Nasce il distretto delle “bollicine dell’Appennino”, un progetto di viticultura di montagna che guarda al futuro della spumantistica anche nel cuore dell’Umbria. Un progetto che oggi coinvolge 8 ettari di vigneto tra gli 850 ed i 1.000 metri di altitudine, nella zona di Gubbio, ma destinati ad aumentare. Un progetto, in una Regione vinicola come l’Umbria, già celebre per i suoi vini rossi, come il Sagrantino di Montefalco o Torgiano, e bianchi, come l’Orvieto, e che mette al centro non solo il vino, ma anche una via per rilanciare un territorio, nella sua parte montana, frenando un fenomeno preoccupante come quello dello spopolamento. Un’idea che trova sostanza dal progetto di ricerca “Spum.e” (acronimo di “Spumantistica eugubina”), presentato oggi a Gubbio, e che pone le basi per la nascita di un distretto della spumantistica umbra. Un progetto di valutazione della sostenibilità ambientale, economica e sociale della produzione di basi spumante sulla fascia appenninica Eugubino Gualdese, già riconosciuta storicamente per la produzione di vini di qualità, finanziato dalla Regione Umbria tramite Psr, realizzato dai ricercatori del Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali dell’Università degli Studi di Milano (con la regia del professor Leonardo Valenti) e che ha visto il coinvolgimento di cantine pioniere come Semonte della famiglia Colaiacovo e, come partner, Arnaldo Caprai, simbolo della viticultura umbra e tra i top player enoici del Belpaese, che con la guida di Marco Caprai ha salvato e rilanciato il Sagrantino di Montefalco, da sempre in prima linea per la valorizzazione del territorio e per il rilancio costante di innumerevoli sfide, produttive, stilistiche e umane, e di Leaf (azienda di consulenza per il settore vitivinicolo).
L’Umbria, infatti, possiede una grande superficie coltivabile in quota: oltre il 25% della superficie regionale si trova sopra i 600 metri sul livello del mare e quindi ben si adatterebbe ai nuovi scenari climatici e produttivi. A causa dei cambiamenti climatici in atto e del conseguente innalzamento delle temperature, i terreni in quota, infatti, stanno accendendo un interesse sempre più alto, e questo vale anche per la coltivazione della vite. L’areale viticolo eugubino di montagna, si caratterizza per precipitazioni abbondanti (1.050 millimetri all’anno) e ben distribuite lungo l’anno. Dal punto di vista termico l’areale si fa notare soprattutto alle quote più elevate, per la ridotta frequenza di ondate di calore (meno di 20 giorni all’anno con temperature estive superiori a 32 gradi contro una media di quasi 50 giorni per le zone di pianura dell’areale viticolo perugino). Le temperature miti riducono i consumi idrici della vite e questo, insieme con l’ottimale disponibilità idrica, garantisce uno sviluppo equilibrato della vite durante tutto il suo ciclo di sviluppo. Il regime delle temperature, con ridotte condizioni di eccesso termico, favorisce una maturazione ideale delle uve.Queste condizioni, nei due anni di sperimentazione, hanno portato alla produzione di vini, la cui analisi sensoriale ha confermato la forte potenzialità dell’area per la produzione di basi spumante. Gli studi di “Spum.e” sono partiti dal vigneto sperimentale di 6 ettari impiantato tra il 2017 e il 2019 a Chardonnay e Pinot Nero (i due vitigni ideali per la spumantizzazione Metodo classico), in San Marco di Gubbio dall’azienda agricola Semonte, di proprietà della famiglia Colaiacovo, a una quota compresa tra i 800 e gli 900 metri di altitudine, su terreni abbandonati che, in passato, erano stati utilizzati come seminativo e poi come pascoli. Gli studi condotti per due anni dai ricercatori, hanno rilevato come la qualità delle uve sia ottimale e migliore rispetto a quelle allevate a bassa quota. La vendemmia è più tardiva rispetto alla pianura e anche le necessità idriche sono decisamente inferiori. Nel vigneto sono state anche installate moderne tecnologie per realizzare un vigneto a basso impatto ambientale nell’agro-ecosistema appenninico.
“Il progetto “Spum.e” - spiega Leonardo Valenti, agronomo e docente del Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali, Produzione, Territorio, Agroenergie, dell’Università degli Studi di Milano, e “ideologo” del progetto, con Marco Caprai e Ubaldo Colaiacovo - ha avuto l’ambizione di analizzare gli effetti di un impianto vitato innovativo per la produzione di basi spumante sulla fascia appenninica Eugubino-Gualdese già riconosciuta storicamente per la produzione di vini di qualità e oggetto di recenti verifiche qualitative sulla vocazionalità tecnologica della spumantizzazione. L’impianto è stato gestito con l’utilizzo di tecnologie innovative (IoT) capaci di analizzare il micro-clima del vigneto e le risposte fisiologiche delle piante. Il successo del progetto non avrebbe, tra l’altro, il solo effetto di sperimentare la fattibilità e la competitività di un vigneto specializzato impiantato a nuove altitudini nel totale rispetto dell’ecosistema appenninico, ma contribuisce a costituire uno dei primi esempi virtuosi di recupero dell’economia rurale in un territorio che soffre fenomeni di abbandono, invecchiamento e depauperamento delle attività economiche”.
“Nel contesto del “Progetto Spum.e” - ha aggiunto Gabriele Cola, anche lui dall’Università degli Studi di Milano - si è proceduto allo studio di due vigneti dell’areale Eugubino, posti rispettivamente a 430 ed 800 m di altitudine. L’analisi delle variabili ambientali nei due contesti per il periodo 2013-2024 e dei conseguenti effetti di queste sulla vite (varietà Chardonnay e Pinot noir) nel corso del biennio 2023-2024 ha messo in luce la perfetta idoneità del vigneto posto alla quota maggiore per la produzione di basi spumante. Le più ridotte temperature determinano infatti minori consumi idrici, uno spostamento dello sviluppo della vita più avanti nel corso della stagione, una maturazione che avviene a ritmi più lenti ed in condizioni ambientali favorevoli, determinando alla raccolta un ottimale rapporto fra zuccheri ed acidità e l’ottimale sviluppo di aromi”. Secondo lo studio, l’11,3% della Superficie Agricola Utilizzata (Sau) in Umbria, con buona idoneità alla coltura della vite, si trova in montagna, in aree risultate fragili dal punto di vista socio-economico e in cui nuovi investimenti potrebbero dare nuova linfa all’economia rurale. Inoltre, se si considerano le aree che, dal punto di vista climatico, idrologico e pedologico sono risultate avere alta idoneità alla coltura della vite, la quota che si trova in montagna sale a più del 20% del totale. Questo significa anche che si può ipotizzare una maggior idoneità di queste aree alla coltura di quei vitigni che necessitano di particolari condizioni per produrre uve adatte alla spumantizzazione. Ci potrebbe essere, dunque, una doppia valorizzazione delle aree montane appenniniche: quella economica e quella sociale.
“Il cambiamento climatico in atto pone un ulteriore aggravamento delle criticità che la viticoltura eroica deve affrontare. Urge pertanto - ha aggiunto Paolo Tarolli, Professore Ordinario in Idraulica Agraria, Università di Padova - investire in ricerca e sviluppo al fine di trovare delle soluzioni di adattamento e di rendere la viticoltura eroica dell’area mediterranea più resiliente al cambiamento climatico in atto. Gli strumenti ci sono e fanno riferimento a sistemi di monitoraggio che vedono l’impiego di sensori remoto avanzato, dal telerilevamento ai sensori nel suolo, in aggiunta a strategie per ottimizzare lo stoccaggio dell’acqua durante precipitazioni intense e localizzate (mitigando il deflusso superficiale e conseguente processo erosivo) e riuso della stessa per scopo irriguo durante eventi siccitosi, minimizzando l’esposizione diretta al sole durante periodi di temperature estreme. Nello scenario presente e futuro, in cui le piogge estreme, le siccità e le ondate di calore si intensificheranno progressivamente, la resilienza della viticoltura potrà essere raggiunta e mantenuta solo con un approccio multidisciplinare. È fondamentale portare avanti un monitoraggio continuo tramite il telerilevamento, per evidenziare i trend temporali dei fenomeni meteorologici ed individuare gli hotspot con maggiori criticità. L’intelligenza artificiale, ad esempio, potrebbe essere sfruttata per sviluppare sistemi di preallerta che avvertono dell’imminente arrivo di ondate di calore o siccità, per ottimizzare l’efficienza dell’irrigazione, per integrare e perfezionare i sistemi di monitoraggio e per supportare la gestione del rischio economico”.
“Le mutazioni climatiche globali stanno alterando i parametri tradizionali della viticoltura, rendendo le zone montane sempre più adatte alla coltivazione di uve destinate alla spumantizzazione. Attraverso un’analisi delle condizioni climatiche dell’areale umbro e delle dinamiche socio-economiche locali - ha detto ancora Chiara Mazzocchi, professore Associato in Economia Agraria all’Università di Milano - lo studio individua e quantifica le aree potenzialmente più idonee grazie ad un approccio metodologico che integra i dati economici del territorio con quelli climatici e geografici. I risultati mostrano che alcune aree della regione sembrano particolarmente idonee a questi nuovi impianti anche in zone marginali, con investimenti che potrebbero portare nuova linfa all’economia locale”.
Da questi primi pochi ettari di vigneto al centro del progetto, dunque, che sono la “culla” del “distretto delle bollicine dell’Appennino”, sono già stati messi in bottiglia degli spumanti Metodo Classico (che debutteranno a Vinitaly 2025) sia per l’azienda agricola sia per l’azienda agricola Caprai, entrambe già con esperienza nella produzione di spumanti rifermentati in bottiglia. La produzione dell’Arnaldo Caprai Brut, ad esempio, nel giro di pochi anni è passata da poche migliaia di bottiglie, ad oltre 10.000; quantità che sono destinate a crescere nei prossimi anni per raggiungere, anche grazie al progetto “Spum.e”, un’ipotetica quota di 25.000. Semonte produce il suo Metodo classico attualmente in 5.000 bottiglie e l’intenzione è quella di raggiungere una produzione di 15.000. I dati (emersi dalla ricerca per il progetto “Spum.E”) potrebbero, dunque, davvero stimolare la nascita di un vero e proprio distretto della spumantizzazione in Umbria, oltre che essere da esempio virtuoso per altri territori montani italiani. “Spum.e è un progetto ambizioso: c’è bisogno di imprenditori e sindaci che accettano questa sfida”, ha commentato Ermete Realacci, presidente Fondazione Symbola, nel convegno di presentazione. “Oggi l’Umbria è conosciuta in tutto il mondo e il progetto Spum.e sono certa che può portare ulteriore riconoscibilità alla nostra Regione. È un progetto che si basa su degli studi e sul valore della produzione, essenziale per qualsiasi impresa agricola. Un progetto che credo sia molto utile per il nostro territorio, perché i nostri Appennini devono tornare a rivivere. Spum.e parla dell’orgoglio di questi Appennini nel vedere sviluppare la sua comunità”, ha aggiunto la presidente della Regione Umbria, Donatella Tesei, sul palco insieme, tra gli altri, al sindaco di Gubbio, Vittorio Fiorucci. “L’ambizione di Spum.e è anche quella di creare delle reti d’impresa che vadano a sopperire alle piccole dimensioni delle aziende agricole. Le dimensioni ridotte, infatti, non sono più sostenibili in viticoltura”, ha sottolineato il produttore Marco Caprai, a cui ha fatto eco l’altra anima imprenditoriale del progetto, Giovanni Colaiacovo, secondo il quale “il recupero delle zone montane abbandonate grazie all’idea di una produzione spumantistica di alta qualità può essere una grande opportunità per i giovani, per restare nella nostra terra e trovare nuove vie di redditività soddisfacenti e sostenibili”. “Il valore del progetto Spum.e è che alla base c’è un progetto agricolo reale e sostenibile, ed è per questo esempio di ciò che anche in sede europea va privilegiato e sostenuto anche finanziariamente”, ha concluso Massimiliano Giansanti, presidente Confagricoltura, la più grande organizzazione delle imprese agricole in Italia, e che Giansanti, fresco di elezione alla guida del Copa, rappresenta anche in Unione Europea.
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