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Per far crescere le vendite di un marchio conta più la penetrazione sul mercato e l’allargamento della base dei consumatori occasionali, che la fedeltà (quasi inesistente) di quelli più appassionati. Gli atout della ricerca di Wine Intelligence

La fedeltà al marchio di cui si parla tanto quando si analizzano i mercati, nel mondo del vino, di fatto, non esiste, se non per poche, rarissime eccezioni. Per crescere, soprattutto se si producono volumi importanti di bottiglie, la cosa più importante, fondamentale, è migliorare la penetrazione sul mercato, ovvero allargare la base dei consumatori disposti a comprare una bottiglia della propria azienda. Senza trascurare nessuno, perchè il 20% di chi beve più spesso vino e compra più frequentemente un certo marchio, e l’80% di chi brinda più raramente e magari compra solo sporadicamente una certa etichetta, pesano entrambi, più o meno, per il 50% delle vendite. Ecco gli spunti che arrivano dal Seminario “Building succesfull wine brands” dell’agenzia di ricerca Uk Wine Intelligence.
Sottolineature e riflessione suffragate anche dai dati emersi da un sondaggio sul 100.000 persone tra consumatori ed operatori di 30 mercati del mondo del panel “Vintrac”. In un mercato avanzato e storicizzato come gli Usa, per esempio, emerge che tra chi beve vino regolarmente, il 32% non si ricorda nemmeno un marchio di vini, il 34% 1 o 2, il 24% dai 3 ai 5, e solo l’11% più di 6 tra quelli bevuti negli ultimi mesi.
Ancora, emerge che il consumatore medio, in America, conosce 14 marchi, ma nell’arco di 3 mesi acquista bottiglie solo di 4 di loro. E stessi risultati, con differenze minime, si riscontrano anche in un altro mercato consolidato, come quello del Regno Unito.
Ovviamente, i marchi che vanno meglio sono quelli che possono beneficiare della legge del “doppio vantaggio”, ovvero quelli che hanno una base di consumatori più larga, e con un minimo di fidelizzazione in più degli altri.
E questa partita, che si gioca su investimenti enormi per conquistare briciole di una fidelizzazione come detto quasi inesistente e difficilissima da conquistare, chiama in causa il concetto di familiarità con un marchio da parte del consumatore, la capacità di un brand di ispirare fiducia in chi compra. Ma è un gioco difficilissimo, se si pensa che marchi come Yellow Tail, Barefoot, Sutter Home, Mondavi e così via, hanno un tasso di consumatori a loro fedeli al 100%, che nei casi migliori sfiora il 10% del totale. Tradotto in poche parole: è la penetrazione e l’allargamento del numero dei consumatori che guida la crescita delle vendite di un marchio, non la loro fedeltà.
Anche perchè, in generale, emerge che, sul lungo periodo, come un anno, il 40% dei consumatori compra prodotti di un certo brand una sola volta, il 20% 2. E questo vale anche per realtà di altri settori che investono capitali ingenti in comunicazione e marketing, come la stessa Coca Cola,
Ed è per questo fenomeno che, come detto, va tenuta in considerazione la cosiddetta “80:20 rule”: l’80% di chi ti compra solo 1-2 volte vale sul totale delle vendite quanto quel 20% che compra i tuoi prodotti più di frequente.
Fondamentale, dunque, non tralasciare nessuno, e curare ogni aspetto del marchio, a partire da quello visivo, per differenziarsi e farsi notare, anche fosse solo per una volta, dai consumatori. Esercizio, anche questo, complicatissimo, se si pensa che sul solo mercato americano, per esempio, sono in circolazione oltre 150.000 etichette di vino e che, in media, durante una normale spesa che può durare intorno ai 25 minuti al supermercato, un consumatore riempie il carrello con appena 30 dei 30.000 prodotti che ha disposizione, ovvero appena l’1x1000% del totale... .

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