Negli States, il vino italiano sta andando alla grande (export oltre 1 miliardo di dollari di vendite nel 2006 di vino, 22 milioni di confezioni, ovvero due milioni di ettolitri, con l’Italia che sorpassa la Francia, primo esportatore di vino dell’Europa nella metà anni ’80, e si gode il 32,4% di vendite del mercato d’importazione negli Stati Uniti e il 30,7 per cento per volume). Ma WineNews è voluto andare a capire meglio i motivi di questo successo, con l'aiuto di Lucio caputo, presidente Italian Wine & Food Institute.
Lucio Caputo (nato in Sicilia, 68 anni, due dottorati in legge e scienze politiche, laurea in giornalismo all’Università di Palermo; con carriera all’Istituto Italiano per il Commercio Estero - Ice, dove ha ricoperto la carica di commissario per il commercio a New York, dal 1970 al 1982), oggi presidente dell’Italian Wine & Food Institute, ricorda che “nel 1975, mentre era commissario commerciale italiano a New York, l’Italia vendeva 4 milioni di confezioni negli Stati Uniti (360.000 ettolitri di vino), per un valore di 40 milioni di dollari”. “Prima di allora, i vini italiani più venduti erano principalmente - continua - il Chianti in fiaschi, Verdicchio e Bolla di Soave, Bardolino e Valpolicella, che furono tra i primi vini ad essere pubblicizzati pesantemente sulla televisione americana. Il Lambrusco era agli inizi delle vendite ma alla fine ha raggiunto una vendita annuale di 14 milioni di confezioni”.
Molti addetti del mondo vinicolo riconoscono il merito a Lucio Caputo per l’aumento delle vendite di vino italiano in quel periodo. “Caputo ha fatto conoscere - spiega Laura Maioglio, proprietaria del ristorante Barbetta di New York nato 100 anni fa, la cui la lista di vini contiene più di 1.500 etichette - i vini italiani come ha fatto poi il mondo della moda. Entrambi arrivano per dominare vino e moda francesi e fu un incredibile successo. I vino italiani poi si sono trasformati nella giusta cosa da bere”.
Caputo, come commissario commerciale aprì un elegante Italian Wine Center nel 1981, progettato dall’architetto romano Piero Sartogo, ed cominciò a promuovere i vini italiani in modo massiccio con pubblicità, tour per i mezzi di comunicazione e visite da parte dei più importanti produttori di vino. Nel 1983, le esportazioni italiane del vino aumentarono fino a 243 milioni di dollari, ovvero 26,7 milioni di confezioni (2,4 milioni di ettolitri).
Gli sforzi dell’Italian Wine & Food Institute (che è nato nel 1984 per promuovere i prodotti italiani negli Stati Uniti; la sede è oggi nel Midtown a Manhattan, ma fino all’11 settembre 2001 l’ufficio era in una delle Twin Towers) furono sostenuti dagli studi nutrizionali che provavano che il cibo mediterraneo faceva bene alla salute degli americani, con il vino rosso italiano in testa.
Oggi Lucio Caputo e l’Italian Wine & Food Institute sono diventati testimonial fondamentali e grazie anche al galà annuale, al quale partecipano tutti i produttori di vino italiani nel New York Marriot Marquis, fanno assaggiare centinaia di nuovi prodotti a buyers, importatori, scrittori, enoappassionati ed amanti del “vino tricolore”.
“Ma il rapporto sulle esportazione dovrebbe incoraggiare tutti”, spiega ancora Lucio Caputo. Il rapporto mostra che le esportazioni di vino dall’Italia sono raddoppiate su quelle di Francia, e sono quadruplicate sul Cile e aumentate di ben 7 volte sulla Spagna.
“Il prezzo medio per un vino italiano al dettaglio - dichiara Caputo (era 1 dollaro al litro nel 1982) - è ora di $4.83. La California e la Francia vendono al doppio, quindi la qualità ed il prezzo sono fattori significativi. Anche se l’euro ha fatto aumentare del 30% i prezzi per il consumatore americano, quando si acquista una bottiglia di vino italiano a 12 dollari, la qualità del vino è più alta rispetto ai vini degli altri Paesi”.
Ma la concorrenza è feroce. Tutto questo accade in un momento in cui gli italiani stanno bevendo meno vino che mai: “tornando indietro agli anni 70, gli italiani consumavano 120 litri a persona - dichiara Caputo - ora bevono soltanto 60/ 70 litri a persona, ma bevono vini migliori”. Fortunatamente per l’industria, il consumo del vino è in aumento negli Stati Uniti. Caputo crede, però, che la concorrenza sia più feroce che mai perché la tecnologia ha reso così tanto più facile fare un prodotto di qualità.
“Oggi - spiega - è molto difficile da fare un vino cattivo, così la qualità dei vini di basso e medio prezzo è cresciuta così tanto che il consumatore non può realmente capire la differenza fra una bottiglia di 15 e 50 dollari. Ci sono vini italiani come il Nero d’Avola venduti a 6 dollari, che sono incredibilmente buoni”.
Caputo è risoluto nel dire ai produttori italiani di tenere la linea sui prezzi, perché “se non lo faranno perderanno il vantaggio”. Inoltre, osserva, come i vini all’ingrosso australiani hanno ridotto pesantemente le vendite dei vini di prezzo medio della California e Francia. Caputo, inoltre, crede che la Cina diventerà un mercato enorme: “proprio adesso stanno ordinando i vini all’ingrosso - dice - ma è un segmento a crescita rapida con molto denaro da spendere, e li spenderanno sui vini migliori e più costosi che l’Italia può offrire”.
Quindi, per usare una metafora italiana preferita, “i vini oggi sono come le macchine: oggi puoi comprare una buona automobile per 12.000 dollari. Se compri una Ferrari o Maserati, avrai più potenza e accessori, ma pagherai tanto anche per il nome. Ora i vini italiani hanno il prezzo giusto per ottenere ancora molto e molto di più dal mercato mondiale”.
Fonte: Bloomberg
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