Il quadro economico non aiuta, così come quello geo politico caratterizzato da guerre e tensioni che, generalmente, non sostengono i consumi voluttuari, come è quello del vino. Che, tutte le statistiche, in Italia e nel mondo, segnalano in calo. L’horeca, in realtà, almeno in Italia, sembra un po’ in controtendenza, mentre la gdo vede qualche miglioramento, sebbene la crescita sia solo in valore, e non in volume. Il “bere meno ma meglio” che è stato un mantra comunicativo negli ultimi anni, nel mondo del vino, sembra aver dunque preso corpo. Per alcuni in maniera congiunturale, tra salutismo crescente, cambiamento delle occasioni di consumo, ma anche degli stili alimentari. Per altri in maniera strutturale ed irreversibile, anche per la concorrenza crescente di altre bevande, con la filiera del vino che, dunque, dovrà rassegnarsi a creare più valore e più margini con meno quantità sul mercato. Sfida non semplice, ovviamente, che chiama in causa anche aspetti culturali e comunicativi. Sintesi di un mosaico di punti di vista, sul palco al Congresso Assoenologi a Cagliari, tra chi fa da collegamento tra produttori ed horeca, come Alessandro Rossi, National Category Manager Wine Partesa, a chi si occupa di gdo, come Daniele Colombo, Category Manager di Esselunga, da chi il vino lo porta ai consumatori finali tra i tavoli dei ristoranti, come Valentina Bertini, Corportate Wine Manager Gruppo Langosteria, a chef come Roberto Serra, della trattoria Armidda di Abbasanta, ed al giornalista Gigi Brozzoni, per oltre due decadi al vertice della guida del Seminario Veronelli.
“È vero che si beve meno e che la comunicazione deve cambiare per avvicinare i giovani, ma si deve partire dalle basi. Oggi il 56% dei giovani tra i 19 ed i 24 anni - sottolinea Alessandro Rossi di Partesa - non si avvicinano al mondo del vino. In passato nonni e padri ci hanno insegnato cosa era il vino a tavola, si mangiava in famiglia ed il vino c’era sempre. Oggi questo non c’è più e dobbiamo tenerne contro. Va bene cercare un linguaggio più moderno, più inclusivo e meno esclusivo, perché il vino è del popolo, ma se non si risolve il tema culturale non si va da nessuna parte. Perché anche quel 56% di giovani che oggi non bevono vino sono i consumatori dei prossimi 30 anni. Spesso si dà colpa anche a ricarichi eccessivi dei ristoratori, ma non è proprio così, o non è solo questo. Se analizziamo il consumo, sono i Boomer, i 65enni che stanno facendo crescere il segmento degli aperitivi. In comunicazione non si inventa niente di nuovo, semmai, come settore del vino, dobbiamo attingere in modo costruttivo a chi comunica già bene con i giovani, come la moda. Serve meno “polvere”, dobbiamo tornare a costruire brand e marchi. Ma il problema è che in Italia non esistono investimenti a medio lungo termine, servono 10 anni di studio a volte per pianificare i 50 anni successivi”.
Eppure, almeno al ristorante, il vino resta importante, e pesa anche sul fatturato, come racconta Valentina Bertini di Langosteria. “Parlo in particolare di Milano, dove io vivo. È vero che tanti miei colleghi mi dicono che i consumi scendono, ma noi - ha spiegato a WineNews - nel primo trimestre siamo cresciuti sullo stesso periodo 2023. Il sommelier deve entrare in empatia con il cliente. Per anni la sommellerie si è posta in modo un po’ “saccente” rispetto ai clienti, e questo ha allontano e allontana, soprattutto i giovani. Serve un rapporto diverso, noi sommelier dobbiamo ascoltare, è quello che faccio io e che fanno i ragazzi in Langosteria. Cerchiamo di portare il cliente a scoprire cose nuove. E poi va rivista la gestione del vino nei ristoranti. La carte dei vini devono essere in linea con il target che cerchi. Spesso si fanno errori, si vedono carte dei vini non consone alle tipologie del ristorante. Se io avessi una clientela diversa la carta sarebbe diversa. La carta deve permettere la rotazione delle referenze, deve far vendere vino. Poi spazio c’è per tutti i produttori, ovviamente. Ma per fare carte dei vini che funzionano, ben calibrate, ci vogliono anni. Il tema dei ricarichi è un tema difficile: un ristorante a Milano ha costi diversi di gestione rispetto ad un ristorante di un piccolo borgo. Il posizionamento di prezzo è fatto di tante cose, dal valore, dalla qualità, dalla reperibilità. E a volte i produttori non devono aver paura di alzare i prezzi, perché la qualità c’è”.
Ma se la ristorazione fa il suo corso “anche grazie ad una cultura del vino che cresce”, ha testimoniato lo chef Roberto Serra della trattoria Armidda di Abbasanta, in parte diverso è il percorso e l’osservatorio della gdo, come raccontato da Daniele Colombo di Esselunga, che con il vino realizza il 3% degli oltre 9 miliardi di euro di fatturato complessivo, lavorando con 400 cantine per oltre 3.000 etichette a scaffale. “Come sappiano il 2023 è stato difficilissimo, l’inflazione ha colpito duro. In questo inizio 2024 vediamo valori tornano in positivo, ma le quantità no. Ma abbiamo capito che il futuro è della qualità, non della quantità. È vero che i vini bianchi hanno messo la freccia, stanno sorpassando i rossi. I bianchi costano un po’ meno, i giovani li preferiscono, lo vediamo anche con le bollicine. Ma nel calo e nel cambiamento di consumi c’è anche il tema alimentare: si cercano piatti più freschi che chiamano vini più freschi, i bianchi rispondono a questa esigenza. In ogni caso, in gdo dovremo guardare sempre di più a tutelare i margini con meno volumi. La distribuzione ha un ruolo determinante nell’essere inclusiva per il mondo del vino, e per far tornare i giovani a consumare vino. I giovani sono curiosi, vogliono sapere e conoscere, cercano la qualità. I giovani sono attenti, si avvicinano meglio a prodotti alternativi come il bio, ma non solo. Sono attenti alla sostenibilità, agli zero solfiti aggiunti. Ma serve una comunicazione diversa”.
Anche perché la comunicazione fatta fino ad oggi “è stata un po’ ampollosa, e certe cose oggi per i consumatori più giovani - dice dal canto suo Gigi Brozzoni - non funzionano più. Servono più elementi di inclusione e condivisione, di avvicinamento, mentre la comunicazione del vino che abbiamo fatto fino ad oggi ha allontanato un po’. Oggi va ripensata una comunicazione ad hoc specifica per i vari mercati e destinatari”.
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