Shiraz di Bangalore? Cabernet del Brasile? Chenin tailandese? La sfida al Chianti viene dai “vini delle nuove latitudini”, annuncia oggi il “New York Times” certificando un trend su cui sono saliti con entusiasmo i grandi operatori del settore, da Lvmh Moet Hennessy Luis Vuitton, Pernod Ricard e Veuve Cliquot Ponsardin.
In un pianeta in cui l’effetto serra sta rivoluzionando la geografia dei vini, il Terzo Mondo si sta affermando come un player importante. “I vini si fanno in Francia, Italia, Spagna, dove non ci sono palme”, era stata la reazione spaventata di Joao Santos, enologo della casa portoghese Dao Sul dopo l’acquisto di nuovi vigneti in Brasile, nel deserto semiarido appena a sud dell'Equatore.
Quattro anni dopo, nuove tecnologie e sistemi di irrigazione innovativi hanno fatto il miracolo: Dao Sul mette oggi in commercio uno dei migliori vini tropicali sul mercato.
Il concetto dei vini delle nuove latitudini, nato in Tailandia dove la Siam Winery mette in botti uve coltivate in vigneti galleggianti nel delta del Chao Phraya, si basa sul presupposto, nuovo in arboricoltura, che le piante (e non solo i vigneti), sono molto più “plasmabili” di quanto si pensasse finora. Messe in un nuovo ambiente rispondono con notevole velocità ed efficacia.
Ed ecco, dunque, che a Bangalore i vigneti Grover, in cui ha investito Veuve Cliquot, hanno importato ai piedi delle colline Nandi 35 vitigni francesi per produrre con la consulenza del famoso enologo Michel Rolland vini che oggi fanno concorrenza alla Francia.
In Thailandia, invece, le viti sono indigene: Khun Chalerm Yoovidya, l’inventore della bevanda Red Bull e il padrone della Siam Winery, ne ha ricavato un vino pluripremiato, il Monsoon Valley, che negli Usa si compra a Los Angeles, San Francisco e New York.
Per secoli la mappa dei vini era concentrata in due fasce climatiche, tra 30 e 50 gradi di latitudine nord e sud, ma questo quadro sta rapidamente cambiando e non solo a causa del riscaldamento del pianeta. I vigneti galleggianti del Chao Phraya in Tailandia sono a 13 gradi di latitudine nord e anche se relativamente sconosciuti rispetto ai colossi europei (da cui attualmente viene il 62 per cento della produzione mondiale) e ai produttori concorrenti del Nuovo Mondo (Argentina, Australia, Cile, Nuova Zelanda, Sudafrica), stanno rapidamente guadagnando quote di mercato. Cina e Brasile, due dei paesi in prima linea tra i nuovi viticoltori, producono oggi appena 6,7 milioni di ettolitri l’anno, pari al 2,4% del output mondiale annuale, secondo il Centro di Ricerche International Wine and Spirit Record di Londra, ma la tendenza è ad un aumento della produzione che va in parallelo con una crescita dei consumi a livello di middle class.
Sempre secondo il centro di Londra, da qui al 2011, il consumo di vino in Cina salirà del 12%, in Brasile del 39% in Cina e addirittura dell’82% in India, dati che hanno catturato l’attenzione degli investitori: Lvmh ha acquistato quote importanti in Chandon, uno champagne brasiliano, Pernod Ricard è entrata come proprietaria di marchi in India, Brasile e Georgia mentre Veuve Cliquot è da undici anni in joint venture con i Grover Vineyards di Bangalore.
Fonte: Ansa - Alessandra Baldini
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