Qualche preoccupazione, soprattutto per la svalutazione della sterlina e l’aumento dei prezzi che impatterà negativamente, almeno nel breve termine, ma “no-panic” e, perché no, anche qualche elemento positivo se si guarda al medio termine. Ecco, in estrema sintesi, il sentiment, a caldo, di economisti, produttori e manager del vino italiano, sentiti da WineNews, dopo la vittoria del “Leave”, con i cittadini Uk che hanno espresso ufficialmente la volontà di uscire dall’Europa: da Stefano Cordero, esperto di economia aziendale vitivinicola e direttore di Ese (European School of Economics) di Firenze e di Milano, ad Andrea Rea, docente di marketing e responsabile del Wine Management Lab Sda Bocconi, passando per Sandro Boscaini, presidente Federvini e della griffe dall’Amarone Masi, Antonio Rallo, alla guida di Unione Italiana Vini e del Consorzio Doc Siclia, oltre che della celebre cantina siciliana Donnafugata, e ancora per Gianluca Bisol, produttore di Prosecco con la storica realtà di famiglia, Enrico Viglierchio, ad Castello Banfi, realtà top del Brunello di Montalcino, Corrado Casoli, presidente Gruppo Italiano Vini (Giv), e Paolo Damilano, alla guida della Cantina Damilano, marchio tra i più celebri del Barolo.
Le ripercussioni dell’esito del referendum, dal punto di vista economico, non si fanno attendere con le borse europee in caduta libera, ed è questo è il primo segnale concreto. Intanto, i timori di quanto accadrà successivamente in tutti i Paesi Ue, ma non solo, incrociano le previsioni, allo stato attuale decisamente incerte, come lo scenario che si prefigurerà in futuro ancora oscuro per tutti. La storica decisione della Gran Bretagna, che ha deciso di abbandonare l’Europa, è un processo che si completerà in due anni, nei quali comunque l’Inghilterra dovrà rispettare le regole europee, e porterà chiaramente con sé diverse conseguenze, come prezzi più alti per i prodotti esportati e possibili aumenti dei dazi. Ma veniamo al vino in particolare. L’Inghilterra, nel 2015, ha importato etichette del Bel Paese per 745 milioni, il 14% del totale italiano, rappresentando stabilmente il terzo Paese, dopo Usa e Germania, che compra i nostri vini.
Ora è presumibile che i consumi nel Regno Unito certamente caleranno, come del resto sta già avvenendo, almeno per il vino italiano, visto che le importazioni di vino imbottigliato, nei primi 3 mesi del 2016, sono già diminuite del 20,1% in volume (33 milioni di litri) e del 16% in valore (74,3 milioni di euro), ad eccezione degli sparkling wine, che invece sono in enorme crescita (trascinati dal Prosecco, che in Uk ha il suo primo mercato), con un sonoro +38,4% in volumi (20,1 milioni di litri) e +55% in valore (67 milioni di euro). Ma se dal cammino verso la Brexit, almeno nel breve termine, non c’è da aspettarsi niente di buono, con la ovvia e conseguente svalutazione della sterlina e quindi un aumento dei prezzi del vino importato (che colpirebbe soprattutto i vini di prezzo medio basso, italiani e non solo) stimabile intorno al 20%, non è detto che guardando più avanti questa che è, comunque, una crisi storica, non possa avere effetti meno negativi, se non proprio positivi, per il vino del Belpaese.
“Al di là delle possibili rinegoziazioni che potrebbero anche avvenire, nonostante la Ue abbia espresso parere sostanzialmente negativo a una tale possibilità, la Gran Bretagna - spiega Stefano Cordero di Montezemolo, esperto di economia aziendale vitivinicola e direttore di Ese (European School of Economics) di Firenze e di Milano - si troverà a ridiscutere come stato indipendente i suoi accordi commerciali con gli altri Paesi. Potrebbe significare per l’Italia del vino anche una opportunità di costruire meglio il mercato Uk, che per i nostri vini non è ancora giunto ad una piena maturità. Si apre certamente una fase nuovo - sottolinea il professore - dove però non è interesse, evidentemente, di nessuna delle due parti bloccare gli scambi commerciali. Resta tuttavia un certo margine di incertezza dovuto anche al fatto che la “Brexit” si incrocia con la discussione sugli accordi del Ttip, che riguardano come sappiamo Nord America e Unione Europea. Da non sottovalutare anche il rischio di un effetto domino su latri Pesi comunitari. Bisognerà, insomma approfondire e analizzare bene il corso degli eventi. Per adesso di sicuro c’è il fatto che per due anni andremo avanti nello stesso modo, poi bisognerà posizionarsi con apposite nuove negoziazioni, ma il vino e l’agroalimentare italiano rappresentano senz’altro un qualcosa a cui l’Inghilterra non potrà rinunciare. Decisivo il sostegno del Governo in questa trattativa, anche se mi pare di vedere un buon interesse da parte delle istituzioni italiane verso la nostra produzione. Altro punto fermo è l’aspetto valutario. Con una sterlina debole ci troveremo oggettivamente in svantaggio e ci vorrà del tempo per stabilizzare la situazione da questo punto di vista. Resta però certo anche il fatto - conclude Montezemolo - che il peso della Gdo britannica nella commercializzazione dei vini italiani è così grande che accordi quadro aziendali o consortili, oltre ad essere già di prassi, contemplano e contempleranno comunque la capacità del vino italiano di essere e continuare ad essere in linea con le esigenze dei venditori britannici”.
“Fare valutazioni è prematuro, ci sono tante cose da capire - dice il docente di marketing e responsabile del Wine Management Lab Sda Bocconi, Andrea Rea - ma francamente non credo che tutto questo avrà un impatto devastante sul vino italiano. Certo, delle difficoltà ci saranno, soprattutto sul prodotto di basso prezzo, che è quello che in gran parte arriva sul mercato Uk (il prezzo medio delle importazioni nel 2016 + di 2,24 euro a litro per i vini fermi e di 3,3 euro per gli spumanti, ndr), dove la svalutazione delle sterlina porterà ad un aumento dei costi per commercianti e consumatori. Ma quello inglese, purché importante in termini di volumi, è un Paese che da tempo non è fondamentale per la reputazione del vino italiano, visto che sono pochi i grandi vini del Belpaese che circolano nel mercato, e sono concentrati soprattutto sulla piazza di Londra”.
“Di certo è una pagina triste per l’Europa - commenta Sandro Boscaini, presidente di Federvini e della griffe dall’Amarone Masi, - anche considerando che nel mondo globalizzato delle macrozone compatte potrebbero giocare un ruolo fondamentale. Di certo la Brexit a livello generale comporterà anche una riorganizzazione generalmente della Politica Agricola Comunitaria e della distribuzione delle risorse. Per il vino italiano le considerazioni da fare sono importanti. Perché anche se è vero che è un mercato che guarda soprattutto a vini di prezzo basso, è molto importante in termine di volume, ed è anche vero che negli ultimi anni è cresciuto davvero molto. Di certo la svalutazione della sterlina porterà nell’immediato un aumento dei prezzi del 15-205, e questo non farà bene ai consumi e alle importazioni. Ed è immaginabile che la Gran Bretagna, una volta fuori dall’Unione Europea, stringa ancora di più i rapporti commerciali con i Paesi del Commonwealth e con le ex colonie anche in tema di approvigionamento di vino. Penso a Paesi come l’Australia, la Nuova Zelanda, ma anche all’India, e questo chiaramente potrebbe avere un impatto negativo sui produttori italiani ed europei in genere”.
“Un po’ di preoccupazione c’è, soprattutto nel mondo prosecco, che in Uk ha il primo mercato di riferimento - commenta Antonio Rallo, alla guida di Unione Italiana Vini e del Consorzio Doc Sicilia, oltre che della celebre cantina siciliana Donnafugata - di certo la stabilità è meglio per tutti, tranne che per chi vive di speculazione. Ed è proprio la speculazione la cosa che mi preoccupa di più, perché genera incertezza, paura nei consumatori, con ricadute negative evidenti, e che secondo me rischiano di essere addirittura superiori a quelle dirette dovute all’uscita del Paese dall’Europa, e spero che su questo le banche centrali e gli enti che vigilano le borse faranno il loro dovere. Per il vino in particolare, di certo un po’ di calo ci sarà, soprattutto per i vini di basso prezzo, ma non credo che ci saranno conseguenze drammatiche. Sul segmento del lusso e dell’alto di gamma, poi, gli effetti saranno ancora minori”.
“Le ripercussioni saranno sicuramente negative - aggiunge Corrado Casoli, alla guida del Gruppo Italiano Vini, la realtà più grande del vino italiano - e quello che ci possiamo attendere è che la svalutazione della sterlina rispetto al dollaro, ma anche all’euro, in un Paese dove già ci sono accise importanti sul vino, porterà ad un aumento dei costi sia allo scaffale che nei ristoranti. E conoscendo gli inglesi, cercheranno di contenerli stressando al massimo i fornitori di vino, tirando sui prezzi, come già successo nella crisi finanziaria del 2008. Inoltre quello inglese è un mercato in cui l’Italia, a parte qualche produttore che ha lavorato sul marchio posizionandosi in alto, in generale ha lavorato sui prezzi, fornendo vino per molte private label, e questo non aiuta, perchè ci sono marginalità ridotte. Di certo, anche per realtà come il Prosecco, c’è da fare grande attenzione, qualche effetto ci sarà, ma non credo in un crollo verticale”.
“Il fatto che la Gran Bretagna esca dall’Europa non vuole dire che i consumatori cambino il loro gusto - spiega il produttore di Prosecco, Gianluca Bisol - ma che gli inglesi per comprare Prosecco costerà un 20% in più, allo scaffale, ma questo varrà anche per lo Champagne e per tutto il vino che viene importato. Potrebbe esserci una minore disponibilità di spesa, nel breve termine, ma più che altro c’è da capire se questa Brexit porterà anche una recessione generale dell’economia inglese, con tutto quello che ne consegue. Parlando di Prosecco, per cui l’Uk rappresenta il 20% del mercato totale, penso che rallenterà la sua crescita che è stata enorme, fino ad oggi, ma che continuerà a crescere. Nei momenti di incertezza la gente risparmierà, e di solito si risparmia tagliando i beni per cui si spende di più. Ed in questo senso, il Prosecco, nel Paese non è ne la bollicina più economica ne quella più cara”.
“E chi lo sa cosa succederà. Inizialmente l’impatto sarà sicuramente negativo - dice Enrico Viglierchio, ad Castello Banfi, realtà leader del Brunello di Montalcino - perché la svalutazione della sterlina comporterà aumento dei prezzi del vino allo scaffale, in un mercato di per sè caro, ma orientato su prodotti di fascia medio bassa. Staremo a vedere, ma un rallentamento ci sarà sicuramente. Poi la storia ci ha insegnato che le dinamiche del vino e quelle economiche non vanno sempre di pari passo, ma di certo gli importatori si troveranno a dover pagare di più il vino, e saranno colpiti soprattutto i prodotti che hanno un posizionamento di prezzo più basso, che hanno meno margini. È un paese che importa quasi il 100% del vino venduto, l’effetto sarà negativo. Anche se, va detto, per chi lavora nell’alto di gamma, la Gran Bretagna è un mercato importante, ma non così determinante come qualche anno fa”.
Più ottimista, in fine, il commento di Paolo Damilano, alla guida della celebre cantina Damilano, a Barolo: “io voglio vedere il bicchiere mezzo pieno. Abbiamo un euro che andrà ad indebolirsi, almeno nel medio periodo, e questo aiuterà le esportazioni del vino italiano. Poi, per i vini di alta gamma, il mercato Uk non è così determinante come un tempo, quindi per chi lavora nell’alto livello non cambierà molto. Le ripercussioni più negative saranno proprio per il popolo inglese, che si è sobbarcato il peso di dare un segnale forte all’Unione Europea”.
A rassicurare, in qualche modo, i produttori italiani ed europei, dal Regno Unito, arrivano poi le parole della Wine & Spirit Trade Association, la “lobby” del commercio degli alcolici inglese, che era dichiaratamente favorevole a rimanere nell’Unione Europea. “Il popolo ha votato per lasciare l’Unione Europea, aprendo un nuovo capitolo della nostra storia. Anche se crediamo che al nostro business sarebbe convenuto rimanere nell’unione, lavoreremo per aiutare il Governo nel preservare il nostro accesso al mercato, supportando le imprese inglesi e cercato di arrivare ai migliori accordi possibile per il libero commercio a livello internazionale”.
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