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NON TUTTI I VITIGNI AUTOCTONI ITALIANI POSSONO AVERE UNO SBOCCO SUI MERCATI INTERNAZIONALI: COSI’ UN’INCHIESTA DI WINENEWS E “VINUM LOCI” (GRADISCA D’ISONZO, 21/24 OTTOBRE) TRA PRODUTTORI, ENO-APPASSIONATI E ADDETTI AI LAVORI

Italia
Il Sangiovese

Negli ultimi anni uno dei temi più gettonati nel mondo del vino è quello dei vitigni autoctoni: tutti ne parlano, tutti li esaltano, tutti ne predicono un radioso avvenire. Ma siamo proprio sicuri che le centinaia di vitigni autoctoni italiani avranno un reale sbocco sui mercati internazionali? Secondo i risultati di un’inchiesta, condotta da WineNews, uno dei siti più consultati dagli amanti del buon bere, e da “Vinum Loci”, la rassegna nazionale dei vini antichi e autoctoni (di scena a Cormòns, Gorizia, dal 20 al 24 ottobre, organizzata da Udine e Gorizia Fiere, www.goriziafiere.it), sembrerebbe proprio di no. Il parere dei produttori, degli eno-appassionati e degli addetti ai lavori è che solo una ristretta cerchia di autoctoni può rappresentare la scommessa vincente del vino “made in Italy” all’estero, mentre tutti gli altri sono destinati a rimanere “curiosità” enologiche, riservate ad un consumo squisitamente territoriale o “di piccolissima nicchia”.

Maurizio Tripani, direttore di Udine e Gorizia Fiere, spiega: “abbiamo iniziato per primi, nel 2001, a parlare di vitigni autoctoni, quando ancora era un argomento pressoché sconosciuto. Adesso che, invece, il tema dilaga è giunto il momento di fare una riflessione seria, sia per informare al meglio i consumatori, sia per tutelare chi questi vini li produce. E’ importante tracciare una linea di demarcazione tra gli autoctoni che possono interessare realmente il mercato e quelli invece destinati a diventare una sorta di monumento alla memoria”.

Secondo la ricerca di WineNews e “Vinum Loci”, nella classifica dei vitigni più amati dagli italiani, svettano ai primi posti il Sangiovese, la Barbera e il Nebbiolo, “simboli” delle due regioni leader dell’enologia italiana, Toscana e Piemonte. Nella top ten si collocano, a seguire, Lambrusco, Montepulciano d’Abruzzo, Aglianico, Dolcetto, Nero d’Avola, Tocai e Sagrantino di Montefalco. Un risultato che consacra la tradizione, ma anche la “nouvelle vogue” italiana, le zone emergenti che negli ultimi anni hanno elevato a livelli qualitativi altissimi la loro produzione valorizzando i vitigni autoctoni, in particolare l’Abruzzo, la Campania, l’Umbria e la Sicilia. Scorrendo la classifica, tra i vitigni più significativi e famosi d’Italia è poi la volta del Greco, del Primitivo, del Verdicchio, del Vermentino, dello Zibibbo, del Teroldego e del Marzemino.
Nella classifica dei vitigni più venduti in Italia, invece, stilata elaborando i dati forniti dai più importanti vivaisti nazionali, il dominatore incontrastato è il Sangiovese, al secondo posto, il Montepulciano d’Abruzzo, al terzo la Barbera; seguono il Prosecco, il Nero d’Avola, il Primitivo, l’Aglianico, la Corvina, il Dolcetto e il Vermentino.

I vitigni italiani di antica coltivazione (o autoctoni) conosciuti e catalogati sono 350, ma secondo le stime ne esisterebbero più di 1.000. Oltre a rappresentare un enorme bacino ampelologico di biodiversità da studiare e proteggere, sono anche il principale elemento di distinzione della nostra viticoltura ed enologia. Un vero e proprio vantaggio competitivo che tutto il mondo ci invidia, specie in un momento in cui il mercato mostra i primi, ma evidenti, segni di stanchezza rispetto ad una omologazione organolettica dei vini, diventata quasi imbarazzante. Detto questo, però, possiamo ritenere che i vitigni di antica coltivazione siano tutti destinati a diventare i nuovi protagonisti del mercato, garantendo valore aggiunto ai loro produttori e ad interi territori?

Lo “stato di salute” attuale dei vitigni di antica coltivazione vede uno “zoccolo duro” di 10-20 vitigni, ai quali alcuni celeberrimi territori devono il loro successo, proprio per il fatto di essere terre di grandi autoctoni. Sono ormai completamente affermati, tanto da interessare anche le viticolture del Nuovo Mondo, e producono vini in grado di sfidare con successo la concorrenza internazionale: Sangiovese, Sagrantino, Nebbiolo, Barbera, Montepulciano d’Abruzzo, Aglianico, Nero d’Avola, solo per fare qualche nome. Poi ne esistono tra i 100 e i 200 che hanno ottime potenzialità, ma non ancora la forza di imporre un’identità propria.
Fra quelli più in crescita possiamo ricordare, il Vermentino, il Verdicchio o il Fiano, vero e proprio “Viogner italiano”, ma anche la Falanghina e il Greco. Leggermente al di sotto, troviamo vitigni di antica coltivazione impiegati come complementari, anche se in alcuni casi sono dei veri e propri “gregari di lusso”: Colorino e Canaiolo sono forse gli esempi più noti, ma si pensi anche al Perricone o al Nerello Mascarese.

Infine, i vitigni “reliquia”: da una parte quelli di recente recupero e di cui sappiamo poco perfino sulle loro prospettive di coltivazione, e dall'altra quelli con una diffusione estremamente localizzata, come ad esempio il Pignolo o il Timorasso, e che rappresentano spesso soltanto delle “curiosità” aziendali dall'esiguo numero di bottiglie. Se così stanno le cose, un imprenditore vitivinicolo può davvero puntare tutto su un vitigno autoctono senza correre dei rischi? Certamente sì. Ma a patto di dover mettere a bilancio, oltre ad una cospicua somma da investire nella sperimentazione di tecniche di coltivazione e di vinificazione ad hoc, anche risorse finanziare adeguate ad un vero e proprio studio di filiera e a campagne promozionali in grado di sostenere quei vini sul mercato.

Non basta, dunque, dire sì indistintamente agli autoctoni, ma va verificato se questa scelta può incontrare i gusti del consumatore. Oggi, la scelta di promuovere vini autoctoni va spiegata comunicando sempre di più il valore aggiunto che una bottiglia di vino porta con sé in termini di territorio, cultura del luogo, storia. I vini autoctoni non devono essere solo tutelati, ma devono seguire politiche di marketing che favoriscano un nuovo rapporto con questo consumatore per vincere le sfide del mercato con i vini internazionali.


L’evento - Dal 21 al 24 ottobre, a Gradisca d’Isonzo (Gorizia), “Vinum Loci”, rassegna nazionale dei vini antichi e autoctoni

“Vinum Loci”, rassegna nazionale dei vini antichi e autoctoni, affermata come un evento di nicchia in grado di trasformare Gorizia in un importante centro della vitivinicultura nazionale, è di scena dal 2001. Accanto alle degustazioni guidate da esperti, sommeliers, tanti eventi collaterali, convegni e tavole rotonde. Quest’anno, di particolare valore, il convegno scientifico (20 ottobre, a Cormòns): l’intento comune è valorizzare vini e vitigni autoctoni, nella risoluta volontà che non si riducano - questo l’allarme lanciato dal professor Attilio Scienza, uno dei massimi esperti internazionali del settore e docente di viticoltura all’Università di Milano - a tanti “vitigni silenti”, e se ne perdano per sempre le tracce, con l’inestimabile patrimonio agrario, ma anche storico e culturale, che racchiudono, indissolubilmente legato ai territori da cui provengono. All’incontro parteciperanno importanti studiosi, produttori, enologi, giornalisti, sommeliers, ristoratori, insieme ai consumatori più esigenti e eno-appassionati.

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