Ci è capitato più di una volta di raccontare i limiti di un’Italia del vino incapace, al suo interno, di trovare sinergie ed unione d’intenti, ma quello che è successo in Francia in questi giorni dimostra che tutto il mondo è Paese e che, in fin dei conti, si può fare di peggio. Naufraga tra le polemiche, infatti, la candidatura a Patrimonio Unesco della storica classificazione dei cru di Bordeaux del 1855, dopo un iter iniziato un anno fa, a 160 anni dalla sua istituzione, proprio a causa dei dissidi interni tra le aziende (61 châteaux di Médoc, 27 di Sauternes e Barsac ed 1 di Pessac-Léognan), che hanno portato ad una rapida, quanto inaspettata, rottura.
La paura di qualcuno, come racconta il portale francese “Vitisphere” (www.vitisphere.com), è che dopo un riconoscimento del genere l’attuale classificazione possa diventare ancora più rigida, tarpando le ali a chi, invece, spera di poter scalare le classificazioni. E allora, di fronte al rischio di una diatriba interminabile e di una rottura interna al Conseil des Grands Crus Classés, diretto da Philippe Castéja, il progetto è stato accantonato, e la proposta stralciata dal fascicolo sui beni immateriali francesi proposti all’Unesco per i prossimi anni. Lo stesso grazie al quale, nel 2015, i microclimi di Borgogna ed i paesaggi di Champagne sono entrati nella lista Unesco, a cui adesso puntano i vigneti di Cognac e di Sancerre.
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