Il concetto di sostenibilità sta sempre più pervadendo la discussione sul e intorno al vino. Lo richiedono i consumatori finali con crescente insistenza, lo richiede lo stesso mondo, per così dire, se è vero, come è vero, che il tempo dello sfruttamento indiscriminato della terra è ormai finito, ed è anzi terminato anche il tempo dello stesso uso di mezzi e sistemi produttivi fino ad oggi considerati insostituibili nell’economia primaria. È tra queste scivolosissime tematiche che si sono mossi i protagonisti del convegno “Il Bio è logico? Sostenibilità e tracciabilità tra presente e futuro”, organizzato dal Consorzio della Denominazione di San Gimignano (www.vernaccia.it).
Ormai, le segnalazioni autorevoli che è necessario pensare ad un cambiamento del nostro approccio verso la natura, evidentemente, il sostrato fondamentale dell’agricoltura, non mancano. Lo dice, per esempio, il quinto Rapporto del Comitato intergovernativo dell’Onu sui cambiamenti climatici (Ipcc), che, denunciando la totale responsabilità dell’uomo sulle molte catastrofi incipienti, avverte i governi che urge cambiare registro, virando verso energie verdi, più pulite e un approccio produttivo dall’accento non depredatorio. Ma non solo. Siamo arrivati al punto di non ritorno anche in fatto di gestione delle risorse naturali, aria, terra e acqua, ed entro una decina di anni il mondo potrebbe esistere ancora, ma senza la specie umana.
“Il mondo è diventato pazzo, malato e decisamente inquinato - spiega Jonathan Nossiter, regista e autore dell’ormai celebre documentario “Mondovino” - e quando stappo una bottiglia di vino a New York piuttosto che a Parigi non faccio altro che cercare un pezzo di natura, in un luogo dove di natura ce ne è sempre meno. Un atto tutto umano e quindi completamente naturale”.
“Eppure - prosegue Nossiter - i dirigenti della Nestlé continuano a parlare di natura cattiva da combattere costantemente per sopravvivere. E invece abbiamo solo una decina di anni per scongiurare la fine del modo biologico. I vignaioli - prosegue il regista - sono la punta di diamante che può scongiurare questo oscuro destino, semplicemente con il loro lavoro depurato dalle derive scientistiche e dall’uso senza alternativa di sostanze chimiche. Non è un peso per loro, ma un vero e proprio privilegio”.
Gli fa eco Roberto Burdese, presidente Slow Food Italia, che afferma: “il sistema di produzione del cibo, già nel 2005, era ritenuto dall’Onu come il principale responsabile del decadimento ambientale del mondo. I vignaioli, e, più in generale, i contadini possono interrompere questo circolo vizioso, adottando pratiche produttive più pulite e finalmente sostenibili. Ma bisogna decidere quale modello di viticoltura e agricoltura applicare - prosegue Burdese - vogliamo il modello “Mulino Bianco”, in cui Antonio Banderas appare come un produttore irreale di biscotti oppure un modello che racconta come stanno veramente le cose? L’Italia già possiede un modello agricolo-viticolo storicamente fondato sulla vocazionalità dei territori e sulla diversità. Una ricchezza dunque. Dobbiamo spiegare questo mondo. Dobbiamo spiegare che la qualità parte da questo particolare mondo. La qualità deve quindi diventare una narrazione. A cominciare - conclude il presidente Slow Food Italia - dalle etichette stesse dei vini. Il nostro modello di etichetta, presente sui prodotti agricoli dei Presidi Slow Food può essere allargato al mondo del vino e stiamo lavorando in questo senso”.
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