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NASCE “FUTURO FERTILE”, LA SOCIETA’ DI AGRIBUSINESS DI CONFAGRICOLTURA, RICETTA ANTI-CRISI E STRUMENTO PER REDDITO E MERCATO. FOCUS: LE RICERCHE ISPO SUI CONSUMI E NOMISMA SULLE ENERGIE RINNOVABILE PRESENTATE AL FORUM DI TAORMINA (FINO AL 27 MARZO)

Sarà una società dedicata all’agribusiness che fungerà da centrale di acquisto e distributiva per il settore, con l’obiettivo di aggregare aziende e attivare, in due anni, un giro d’affari di 500 milioni di euro: così Confagricoltura propone la sua ricetta anti-crisi e lancia sul mercato “Futuro Fertile”, la società dell’omonimo progetto costituita in forma privata e distinta da Confagricoltura. Ad annunciarlo è il presidente di Confagricoltura, Federico Vecchioni, nel Forum di Taormina (fino al 27 marzo), sulle prospettive dell’agricoltura del Terzo Millennio.
“L’obiettivo identificato nel business plan societario - sottolinea Vecchioni - è di prevedere un risparmio sul costo d’acquisto dei mezzi tecnici (agrofarmaci e fertilizzanti) di almeno il 20% e favorire contestualmente il collocamento delle produzioni delle imprese agricole. In questa fase di avvio ci concentreremo su due filiere, quella dei cereali e quella dell’olio di oliva”.
“La nostra società - prosegue Vecchioni - è aperta a tutti i protagonisti del mondo economico. Con le banche abbiamo già attivato un discorso sulle linee di credito relative a questo nuovo progetto economico-commerciale, oltre ad avere preso contatti con i protagonisti dell’industria alimentare. Se riusciremo nell’intento di garantire più reddito agli agricoltori, ci saranno naturalmente ricadute positive anche sui prezzi pagati dai consumatori”.
Una commerciale nazionale che risponda a criteri di efficienza gestionale e minimizzazione dei costi di struttura: questa la risposta operativa contenuta nel Piano per la competitività e la modernizzazione delle imprese messo a punto da Confagricoltura con lo scopo di ridurre il peso economico dell’acquisto dei mezzi tecnici sostenuto dalle aziende e contestualmente dare più valore alle produzioni agricole attraverso maggior dinamismo nella fase di commercializzazione.
Il sistema distributivo dei mezzi tecnici in Italia si compone di una pluralità di operatori: la commercializzazione di 5 milioni di tonnellate di fertilizzanti e di 150.000 tonnellate di agrofarmaci che annualmente vengono utilizzati dalle imprese agricole passa attraverso una rete articolata di oltre 50 consorzi agrari attivi, quasi 300 cooperative e oltre 5.000 rivendite private.
Secondo Confagricoltura, questa frammentazione della rete distributiva è speculare all’elevata polverizzazione che attiene la domanda, cioè 1,6 milioni di aziende agricole presenti sul territorio italiano. Se la capillarità distributiva assicura quindi l’accessibilità dell’approvvigionamento a larga parte delle aziende agricole, dall’altro lato questa garanzia di fornitura presenta un costo che finisce con il ricadere sulle stesse imprese agricole. Sugli altri Paesi europei, infatti, sottolinea Confagricoltura, i prezzi dei mezzi tecnici in Italia si riallineano molto più lentamente alle variazioni nella domanda di mercato. Basti pensare che in Italia i consumi intermedi (al cui interno sono compresi i mezzi tecnici) incidono sul valore della produzione agricola per quasi il 50%, un peso che nel giro dell’ultimo decennio ha registrato un aumento nei valori assoluti del 30%, contro un livello medio europeo che si è fermato a +20%.
La società del progetto “Futuro Fertile”, costituita in forma privata e distinta da Confagricoltura, dispone già di un consolidato know how di commercializzazione dei mezzi tecnici, mentre ha definito e sta implementando accordi strategici per la commercializzazione dei prodotti. “Futuro Fertile” costituirà il vertice di una struttura piramidale in grado di svolgere una funzione di coordinamento, sia per quel che concerne gli approvvigionamenti di mezzi tecnici, sia per quanto riguarda progetti per migliorare e valorizzare la commercializzazione dei prodotti. La raccolta degli ordini di acquisto, necessari alla programmazione delle forniture, avverrà attraverso la regia di referenti territoriali mediante l’implementazione di sistemi di raccolta “leggeri” e innovativi (anche on-line). In prima battuta sono già state individuate 15 strutture sul territorio nazionale che agiranno in stretto raccordo con i referenti d’area. Le modalità operative del nuovo servizio di approvvigionamento dei mezzi tecnici e le tipologie delle relazioni tra la nuova società e i referenti territoriali potranno avere forme diverse, a seconda dei prodotti trattati, delle imprese agricole coinvolte o ancora delle necessità in termini di capacità di stoccaggio.
L’obiettivo identificato nel business plan societario prevede un risparmio sul costo d’acquisto dei mezzi tecnici di almeno il 20%. Contestualmente lo scopo della nuova società sarà anche quello di favorire il collocamento delle produzioni delle imprese agricole. In questa fase di avvio la spinta alla commercializzazione riguarderà principalmente due filiere, con l’obiettivo di replicare gli schemi operativi per tutte le altre entro la fase di completamento del progetto. Per riuscirci, sottolinea Confagricoltura, lo sforzo si concentrerà nella promozione di accordi con industrie di trasformazione agroalimentari di primaria importanza per la commercializzazione di produzioni cerealicole, proteoleaginose e olivicole. Di pari passo verrà promosso lo sviluppo di produzioni agricole a fini agro-energetici, come colza, girasole e soia, cercando di garantire uno sbocco di mercato tramite accordi con imprese dotate dei relativi impianti di produzione energetica.
Il business plan della società prevede, per entrambe le aree strategiche di attività (mezzi tecnici e collocamento delle produzioni agricole), il coinvolgimento, in due anni, di un aggregato di aziende in grado di esprimere 350.000 ettari di superficie agricola utilizzabile e di attivare un giro d’affari per una cifra prossima ai 500 milioni di euro, con la prospettiva di ulteriori e più significativi sviluppi.

Focus - Rapporto Ispo per Confagricoltura: il 10% dei consumatori italiani preferisce l’acquisto diretto dei prodotti agricoli in fattoria, mentre solo il 2% fa la spesa nei farmers’ market; per i consumatori contano di più il rapporto qualità-prezzo e l’italianità dei prodotti agricoli che i marchi e il packaging
I dati ottenuti dall’indagine sulle abitudini d’acquisto dei prodotti agricoli realizzata da Ispo per Confagricoltura rivelano un panorama inaspettato: il 46% degli intervistati acquista da solo, ma il 28% lo fa con il partner e 16% con altri parenti e amici. Coloro che dichiarano di fare acquisti da soli sono per lo più donne (63%) e casalinghe (69%), mentre tra il 28% di coloro che sono soliti acquistare insieme al partner, gli uomini, indipendente dalla classe sociale e dal livello di istruzione, si rivelano i più disponibili a fare acquisti in compagnia (36%).
Secondo l’indagine Ispo, l’87% dei consumatori predilige il supermercato e l’ipermercato, il 24% acquista presso il mercato rionale o comunale, il 23% nei negozi e il 22% nelle catene di discount. Particolarmente interessanti sono i dati relativi alla percentuale dei consumatori che acquistano direttamente dal produttore in azienda (10%), abitudine che si sta affermando sempre più e che vince nettamente sull’acquisto nei farmers market (2%), che rappresentano una nicchia più comunicata che utilizzata. Degna di nota è la completa assenza della modalità di acquisto via internet, telefono o catalogo, indice del bisogno dei consumatori di verificare direttamente la provenienza dei prodotti acquistati. In futuro i consumatori si rivolgeranno sempre più direttamente alle aziende agricole produttrici, come dimostrano le percentuali in merito agli interessi dei consumatori nei confronti dei nuovi canali di acquisto, dati tra cui è preponderante il 64% relativo agli acquisti diretti dal produttore.
Il rapporto dei consumatori con le aziende produttrici rappresenta un aspetto centrale dell’indagine elaborata da Ispo. Tra gli intervistati, coloro che si dichiarano più interessati ad effettuare i propri acquisti direttamente presso le aziende agricole sono per il 70% coloro che fanno la spesa con altri, soprattutto maschi (68%) e giovani (25-34enni: 72%; 35-44enni: 67%), trasversalmente alle diverse classi sociali. Emerge inoltre che la disponibilità a comprare direttamente in azienda è alta (tra il 61% e il 66%) tra tutti gli utilizzatori di altri canali. La “resistenza” nei confronti di questa tendenza è rappresentata per il 43% da donne, per il 48% da anziani, per il 44% da pensionati e per il 46% da meno istruiti. Il motivo principale della resistenza è l’eccessiva lontananza da casa delle aziende produttrici, fattore ostacolante per il 65% degli intervistati e soprattutto per le casalinghe (70%). Le ragioni che spingono invece a rivolgersi direttamente al produttore sono, da un lato, la possibilità di risparmiare pur comprando prodotti di qualità (38%), determinante soprattutto per laureati, abitanti del Nord-ovest e di città metropolitane.
Un altro elemento incentivante, soprattutto per gli uomini, è l’opportunità di coniugare esigenze pratiche e bisogni ludici: andare a fare acquisti in fattoria offre l’occasione di fare una piacevole gita fuori città, fattore rilevante per anziani e pensionati e per chi risiede nel centro Italia e in piccoli centri, che formano quel gruppo del 15% che ama fare gli acquisti in compagnia degli amici. Il rapporto fiduciario instaurato tra i consumatori e le aziende produttrici è molto forte, tanto da superare di un punto percentuale quello instaurato con i supermercati (il 13% degli intervistati contro il 12% dichiara di fidarsi moltissimo, rispettivamente delle aziende agricole e dei supermercati). Il dato è confermato dal grado di soddisfazione degli habitué dei diversi punti vendita: la vendita diretta sorpassa il supermercato. Tra i clienti abituali dei diversi canali di acquisto i più soddisfatti sono proprio i consumatori che vanno direttamente dal produttore (87%), seguiti dai clienti dei supermercati (86%).
Indotti a riflettere sul proprio atteggiamento nei confronti dei prodotti agricoli, i consumatori italiani appaiono decisi e consapevoli e rivelano la loro attenzione verso cinque tematiche principali: la sicurezza alimentare (fondamentale per il 93% degli intervistati), il luogo di origine delle materie prime (81%), il luogo di lavorazione, trasformazione e confezionamento del prodotto (79%), la certificazione dei prodotti con marchi Dop/Igt (81%) e la possibilità di acquisto diretto presso il produttore (64%). Nel campione intervistato da Ispo per conto di Confagricoltura, ben il 50%, trasversalmente alle diverse classi sociali, si dichiara interessato a tutte e cinque queste tematiche, seguito dal 23% di coloro a cui ne interessano 4 su 5. In nessun altra ricerca si trova un risultato così eclatante di interessamento.
Verificando invece la conoscenza della differenza tra i marchi di origine controllata e protetta (Igp, Dop, Dogp, Doc, Igt) e i marchi del territorio di produzione (Parma, Langhe, Val di Non) il 75% degli intervistati non sa rispondere, solo il 12% risponde e distingue, ma solo il 3% dà una risposta pienamente corretta. Il quadro che emerge dal sondaggio è quello di un italiano disincantato, pragmatico quanto basta per far quadrare il bilancio familiare anche rinunciando alle “sirene” del brand. Così i prodotti certificati e la notorietà di grandi aziende/marchi risultano essere poco decisivi, arrivando a pesare nelle scelte alimentari degli italiani appena il 23% sul totale. Poco in confronto a discriminanti considerate molto più incisive dai consumatori, come il rapporto qualità-prezzo (64%), l’italianità del prodotto (58%), la regione di provenienza (27%). Una “relazione fredda” tra consumatori e marchi che coinvolge anche il packaging, che interessa solo il 3% dei consumatori. Una vera e propria regressione rispetto ai teoremi del marketing sulla forza della marca e sull’importanza del packaging.
La frequenza d’acquisto è quella settimanale “multipla” per il 50% degli intervistati, rispetto al 43% che acquista solo una volta alla settimana. Il dato interessante è il cambiamento rispetto a 12 mesi prima, per cui il 15% fa acquisti più spesso. È una tipica conseguenza della crisi per cui si compra meno per evitare sprechi. La tendenza emersa nel mondo della moda per cui il 26% degli acquisti avviene negli outlet, in agricoltura non si è ancora verificata; anche se l’importanza degli acquisti direttamente in azienda identifica un megatrend comune.
Secondo il presidente di Confagricoltura, Federico Vecchioni, “al di là di iniziative di nicchia, l’agricoltura non può prescindere da un sistema di vendita predominante. Il progetto presentato da Confagricoltura intende sfruttare le strutture efficienti nel sistema della distribuzione con accordi di filiera tra l’organizzazione agricola e la Gdo. Se condiviso dalla politica e sostenuto dagli istituti di credito, il progetto potrà garantire l’approvvigionamento del made in Italy e influire incisivamente sulla distribuzione del valore nella filiera agricoltura-industria alimentare-distribuzione. A tutto vantaggio di produttori e consumatori”.

In evidenza - Renato Mannheimer (presidente Ispo) sui dati Istat: “calo consumi allarmante, ma non inaspettato”
“Siamo di fronte a dati preoccupanti. Il calo dei consumi non è inaspettato: i fattori che più hanno inciso sono la paura e la contrazione del reddito, ma anche la fiducia dei consumatori è diminuita. Un atteggiamento psicologico severo e allarmante”. Così il presidente dell’Ispo, Renato Mannheimer commenta da Taormina i dati Istat sul crollo della vendita al dettaglio dei prodotti alimentari (-3,3% nel mese di gennaio 2010 su base annua). Una crisi che, secondo Mannheimer, “morde sempre di più gli italiani comuni e ha portato a una contrazione nei consumi sopra la media per la Gdo”. Dati non incoraggianti se si considera che, secondo la ricerca Ispo per Confagricoltura, il supermercato concentra la spesa alimentare della maggior parte degli italiani (circa l’87%), cui seguono con percentuali più basse il mercato rionale (24%), i negozi (23%) e i discount (22%).

Focus - Rapporto Nomisma sulle bioenergie in Italia: dall’agricoltura il 20% delle rinnovabili entro il 2020
Green economy? È possibile. La campagna italiana contribuirà sensibilmente alla rivoluzione verde delle nostre fonti energetiche. Lo rivela la prima parte del Rapporto sulle bioenergie in Italia di Nomisma, presentato al Forum di Confagricoltura a Taormina. Secondo l’indagine, le potenzialità del settore sono enormi: con il solo ausilio di colture dedicate, scarti colturali e residui zootecnici sarà possibile arrivare a fornire sino al 20% dell’energia rinnovabile prevista nel 2020. Un dato che restituisce alla campagna un rapporto privilegiato con l’ambiente, a cui si potranno aggiungere altre forme di energia ad altissimo impatto come eolico, fotovoltaico e idroelettrico, non misurate in questa prima fase di indagine.
Sono due gli scenari possibili paventati nella ricerca Nomisma patrocinata da Confagricoltura. Lo scenario definito “ottimistico” prevede lo sfruttamento della metà delle potenzialità rinnovabili in agricoltura. Una quota che garantirebbe al settore non solo l’autosufficienza energetica, ma addirittura la possibilità di creare valore, in un’ottica di “burden sharing” tra settori produttivi. In questo caso la produzione di energia varrà quasi il 20% dell’energia verde prevista in Italia nel 2020, con 4,2 mtep (ovvero 4,2 milioni di tonnellate di petrolio) e il 128,8% di energia verde sul totale del consumo agricolo. Il quadro “pessimistico definito” da Nomisma prevede lo sfruttamento di solo un quinto del potenziale teorico, ma produrrebbe comunque una performance energetica mille volte superiore a quella attuale. In questo quadro il risultato sarebbe equivalente a 1,7mtep, un dato che arriverebbe a coprire circa la metà dei propri consumi (e l’1,2% dei consumi finali nazionali).
Tra le criticità riscontrate dallo studio, quelle di carattere politico-normativo: l’assenza di una programmazione certa e di lungo periodo per gli incentivi (attualmente bloccati da revisioni triennali che rallentano lo sviluppo del settore), la mancata emanazione di un decreto legge sugli obblighi italiani a livello regionale, l’assenza di un sistema incentivante per l’energia termica da rinnovabili.
Per il presidente di Confagricoltura, Federico Vecchioni: “il quadro che emerge dalla ricerca è in linea con le politiche Ue in materia di agricoltura e ambiente, anche secondo quanto dichiarato dal commissario europeo per l’Ambiente, Potocnick. I 37 miliardi di euro in 5 anni messi a disposizione dalla Pac per i servizi ambientali testimoniano la centralità del settore in ottica ecosostenibile, ma non bastano: occorre creare un sistema incentivante per l’agricoltore che tutela il bene pubblico”.

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