L’ortofrutta è il comparto leader con 18,9 miliardi di euro di valore alla produzione nel 2024 (il 28% del totale nazionale) con mele e uva da tavola a trainare, per il lavoro di 258.000 aziende che coltivano 1,2 milioni di ettari ed esportazioni per 12,3 miliardi di euro, ovvero il 18% dell’export agroalimentare tricolore. Seguono le carni con 12,6 miliardi di euro (il 19% della produzione agricola nazionale), dove l’export raggiunge 4,5 miliardi di euro grazie soprattutto ai salumi, e poi il settore ittico per un valore aggiunto di 667 milioni di euro (secondo gli ultimi dati disponibili: media 2021-2023) che rappresenta appena lo 0,04% del Pil (quarto in graduatoria Ue dietro Spagna, Francia e Grecia) e dove pesa, inoltre, una bilancia commerciale strutturalmente negativa in deficit di 6,5 miliardi di euro nel 2024. C’è anche il florovivaismo, che si conferma vitale, con una produzione di 3,2 miliardi di euro di valore, pari all’8,8% delle coltivazioni agricole, con oltre il 70% del realizzato destinato ai mercati esteri. È quanto racconta il Rapporto Italmercati-Ismea 2025 (edizione n. 2), curato dal Censis e presentato al Cnel, nei giorni scorsi a Roma, dedicato all’evoluzione del sistema dei mercati all’ingrosso italiani e al loro ruolo nella filiera agroalimentare (attraverso i 22 mercati aderenti, distribuiti in 14 regioni, la Rete Italmercati movimenta, infatti, oltre 7 milioni di tonnellate di prodotti freschi ogni anno, con 4.000 imprese insediate, per un giro d’affari di 11 miliardi di euro e 30.000 addetti), e che spiega come, in un turbolento scenario mondiale, il comparto agroalimentare italiano ha dimostrato ancora una volta di saper reggere il colpo.
Secondo i dati, il settore ortofrutticolo copre un quinto della spesa alimentare domestica delle famiglie italiane ed è, perciò, un osservatorio privilegiato per monitorare le dinamiche di lungo periodo e le tendenze in atto dei consumi: tra il 2019 e il 2024 la spesa in questo settore è aumentata per tutti i segmenti, particolarmente per gli ortaggi e legumi (+2,3%), la frutta a guscio (+11%), gli ortaggi di quarta gamma e le patate (rispettivamente +11% e +7%), mentre per i volumi c’è stata una contrazione di quelli per la frutta fresca e particolarmente per gli agrumi (-8%). Pur in un contesto inflattivo, i consumatori non hanno rinunciato ai prodotti ad alto contenuto di servizio, ma è sensibilmente aumentata la spesa presso i discount, portando questo canale a rappresentare il 25% del totale, e anche nell’ortofrutta fresca è aumentata la quota di prodotti confezionati a peso fisso: per gli ortaggi dal 48% del 2019 al 52% del 2024, per la frutta fresca dal 38% al 45%.
D’altronde il cibo “fresco”, secondo la ricerca Censis integrata nel report, per i consumatori è sinonimo di qualità e benessere: il 63% lo considera più sano dei trasformati e quasi la metà lo giudica più gustoso, con un 50,8% che dichiara di essere disposto a pagare di più per frutta e verdura già tagliata o pulita, e dove la qualità percepita (aspetto, sapore, freschezza) è considerata maggiormente del prezzo nel momento dell’acquisto (63,5% vs 39,8%). C’è anche, però, un 18,2% che riconosce che il fresco sia inevitabilmente più deperibile, un 14,4% che lo percepisce come più costoso e un 8% lo giudica meno pratico, poiché richiede tempo, capacità di preparazione e una programmazione domestica che spesso si scontra con i ritmi della vita quotidiana.
Il canale prediletto resta, comunque, la grande distribuzione: il 60,8% degli italiani dichiara di preferire i supermercati per l’acquisto di alimenti freschi, con valori più elevati nel Nord-Ovest (70,2%) e nel Nord-Est (68,4%) L’84,8% degli italiani consuma frutta almeno una volta al giorno e il 76,2% fa altrettanto con la verdura, ma l’accesso non è uguale per tutti: i redditi più bassi e le fasce più giovani mostrano difficoltà nel mantenere costante il consumo.
La carne viene consumata con frequenze moderate: il 51,4% degli italiani la porta in tavola una o due volte a settimana, mentre a consumarla almeno tre volte a settimana è il 37,3%, di cui il 7,9% afferma di mangiarla tutti i giorni. A mangiare raramente o mai la carne è l’11,3%. Il pesce, pur facendo parte della dieta della maggior parte degli italiani, è l’alimento al quale più si rinuncia: oltre un quinto della popolazione (21%) lo consuma raramente o mai, mentre per il 58% rappresenta un appuntamento limitato a una o due volte la settimana.
Sono gli anziani a mostrare un approccio particolarmente salutista: oltre nove su dieci consumano frutta quotidianamente (93,8%) e più di sette su dieci ne mangiano più volte al giorno. Tra i giovani emerge, invece, una propensione relativamente più forte verso proteine animali: oltre la metà consuma carne almeno tre volte a settimana (53,3%), mentre frutta e verdura, pur presenti, hanno un ruolo meno strutturato nella quotidianità. E anche le differenze di genere appaiono significative, con le donne che mostrano abitudini più equilibrate con un consumo giornaliero costante di frutta e verdura e una certa moderazione nell’assunzione di carne e gli uomini che, invece, tendono a privilegiare un’alimentazione più proteica, con una frequenza di consumo di carne superiore e una minore attenzione quotidiana al mondo vegetale. Un elemento interessante riguarda, infine, la dimensione del comune di residenza: chi vive in centri piccoli (fino a 10.000 abitanti) consuma più verdura (80,4%) in maniera quotidiana, mentre nelle grandi città si riscontra un approccio più “urbano”, con maggiore spazio al pesce (il 24,9% lo mangia almeno tre volte a settimana) e un ritmo di consumo vegetale meno regolare (74,2%).
Infine, negli ultimi dieci anni, secondo dati Istat, in Italia la spesa per i consumi alimentari domestici è cresciuta del 28%, mentre i volumi acquistati sono rimasti sostanzialmente stabili, registrando una contrazione dello 0,7%. Anche i consumi fuori casa hanno seguito una dinamica simile: tra il 2015 e il 2024 sono aumentati del 28% in valore, ma solo dell’1,5% in volume. In merito all’inflazione, secondo l’Osservatorio Ismea-NielsenIQ, basato su un panel di 16.000 famiglie, tra il 2019 e il 2024, la spesa alimentare domestica (a valori correnti) è aumentata del 25% .
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