Per fare un chilo di pasta ci vogliono 1,3 kg di grano, ciò significa che per ogni pacco di pasta acquistato al costo di 1,85 euro, solo 0,23 euro servono a remunerare il prodotto agricolo, con il prezzo di un pacco di pasta che, così, moltiplica 8 volte dal campo allo scaffale, con una tendenza invertita per grano e pasta dal 2007 ad oggi. I prezzi, infatti, sono aumentati del 68% per la pasta, passata da euro 1,1 del 2007 agli attuali 1,85 euro al chilogrammo, mentre le quotazioni del grano pugliese sono crollate del 33%, passando dai 26,7 euro al quintale del 2007 ai 18 euro al quintale delle ultime settimane. Generando, così, quella che Coldiretti non stenta a definire “un’inaccettabile remunerazione del prodotto locale, direttamente collegata all’import non stop di grano dall’estero che continua ad invadere quotidianamente i porti di Bari, Manfredonia e Barletta, con le importazioni selvagge evidenziano una grave dipendenza del sistema industriale dall’estero”. Sufficiente a scendere di nuovo in piazza, stamani a Roma davanti al Ministero delle Politiche Agricole, che in giornata ospiterà il tavolo nazionale della filiera cerealicola presieduto dal Ministro Maurizio Martina, con i rappresentanti delle Regioni, delle organizzazioni agricole, delle imprese di trasformazione, di commercializzazione e dell’industria mangimistica. Dopo le lotte a fianco del settore lattiero caseario, diventa campale la battaglia del grano, con le speculazioni che, ormai da anni, coinvolgono anche i prodotti agricoli, mettendo a repentaglio il futuro di 300.000 agricoltori in tutto il Belpaese.
Roma, così, è stata pacificamente presa d’assalto da migliaia di agricoltori, con alcune delegazioni che hanno viaggiato la notte per giungere davanti al Ministero delle Politiche Agricole in Via XX Settembre, ed altre arrivate in mattinata da tutta Italia, Basilicata, Campania, Molise, Abruzzo, Lazio, Umbria, Toscana, Piemonte, Sardegna, Calabria, Marche, Puglia, insieme al presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo. Tutti al grido di “No grano no pasta”, “Stop alle speculazioni”, “Chi attacca il made in Italy attacca l’Italia” e “Il giusto pane quotidiano”, oiltre ad una curiosa bilancia con 15 chili di grano ed uno di pane: così tanto grano infatti deve essere venduto dagli agricoltori per comprarsi un chilo di pane. Sono stati anche preparati sacchetti di grano da 5 chili che equivalgono al valore di un euro con i quali gli agricoltori hanno annunciato di voler fare la spesa nei locali circostanti.
Certo, non è solo la competizione estera a mettere in crisi la prima coltura (per superfici coltivate) italiana, anche i limiti strutturali della filiera del grano italiano, come ricorda la Cia - Agricoltori Italiani, hanno una fetta di responsabilità, ma il risultato, cambiando l’ordine dei fattori, non cambia: il prezzo del grano è crollato del 50%, e se sul mercato di Foggia arriva appena a 19 euro al quintale, su quello di Bologna non supera in 24 euro al quintale. Creando, appunto, il gap da cui siamo partiti, sintetizzato benissimo da Dino Scanavino, presidente della Cia: “oggi 100 chili di frumento valgono quanto 7 chili di pane: un “gap” intollerabile e contro la logica delle cose, che non può nemmeno lasciare indifferenti i consumatori, di fronte a una tale distorsione dei mercati: se si fanno le debite proporzioni, c’è stata una perdita di valore che non ha eguali in altri prodotti”. Ed il focus, per forza di cose, torna sulla speculazione, con il settore che, continua Scanavino, “sta assistendo a comportamenti di vero e proprio sfruttamento che purtroppo ricordano il fenomeno del caporalato da noi sempre condannato. In queste settimane, infatti, il sistema industriale e commerciale stanno imponendo agli agricoltori condizioni ormai insostenibili, ritirando il grano a prezzi inferiori anche del 50% rispetto ai valori medi degli anni passati, e decisamente al di sotto dei costi di produzione”. Senza dimenticare il ruolo dei Consorzi Agrari che, denuncia Scanavino, “invece di stoccare il prodotto, lo immettono sul mercato accrescendo di fatto la pressione sui
prezzi. Si tratta di comportamenti speculativi e anticoncorrenziali che confermano ancora una volta l’urgenza di procedere a una radicale riorganizzazione del sistema”.
Aspetto, quello della speculazione, toccato anche dall’analisi della Coldiretti, che sottolinea come “le quotazioni dei prodotti agricoli dipendono sempre meno dall’andamento reale della domanda e dell’offerta e sempre più dai movimenti finanziari e dalle strategie speculative che trovano nel Chicago Board of Trade il punto di riferimento del commercio mondiale delle materie prime agricole su cui chiunque puo’ investire anche con contratti derivati”.
Un pericolo non solo per la produzione di grano e la vita di 300.000 aziende agricole che lo coltivano, ma anche per un territorio di 2 milioni di ettari a rischio desertificazione, e per gli alti livelli qualitativi garantiti dalla produzione made in Italy. L’Italia, del resto, è il principale produttore europeo di grano duro, destinato alla pasta, che assume un’importanza rilevante data l’elevata superficie coltivata, pari a 1,3 milioni di ettari per 4,9 milioni di tonnellate di produzione che si concentra nell’Italia meridionale, soprattutto in Puglia e Sicilia, che da sole rappresentano il 42% della produzione nazionale. Più limitata è la produzione del grano tenero, che si attesta su 3 milioni di tonnellate su 0,6 milioni di ettari.
Focus - Canada vende grano a dazio 0 e tassa pasta all’11%
Tra le tante situazioni che mettono in difficoltà il comparto del grano italiano, c’è il caso del Canada, primo fornitore di grano duro dell’Italia, che può esportare a dazio zero mentre applica una aliquota fino all’11% all’ingresso della pasta in arrivo dall’Italia sul proprio territorio, ma è anche necessario estendere i controlli al 100% degli arrivi da paesi extracomunitari come l’Ucraina, dove sono utilizzati prodotti e fitosanitari vietati da anni in Italia ed in Europa. Il fenomeno speculativo - sottolinea la Coldiretti - è generato da importazioni agevolate consentite dalla regolamentazione comunitaria in materia di dazi doganali (ultimo Regolamento Unione Europea n. 147 del 14/2/2014) che, attraverso un complesso meccanismo di calcoli (comparando prezzi internazionali ed interni alla Comunità insieme alle spese di nolo), stabilisce, ormai da qualche anno, dazio 0 (zero) alle importazioni di grano duro di alta, media e bassa qualità senza alcuna attenzione alle conseguenze ai produttori europei. Il risultato è che mentre il dazio in entrata del grano in Italia è pari allo 0%, nel caso di esportazione dell’Italia di pasta negli Stati Uniti e in Canada il dazio è superiore al 6% del valore della pasta con punte sino all’11% in Canada per alcune tipologie di prodotto.
Analogamente a quanto fatto per i prodotti lattiero caseari, la Coldiretti chiede che venga introdotto l’obbligo di indicare l’origine del grano impiegato nell’etichetta della pasta e dei prodotti da forno, riportando le corrette informazioni al consumatore e valorizzando le distintività dei cereali italiani. Ma servono anche l’implementazione di una misura nazionale, con garanzia nazionale, in regime de minimis, che permetta agli agricoltori di ottenere l’anticipo sul prodotto conferito e l’allargamento della moratoria bancaria alle imprese cerealicole, assieme a un progetto per l’assicurazione al reddito delle imprese cerealicole con l’avvio ed applicazione dei fondi di mutualizzazione per la stabilizzazione del reddito delle imprese previsti dal Piano nazionale dello Sviluppo Rurale 2014-2020 in caso di perdite causate da un drastico calo del reddito.
Con il piano cerealicolo - continua la Coldiretti - sono necessari pure il sostegno all’innovazione e il rinnovamento dei centri di stoccaggio cerealicolo soprattutto nel Mezzogiorno, anche al fine di preservare al meglio la qualità, ma nel mirino sono anche le difficoltà di funzionamento dell’attività borsistica delle Camere di Commercio (Milano, Bologna, Roma e Foggia) che, di fatto, agevolano il fenomeno speculativo attraverso la scarsa trasparenza nella formazione del prezzo. Questo - conclude Coldiretti - rende necessario ed urgente il riordino di tutta la materia attivando immediatamente una Commissione Unica Nazionale - Cun.
Focus - Coldiretti, nel 2016 quadruplicato l’import di grano dall’Ucraina
Le importazioni in Italia sono praticamente quadruplicate (+315%) dall’Ucraina che è diventato nel 2016 il terzo fornitore di grano tenero per la produzione di pane mentre per il grano duro da pasta il primato spetta al Canada che ha aumentato del 4% le spedizioni. Emerge dal Dossier presentato dalla Coldiretti nel blitz di migliaia agricoltori nella Capitale davanti al Ministero delle Politiche Agricole in via Venti Settembre XX. Complessivamente le importazioni di grano duro e tenero in Italia - sottolinea la Coldiretti - sono aumentate del 14% nel primo trimestre del 2016 sul 2015 ma la dipendenza dall’estero determinata dall’insufficiente remunerazione della produzione nazionale potrebbe ulteriormente aggravarsi.
“Con questi prezzi gli agricoltori non possono piu’ seminare e c’è il rischio concreto di alimentare un circolo vizioso che, se adesso provoca la delocalizzazione degli acquisti del grano, domani toccherà gli impianti industriali di produzione della pasta con la perdita di un sistema produttivo che genera ricchezza, occupazione e salvaguardia ambientale” ha avvertito il presidente Coldiretti, Roberto Moncalvo. Non è un caso che - ha precisato Moncalvo - il Ministro dell’Agricoltura russo Alexander Tkachev abbia appena annunciato che la Russia, dopo essere diventata nel 2015 il principale esportatore di grano, ha iniziato a produrre pasta di grano duro che sarà presto esportata all’estero”.
A pesare sono le importazioni in chiave speculativa che si concentrano nel periodo a ridosso della raccolta e che influenzano i prezzi delle materie prime nazionali anche attraverso un mercato non sempre trasparente. L’Italia nel 2015 - ricorda la Coldiretti - ha importato 4,3 milioni di tonnellate di frumento tenero mentre sono 2,3 milioni di tonnellate di grano duro che arrivano dall’estero.
Il risultato, denuncia la Coldiretti, è che è fatto con grano straniero più di un pacco di pasta su tre e più della metà del pane in vendita in Italia ma i consumatori non lo possono sapere perché non è ancora obbligatorio indicare la provenienza in etichetta.
“E questo nonostante il fatto che la consultazione pubblica on line promossa dal Ministro delle Politiche Agricole abbia certificato che ben l’85% dei consumatori italiani ritiene importante che l’etichetta riporti sempre l’indicazione del Paese di origine delle materie prime”, spiega il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo.
La qualità del grano italiano, peraltro, non è certo in discussione ed è confermata dalla nascita e dalla rapida proliferazione di marchi che garantiscono l’origine italiana del grano impiegato al 100%. Un percorso che è iniziato nei primi anni della crisi sotto la spinta dell’iniziativa del progetto di Filiera Agricola Italiana (Fai) e che si è esteso ad alcune etichette della grande distribuzione (da Coop Italia a Iper) fino ai marchi più prestigiosi (Ghigi, Valle del grano, Jolly Sgambaro, Granoro, Armando ...) fino all’annuncio dello storico marchio napoletano “Voiello”, che fa capo al Gruppo Barilla, che ora vende solo pasta fatta da grano italiano al 100% di varietà “aureo”.
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