02-Planeta_manchette_175x100
Consorzio Collio 2025 (175x100)
CULTURA

Marco Malvaldi: “il vino è una delle idee più belle della nostra vita perché è sempre diverso”

Così l’autore di “I delitti del BarLume e “La Regina dei Sentieri” con Samantha Bruzzone. Vittorio Piozzo di Rosignano: “i romanzi avvicinano al vino”

In “Prova d’orchestra”, Federico Fellini fa dire al direttore d’orchestra tedesco che quando “tutti ascolta Beethoven, tutti diventa cavalieri lanciati in battaglia contro un nemico”, e così “quando apri una bottiglia di vino, sei il nobile che si sta gustando il frutto della sua proprietà, e il fatto che tu sia nobile o meno e che quella bottiglia l’abbia fatta tu o un altro, non conta. Ma nel secondo caso l’effetto è sicuramente meno drammatico e più condivisibile, perché è quello che, in un modo o in un altro, facciamo tutti. Perché se uno ci pensa, se dovessimo produrre da soli tutto quello che usiamo nel corso della giornata, usciremmo di casa presumibilmente con un lenzuolo addosso, speriamo non tessuto da noi, e andremmo incontro a molti problemi. La nostra vita è basata in continuazione su cose che vengono fatte da altri, e su idee che sono state pensate da altri, sulle quali noi costruiamo poi le nostre. Tra queste, il vino è una delle più belle perché è sempre diverso. Noi abbiamo qui un Tassinaia 2019, che si può fare solo in quella determinata parcella di terra nel 2019, e non hai idea, ma solo una vaga idea, di come verrà, e non ne puoi essere sicuro. E in un’epoca di programmazione estrema, vedere persone che hanno questa passione, che scommettono e investono così tanto in un qualcosa che basta letteralmente una giornata di tempo sbagliato a devastare, ti dà fiducia nell’umanità”. Parole di Marco Malvaldi, tra gli scrittori italiani più amati, autore, tra molti best sellers, dei celebri romanzi che hanno ispirato la fortunatissima serie tv “I delitti del BarLume”, sullo sfondo dell’Isola d’Elba, e de “La Regina dei Sentieri” (Sellerio Editore), l’ultimo giallo scritto con Samantha Bruzzone, ambientato nella Maremma Toscana, tra i più famosi territori del vino italiano, in cui si trova il Castello del Terriccio, una delle maggiori proprietà agricole della Toscana e d’Italia, guidata da Vittorio Piozzo di Rosignano, insieme al quale, hanno dialogato di vino e letteratura, nei giorni scorsi, a Cortina d’Ampezzo, in “Una Montagna di Libri” (moderati dal giornalista e scrittore Francesco Chiamulera, ideatore anche della rassegna di incontri ampezzani).
“Il vino è una delle nostre passioni che, detta così, si parte malino, ma è una delle cose che più naturalmente associamo alla convivialità laddove, appunto, la convivialità è il contesto in cui si esprime meglio - ha sottolineato Marco Malvaldi - per dirla in maniera proprio più, più, più chiara possibile, torniamo a quando la civiltà umana si è sviluppata nella mia testa, cinquecento anni prima di Cristo, quando dei signori in un posto che si chiamava Grecia hanno incominciato a farsi delle domande abbastanza profonde, strane ed inusitate, e che possiamo dividere in due grandi linee di pensiero: da una parte Sparta e dall’altra Atene, da una parte gli Spartani maniaci del fitness che mangiano solo noccioli di olive, grasso animale e brodetto nero, e che non bevono in compagnia, ma consumano la loro razione di vino da soli, senza mai farsi vedere ubriachi, anzi additando le persone che lo sono per prenderle in giro; dall’altra parte, gli Ateniesi che organizzano i simposi dove si va, si beve, si ragiona di cose belle e interessanti, e si torna a casa con le proprie gambe perché è una regola stessa del simposio. Ora - ha detto Malvaldi - se uno va a vedere il contributo dato alla civiltà umana da Sparta e Atene, non voglio dire che il vino sia stato la causa principale, però diciamo che ti viene un sospettino che questo “lubrificante sociale” abbia avuto una grossa importanza. Il fatto è che, in compagnia, abbassando un pochino quel tanto che basta le difese, siamo in grado di ragionare meglio ed esprimere concetti che, magari, se fossimo guardinghi e completamente sobri, ci terremmo per noi. Già il fatto di condividere una bottiglia di vino è un sintomo di fiducia, perché se io bevo con te ti sto dicendo che mi fido di te, e possiamo parlare tranquillamente. Se poi sei una persona particolarmente cattiva fai come alcuni antichi romani, e mi avveleni con la fetta di pane che hai tagliato con il coltello avvelenato da una sola parte, e io tiro il calzino”.
“Quando, un anno fa, ho conosciuto Marco Malvaldi al Castello del Terriccio - ha raccontato Vittorio Piozzo di Rosignano, alla guida dell’azienda di famiglia - abbiamo visitato la tenuta e cucinato insieme, e lui ci ha raccontato che stava scrivendo questo libro, proprio ambientato in Toscana, e in ambito vinicolo. Castello del Terriccio si trova nel limite settentrionale della Maremma Toscana, sulle colline di fronte al mare: è un’azienda di 1.500 ettari in cui non produciamo solo vino, i cui ettari sono solo 60, ma nella quale ci sono 700 ettari di bosco, dal quale produciamo legna, 200 di pascoli dove vivono due mandrie di limousine allo stato brado, e facciamo anche l’olio nel nostro frantoio aziendale e seminativo, con un locale per la panificazione delle nostre farine, e tutto diventa un ingrediente per il nostro ristorante Terraforte con lo chef Cristiano Tomei. È un’azienda molto antica - ha aggiunto - costruita tra fine Duecento e inizio Trecento su impulso di Papa Bonifacio VIII per la sua famiglia Gaetani, arrivata fino a noi attraverso varie successioni ad inizio Novecento, e da allora ne proseguiamo l’attività. Il nome deriva dal Castello che si trova nella parte alta della proprietà e nel quale la popolazione si rifugiava per proteggersi dagli attacchi dei pirati saraceni che arrivavano dal mare. Una curiosità? Il nostro simbolo, un sole che sembra molto moderno, in realtà è antichissimo e risale a quando dagli scavi per la vigna del nostro vino di punta (il Lupicaia, ndr) è stato trovato un frammento di pietra che, una volta portato al Museo Archeologico di Volterra, è stato identificato come un sole etrusco. Mio zio - Gian Annibale Rossi di Medelana - ha voluto utilizzarlo come simbolo dell’azienda dei nostri vini perché era un fatto bellissimo”. Ed è questo lo sfondo del romanzo di Marco Malvaldi e Samantha Bruzzone, insieme nella vita e nel lavoro, che vede Corinna Stelea, Sovrintendente di Polizia Giudiziaria, e l’amica Serena Martini, chimica mamma ed esperta sommelier, collaborare a un “cold case” ridiventato attuale, avvenuto nella Maremma Toscana, territorio ricco di tradizioni e arricchito dalla modernità agricoloturistica. Succede che un vecchio Ape - coupé, perché la vittima gli aveva fatto togliere la cappotta, da autentico dandy - riemerge da un laghetto prosciugato nella Cantina alla Tegolaia, un’enorme tenuta vinicola nei pressi di Bolgheri, rilevata da una multinazionale olandese. È il motocarro che percorreva filari di vigne guidato dal pittoresco Marchese Crisante Olivieri Frangipane, proprietario di un’azienda molto più piccola, ma con una produzione di bottiglie di altissima qualità. Il ritrovamento dell’Ape, tanti anni dopo la scomparsa del nobiluomo, è conferma della sua probabile morte. Ma che morte? Corinna, chiamata a far luce, e Serena coinvolta suo malgrado, non hanno dubbi, anche perché il Frangipane aveva un’indole e delle abitudini lontanissime da quell’ambiente dei manager della viticoltura. L’indagine si concentra, quindi, sul conflitto tra marketing e tradizione; e sarà proprio il vino, propriamente usato, degustato in adeguata compagnia, a mostrare la strada verso la soluzione.
Una storia nella quale le ispirazioni legate al mondo del vino sono molteplici, tanto, che insieme a Piozzo di Rosignano, per la scrittura del loro giallo gli autori ringraziano Albiera Antinori, presidente Marchesi Antinori, “per aver fornito continua ispirazioni con i prodotti delle loro cantine”, riferimento del vino toscano, ma anche Ivo Basile, storico responsabile comunicazione della griffe siciliana Tasca d’Almerita, e Gianluca Putzolu, direttore commerciale Le Macchiole, azienda che ha scritto la storia di Bolgheri, per averli fatto “assaggiare parecchi concetti fondamentali del mondo di cui parliamo”, tra gli altri. Per esempio, ha raccontato ancora Malvaldi, “è un grande classico dei viticoltori e che si scopre sulla propria pelle visitando le tenute vinicole che se andate con la vostra automobile e cercate di visitare una tenuta grande come il Terriccio, la vostra automobile è un comodo soprammobile a quattro ruote che non vi servirà a niente a meno che non vogliate perdervi e passare la nottata in mezzo al bosco, allora è il mezzo ideale. Per questo ci si muove con delle vere jeep, o con l’ape, questo simbolo del miracolo economico italiano, questo cosetto 50 che non ha paura di niente e di nessuno. E io sono stato confortato la prima volta che sono arrivato al Terriccio nel vedermi sorpassato da un paio di apini a tutta velocità che sgommavano, perché ho detto ok, perlomeno si vede che è una cosa che usa qui”. Ed effettivamente “abbiamo un operaio che gira per l’azienda in ape, che ha un rumore caratteristico e lo senti arrivare veramente da lontanissimo”, ha ricordato Piozzo di Rosignano, per il quale il libro restituisce “un’immagine del mondo del vino fatta da chi di vino ci capisce, una romanzo piacevole da leggere che può anche avvicinare le persone a questo mondo bellissimo, al piacere dello stare insieme e di bere un buon vino in compagnia. Un’analisi in cui c’è un vecchio mondo del vino consolidato che odia il nuovo che produce vino di qualità in modo innovativo, ma senza tradizione, senza storia e senza una cultura che non sia quella del far soldi”. Per il Marchese Crisante il vino era, infatti, il prodotto della tradizione di famiglia, in maniera umanistica più che capitalistica, ma poi servono entrambi gli aspetti, ovviamente. “Con Crisante ci siamo divertiti - spiega Samantha Bruzzone - perché gli abbiamo attribuito anche un po’ di tic, di abitudini, che abbiamo sentito raccontare nel territorio. Io vivevo in un paesino piuttosto brutto, però vicino a Bolgheri, questo era l’aspetto positivo, e quindi ogni tanto qualche leggenda sui nobili della zona veniva fuori. Abbiamo ingigantito quei racconti e li abbiamo attribuiti a Crisante”. Che rappresenta, “per me che sono genovese - ha detto Bruzzone - anche “la “maledizione del toscano”, cioè quello che pur di fare una battuta per farti vedere quanto è brillante il suo cervello non si ferma davanti alla buona educazione ed al pericolo di offendere l’interlocutore, e per cui a volte il toscano, soprattutto livornese, risulta antipatico al resto d’Italia”. “A me piace, soprattutto questa cosa del livornese, la condivido assolutamente, perché detto da una genovese richiama antiche questioni - ha scherzato, ancora Malvaldi - l’Italia è basata su questo, non siamo un Paese, siamo 20 regioni con all’interno diversi capoluoghi che si detestano. In Toscana tutti i capoluoghi sono l’uno contro l’altro e tutti contro Firenze”.
Chimici entrambi, gli autori nel libro riescono a rendere facilmente comprensibile al lettore anche la dendrocronologia, che, nel vino, si riferisce all’uso degli anelli di accrescimento degli alberi per datare il legno utilizzato nella sua produzione e nella sua conservazione, come le botti e le travi delle cantine, fornendo informazioni utili sulla sua storia e sulla sua produzione. “Il lettore di gialli - spiega Malvaldi - è curioso per definizione, siamo tutti figli di “Csi”, e queste cose interessano. Noi siamo due chimici teorici che, come diceva mio padre, sono quelle persone che con i chimici parlano di matematica, con i matematici parlano di chimica e tra di loro parlano di pallone”. Accanto, ci sono le storie che il vino racconta, come nella descrizione della sala degustazione della cantina del Marchese Crisante Olivieri Frangipane in cui si legge, testuale, “vignaioli dal mille e dugentoquaranta” nel blasone di casa, sopra una grande vetrina di volumi antichi e aperti a illustrare cartine, parcelle e capitolati di produzione e altri aspetti dell’ampelografia - la disciplina che classifica la varietà dei vitigni e delle uve - e un video-manifesto che racconta come la storia del vino è la storia d’Europa. “È così - aggiunge Piozzo - il vino accompagna l’uomo dalla notte dei tempi, ed evolve con lui, come un vero e proprio compagno di vita. Ed è un prodotto dell’uomo, non esiste in natura, anche se si parla tanto di vini naturali. L’aspetto bellissimo è aprire una bottiglia di vino e capire che ogni annata è diversa”.
Vino che, nel volume, “viene descritto come un oggetto molto complesso” e con la frase “un terreno fertile per chi ama parlare di cose che non sa”. Dice Malvaldi, “se uno lo dovesse raccontare solo da un punto di vista chimico, ne uscirebbe disperato perché la quantità di molecole diverse che ci sono una bottiglia lo rende semplicemente inaffrontabile, e ancora di più se uno volesse capire come evolverà perché le variabili sono troppe. A volte senti descrivere una bottiglia di vino con termini che ti sembrano strani, citando il peperone o la pipì di gatto come aromi, ed è plausibile perché le molecole che danno questi odori e sapori ci possono anche essere, è un dato di fatto, ma quando mi racconti un vino come sontuoso, regale ed ammaliante dovresti, invece, dirmi quello che senti, perché dipende anche da chi sei, da quanto ci capisci, dove lo stai bevendo, con quale cibo ed in quale stato d’animo sei. Lo stesso Mario Soldati in “Vino al Vino”, che è un libro meraviglioso, dice che bere un vino nel luogo dove viene prodotto o prendere la bottiglia, portarsela a casa e berla semplicemente, non sono la stessa cosa. Insomma, una bottiglia di vino non può prescindere dal contesto in cui quella bella bottiglia viene bevuta”.
Luoghi come quella parte della Maremma Toscana, in cui è ambientato il romanzo, che sembra un po’ californiana, con la bellezza dei vigneti di Bolgheri, dove nascono i Supertuscans, e non solo, e che gli autori conoscono molto bene: “io ci sono nata e ho vissuto qui fino a 18 anni - racconta Bruzzone - finché non sono andata a Pisa dove ho conosciuto Marco e l’ho trascinato di nuovo indietro a conoscere l’Alta Maremma, la Costa degli Etruschi, che fino ai primi Anni Novanta era una zona depressa, prevalentemente agricola, con l’unica eccezione di Piombino dove c’era l’acciaieria, ma quando l’acciaio è entrato in crisi, gli abitanti che ci lavoravano hanno dovuto cercare qualcos’altro da fare. E, a quel punto, probabilmente si sono resi conto di vivere in un tesoro. Sono stati aiutati dal fatto che, banalmente, è stata costruita una superstrada, la variante Aurelia, che da Rosignano, dove arriva l’autostrada, va fino a Grosseto, e io ricordo i “Valentini” che arrivavano sulla spiaggia e sembrava andassero in California, che, poi, vicino a Cecina, c’è davvero una località che si chiama così. Ma è così che è partito il turismo ed ha avuto una spinta vigorosa, forse negli ultimi anni anche eccessiva, perché, come diciamo nel libro, chiunque aveva un casolare, ma anche una casetta, ma forse anche una stalla, ha pensato bene di ristrutturarli e metterli su Airbnb. In tutto questo giochino, che sembra partito dal basso, in realtà il mondo del vino ha avuto la sua grande parte”. Perché proprio in quegli anni, ricorda Malvaldi, “il Sassicaia 1985 viene giudicato da Robert Parker il miglior vino del mondo con i 100/100 (il “vino che più mi è piaciuto in assoluto in 37 anni di carriera”, come il guru della critica mondiale, fondatore di “Wine Advocate”, ha confessato, una volta, a WineNews, ndr), dopo aver conquistato il primo posto nella “Top 100” di “Wine Spectator”, e parte il fenomeno dei Supertuscans. Da notare, infatti, che quando il Sassicaia viene nominato miglior vino del mondo, non ha una denominazione, è un vino da tavola, è un qualcosa che è nato sempre dal basso, grazie ai Marchesi Incisa della Rocchetta. Prima si andava a prendere il vino di Bolgheri con le damigiane, finché nel 1971 esce il Sassicaia (con l’annata 1968, ndr) e, piano piano, ci si rende conto che questo territorio ha un vantaggio che è mostruoso, che ogni collina è diversa, che ogni lato collinare è diverso, con davanti il mare che riflette la luce del sole, ma sei in collina”. Anche al Terriccio, con Gian Annibale Rossi di Medelana, all’epoca, “producevamo mais, grano, ma anche vino, diverso da quello che è oggi”, ricorda Piozzo. Ma il terroir è lo stesso, quello descritto da Bruzzone. “Io dico sempre che produrre vino è un po’ come fare un mosaico, perché abbiamo a disposizione tante tesserine, e se tu le metti tutte al posto giusto può venire una bella cosa, potenzialmente anche un’opera d’arte, ma se le metti sparse viene, come si dice in toscano, un troiaio”. Per dirla, cioè, nello “stile Malvaldi”, ma degustando, invece, un ottimo Tassinaia del Castello del Terriccio.

Copyright © 2000/2025


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2025