 miliardi di dollari: un sesto del Pil italiano. Qui sono nati i mercati dei futures e delle materie prime, dagli anni Settanta la finanza ed i servizi hanno soppiantato senza grossi drammi l’industria e le altre attività, e parallelamente la città che ha dato i natali a Michelle Obama, Kanye West ed Harrison Ford è diventata un punto di riferimento nella lotta per i diritti civili. Una metropoli occidentale, dove ristoranti e locali si riempiono ogni sera, e dove accanto a Negroni e birra, scorrono milioni di litri di vino. Anche italiano, ovviamente, e basta sfogliare la carta dei vini di una qualsiasi delle centinaia di steakhouse della città, per rendersene conto. Come in qualsiasi altra parte del Paese, la concorrenza è spietata, ed è in primis con la Napa Valley, quindi con la Francia, ma l’Italia ed i suoi produttori partono da una posizione privilegiata, con 1,1 miliardi di euro di vino esportato in Usa nei primi 7 mesi del 2022, in crescita del +11,5% sullo stesso periodo del 2021, ed il Dollaro, mai così forte nel confronto con l’Euro, che rappresenta un’opportunità importante per continuare a fare bene. Allargando gli orizzonti, guardando al cuore dell’America, a quelle grandi città, talvolta sottovalutate, che vantano una cultura enoica di tutto rispetto, oltre che fondamentali economici da tenere in altissima considerazione.
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