Il vino ha ormai conquistato il mondo, nel volgere di qualche decennio, Paesi culturalmente lontani come la Cina hanno scoperto il proprio amore per Bacco, ma difficilmente conquisterà lo spazio. “Colpa”, se così si può dire, della Nasa che, dalla sua nascita ad oggi, nei menu pensati per i suoi astronauti in missione, non ha mai previsto la presenza del vino, a eccezione di una piccola parentesi, negli anni ’70, quando al posto delle immangiabili polpettine liofilizzate si è passati a qualcosa di più elaborato e mangiabile, dotando stazioni spaziali e razzi di un piccolo forno e di un congelatore: in quel periodo, sul menu, insieme a spaghetti, costolette e gelato, c’era lo Sherry. Il merito era di Charles Bourland, per 30 anni responsabile del catering di tante missioni spaziali, che lo scelse perché funzionava meglio degli altri vini, era più stabile e semplice da bere da una semplice sacca. Ma la gioia durò poco, perché dopo una decina di giorni dall’annuncio della sua introduzione nei menu degli astronauti, fu prontamente ritirato, da una parte per via della puzza terribile, a detta dei testimoni dell’epoca, che sprigionava in condizioni di assenza di peso, dall’altra, come emerge da un vecchio memorandum inviato all’allora direttore del Johnson Space Center, Kenneth S. Kleinknecht, da un manager dello Skylab di Houston, come rivela “The Drinks Business”, una scelta del genere era considerata da molti come una spesa inutile, che non serve in una dieta bilanciata, e che anzi avrebbe potuto mettere a repentaglio la serietà ed i risultati stessi degli esperimenti fatti in missione ...
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