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NEL 2013, SECONDO L’UNAR, GLI ATTI DISCRIMINATORI NEL MONDO DEL LAVORO SONO STATI IL 16% DEL TOTALE, CONCENTRATI PER IL 71,9% AL MOMENTO DELL’ACCESSO. MA NEL VINO È DIVERSO, VINCE L’EQUILIBRIO, E L’UNICO OSTACOLO È NELLE POSSIBILITÀ DI CARRIERA

Italia

Nel 2013, secondo l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (Unar), gli atti discriminatori riconducibili al luogo di lavoro sono nettamente diminuiti rispetto al 2012, attestandosi al 16%. Ma l’attenzione resta alta, specie perché è proprio all’inizio, al momento dell’accesso stesso al lavoro che si registra il 71,9% dei casi, per motivi di età, razza ed etnia. Per il vino, però, la situazione è decisamente migliore, come raccontano i risultati del primo progetto nazionale sulla presenza di discriminazione di genere, età, etnia, cultura, nel mondo vitivinicolo, promosso dal Dipartimento per le Pari Opporrunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dell’Unar, che ha scelto il Gruppo Collis Veneto Wine Group per il settore dell’agroindustria.

I dati del progetto “Strutturare le competenze di valorizzazione delle diversità”, curato da Stefano Marabotto, presentati oggi a Vinitaly, raccontano un mondo decisamente più includente ed aperto della media: tra i 212 lavoratori coinvolti, non sono infatti emersi episodi patologici o ricorrenti, strutturali, di discriminazione, disparità o disagio. L’età media, 40 anni, racconta una realtà giovane, il cui gli uomini sono il 70%, impiegati in funzioni tecniche, operative e manageriali, mentre la presenza femminile è in massima parte attiva in area amministrativa, commerciale e operativa. Manca, nello studio, la rappresentanza dei lavoratori stagionali, ma nel complesso, tenuto anche conto che il sondaggio (fatto di 5 aree di ricerca e 100 domande) era totalmente anonimo, non si sono registrate criticità sensibili nei diversi settori della filiera. Unico neo, la disparità di trattamento sul fronte delle possibilità di carriera, segnalato dal 21% dei sondati, con una ripartizione del 60% tra gli uomini e del 40% tra le donne, con una sostanziale ripartizione tra i generi. D’altro canto, che non ci siano discrepanze di trattamento lo rivelano anche altri due dati, decisamente positivi, sulla conciliazione tra vita e lavoro e sul clima collaborativo tra i generi.

“La maggior parte delle discriminazioni, come rivela il nostro rapporto annuale, avviene sul posto di lavoro - spiega Marco Buemi, dell’Unar - e questo perché le politiche di “diversity managemnt”, volte ad includere le minoranze attraverso un sistema di quote, che in Usa si fanno dagli anni ‘50 per riequilibrare le discrepanze di una società a volte ingiusta, in Italia sono del tutto inesistenti. Eppure, come dimostrano gli studi di tanti economisti, la diversità, anche e soprattutto nel mondo del lavoro, è una ricchezza. Le risorse umane - continua Buemi - vanno valorizzate, è solo così che un’azienda può diventare competitiva: l’accesso alla carriera, come dimostra un caso comunque positivo come quello del Gruppo Collis, è difficile, perché una volta entrati in un’azienda, soprattutto i giovani, non riescono a farsi valorizzare e a trovare spazio nei propri ambiti di appartenenza e di specializzazione”.

“Nel corso del nostro studio - spiega Marabotto, che ha curato il lavoro, a partire dalla creazione del questionario - abbiamo per prima cosa identificato le diversità, dando loro un valore, attraverso un questionario, rigorosamente anonimo, fatto di 100 domande divise in 5 sezioni. Ciò che abbiamo notato è stata una certa diffidenza iniziale: le persone non sono abituate ad essere coinvolte nel processo organizzativo, specie ora che lavorano per un grande gruppo, in cui le distanze tra il vertice e la base dei lavoratori si sono sensibilmente accentuate rispetto a qualche anno fa. Il problema legato alle scarse opportunità di carriera esiste - conclude Marabotto - ma a volte la conoscenza non basta, e serve la capacità di saper mettere il proprio bagaglio di saperi al servizio dell’azienda per crescere”.

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