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“Per contrastare il calo del consumo di vino in Italia occorre diradare la confusione - creata da chi produce, racconta e vende - e per farlo servono rispetto e coraggio”: così parlò Angelo Gaja, uno dei produttori italiani più celebri al mondo

Italia
Angelo Gaja

L’unica certezza è che i consumi di vino, in Italia, siano in costante ed inesorabile calo, ormai a quota 37 litri procapite all’anno, dai 55 del 1997. Sulle cause di questa diminuzioni, invece, ognuno ha le sue idee. C’è chi sostiene che sia colpa della crisi economica che ha tagliato la capacità di spesa degli italiani, chi di un cambiamento nel modo di bere e di mangiare, chi dice che sia “colpa” di una maggiore attenzione alla salute, se non di un esagerato salutismo, e così via. Secondo Angelo Gaja, uno dei produttori italiani che fanno più opinione, è semplicemente (si fa per dire) una questione di “confusione” che allontana i giovani consumatori, generata a tutti i livelli: di chi produce vino, di chi lo racconta, di chi lo giudica e di chi lo vende. “Mai che un produttore di grandi volumi, uso a dirigere la propria azienda, rifiuti la veste di “vignaiolo”, nonostante il vocabolario di lingua italiana definisca tale figura “chi coltiva (manualmente) la vigna”, dice Gaja. Che punta il dito anche sulla stampa di settore: “le guide del vino sono in Italia in numero quintuplo rispetto alla Francia. Copiose anche le classifiche dei “100 migliori vini italiani”, inevitabilmente le une diverse dalle altre. Di premi giornalisti, istituiti a beneficio di chi scrive di vino, ce ne sono in Italia di più che in tutti gli altri Paesi europei messi assieme”. Confusione, secondo Gaja, c’è anche tra chi accomuna vino e alcolici: “il vino, a causa della doverosa azione di prevenzione dell’abuso, finisce sciaguratamente accomunato e confuso con i superalcolici e le bevande dissetanti addizionate di alcol, nonostante storia, cultura e valori profondamente diversi. Senza contare che si continua a fare promozione turistica trascinando il “vino in piazza”, quando la mescita delle bevande alcoliche dovrebbe essere autorizzata solamente nei locali dotati di licenza”, aggiunge Gaja.

In sintesi, c’è una “confusione che prospera rigogliosa ed allontana i giovani consumatori. La funzione alimentare del vino si va via via esaurendo in favore di quella edonistica: più che di pancia si beve di testa. Così - dice Gaja - crescono le nicchie di consumatori che vogliono il vino naturale, biologico, biodinamico, sostenibile, libero, pulito, giusto ... e dei produttori che ne assecondano la richiesta; e si invocano nuovi controlli e certificazioni. Ben vengano, purché non si faccia ricorso a denaro pubblico. Il “codice del vino” disciplina le pratiche consentite per fabbricarlo e permette di tutto e di più: basterebbe stilare un elenco delle pratiche più invasive, ed obbligare il produttore che le adotta ad indicarle sulla contro-etichetta”.

Che fare, dunque? La risposta del più celebre dei produttori italiani è semplice: “per contrastare il calo del consumo occorre diradare la confusione, e per farlo servono rispetto e coraggio”.

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