
I giovani bevono vino, ma sono intimoriti dal suo linguaggio; i giovani sono curiosi sul vino, ma cercano informazioni precise, veritiere e facili da comprendere; i giovani fanno vino, e lo legano al rispetto del territorio, dell’ambiente e delle persone. Ma soprattutto, i giovani cercano leggerezza: nello stare insieme, nella condivisione, nella consapevolezza, nello scambio di opinioni, nell’approfondimento e nella comprensione. È una questione di approccio, quindi. I problemi ci sono, sono evidenti e vanno affrontati, ma il metodo che scelgono di usare comprende la serietà sorridente e l’ottimismo; non drammi, allarmismi e auto-celebrazioni. Sembra che il mondo possa tirare un sospiro di sollievo, insomma, a sentire il talk “Il mondo del vino raccontato da chi lo farà”, promosso, ieri, da “Civiltà del bere”, a “VinoVip al Forte”, a Villa Bertelli, a Forte dei Marmi in Versilia. E dove, con il direttore della storica rivista Alessandro Torcoli, si sono confrontati giovani e giovanissimi che disegnano le nuove forme del vino italiano, dal lato della produzione, della comunicazione e della vendita, dalla content creator Ilaria Cappuccini, alla produttrice toscana Elena Casadei, da Paolo Porfidio, sommelier (ed enologo) del ristorante Terrazza Gallia di Milano, al produttore valdostano Alessandro Rosset, con la giornalista di settore Francesca Luna Noce.
Una due giorni “marittima” di incontri - arrivata all’edizione n. 3 dopo quelle del 2018 e del 2023 e che affianca la versione montana di Cortina organizzata ogni due anni dal 1997 - costellata di approfondimenti sul vino e di degustazioni con i più noti marchi italiani - da Marchesi Antinori ad Argiolas, da Berlucchi a Nicola Biasi, da Bortolomiol a Félsina, dalle Tenute Folonari a Fontanafredda, da Fonzone ad Herita Marzotto Wine Estates, da Cantine Lunae a Masciarelli, da Masi Agricola a Mezzacorona, da Nino Franco a Pasqua, da Pio Cesare a Poggio al Tesoro (Marilisa Allegrini), da Quintodecimo a San Michele Appiano, da Sartori a Torre Rosazza, da Umani Ronchi a Velenosi, da Venica & Venica a Zorzettig, tra gli altri - tra il focus sui fine wines bianchi d’Italia curata da Aldo Fiordelli, e l’imperdibile degustazione finale aperta al pubblico del Grand Tasting di “VinoVip”, e al Premio Pino Khail “per la valorizzazione del vino italiano”, intitolato al fondatore di “Civiltà del bere”, consegnato al professor Luigi Moio, da anni al vertice della massima istituzione mondiale del vino, l’Oiv (Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino).
Tornando al dibattito, Alessandro Rosset, 26 anni e quarta generazione in forze all’azienda valdostana di famiglia Rosset Terroir e alle Distillerie Saint Roch Levi Ottoz, ha sottolineato come “due sono secondo me i temi caldi attuali: la sostenibilità (per quanto termine abusatissimo, quasi quanto “resilienza”) e la comunicazione”. La sostenibilità è ormai imprescindibile e a 360 gradi - quindi anche sociale - non solo perché lo chiede un mercato fatto di consumatori sempre più consapevoli, ma soprattutto perché gli agricoltori stessi vivono in prima persona i danni o i benefici che provocano con le loro azioni. “Questo dà agli agricoltori una credibilità di base, visto che subiscono personalmente le conseguenze dell’emergenza climatica e hanno per primi interesse a mantenere integro l’ambiente”, sostiene Rosset, il quale spiega anche la situazione paradossale dei viticoltori, che sono reattivi nel reagire all’emergenza climatica: alcune loro decisioni possono portarli ad essere “illegali” rispetto alle regole dei disciplinari, che sono troppo rigidi e lenti nell’accogliere soluzioni che invece necessitano di tempistiche veloci. La visione e le scelte delle aziende, conclude Alessandro Rosset, vanno, infine, veicolate con onestà e verità a chi le ascolta, per mantenere integra la fiducia dei consumatori verso i produttori e il settore intero. Elena Casadei, figlia d’arte e terza generazione dei produttori Casadei, alla guida del progetto enologico “Le Anfore” di Elena Casadei a Pontassieve, a Firenze, riprende il tema della sostenibilità lanciato dal collega Rosset e ne spiega la sua declinazione: “noi oggi stiamo subendo le scelte prese nel passato. Quindi dobbiamo prendere il passato e traghettarlo nel futuro, imparando dagli errori fatti. Abbiamo compreso che il suolo è vivo e accoglie vita da millenni. Bisogna rispettarlo e mantenerlo integro e ciò significa, poi, trovarsi qualità nel vino. Noi lo facciamo riprendendo le buone pratiche di un tempo, approfondite e perfezionate con le conoscenze che abbiamo raggiunto oggi”. Con il suolo, certo, ma anche per la parte enologica, che Elena riversa sulle anfore, contenitore di secolare tradizione che secondo lei, per sottrazione, riesce a trasmettere al meglio il territorio. “Certo, c’è tanta tecnica e conoscenza. Ma c’è l’emozione di lavorare ogni anno con condizioni sempre diverse, che vogliamo siano riconoscibili del vino, insieme al territorio e al vitigno. O l’emozione di scoprire un vitigno dimenticato, che ha resistito per secoli in un posto e ha qualcosa da raccontare. Insomma, dev’esserci anche la passione e l’anima del produttore. Se non avessi sentito entusiasmo quella prima volta in cantina, non sarei oggi su un palco a parlare delle esperienze raccolte in queste mie prime dieci vendemmie”. Secondo Casadei, il Sangiovese in anfora ha un’immediatezza che le permette di raccontare il suo lavoro e il suo territorio con freschezza, ad aprire un mondo abbastanza chiuso allo stupore dei consumatori: “una volta che ho la loro attenzione e comprensione, posso accompagnarli ad assaggiare la tradizione: il Sangiovese affinato due in botti di legno di mio padre”.
Tra agronomia ed enologia, e tutte le condizioni e scelte che portano finalmente al risultato nel bicchiere, le cose da raccontare sono infinite. Avere 30 secondi per concentrare tanti contenuti davanti ad un cliente al ristorante che deve scegliere un vino da accompagnare al pasto, non è affatto semplice. Lo sa bene Paolo Porfidio, head sommelier a soli 29 anni del prestigioso ristorante di Milano “Terrazza Gallia” ed a capo del progetto “Somm is the future” per valorizzare la figura del sommelier (Porfidio è anche enologo). “Il nostro compito è quello di fare ciò che farebbe il produttore se fosse presente: trasmettere la sua filosofia in modo snello, efficace, ma emozionante, senza scendere in tecnicismi se non in caso di clienti esperti. Dobbiamo quindi capire chi abbiamo di fronte, se sono persone che vogliono rimanere nella loro comfort zone o se sono disposti a sperimentare, dobbiamo accogliere e non travolgere, essere amichevoli e non rigidi”. C’è, in effetti, una sostanziale differenza nel modo in cui si pongono i clienti giovani, registra Porfidio: “sono più curiosi, inclini a scoprire cose nuove e a fidarsi del sommelier; ma, soprattutto, non sono orientati al marchio e non hanno idee già pre-formate. Cercano storie vere e autentiche, non necessariamente belle e patinate”. Il progetto “Somm is the future” è nato proprio dalla consapevolezza che il ruolo del sommelier può essere cruciale per (ri)avvicinare le persone al vino, anche tramite commistioni (come con la mixology). E il confronto tra colleghi è essenziale. “Sono nate negli anni per fortuna tante associazioni che hanno fatto crescere la nostra figura, ma come il mondo del vino, si sono chiuse in sé stesse: il progetto vuole rimettere in comunicazione le diverse anime del settore, per creare una comunità e crescere insieme. Raccogliamo già 400 sommelier nel mondo, solo grazie al passaparola. Si sente il bisogno di una condivisione più vera, reale e profonda”.
Il tema dell’autenticità nel racconto, quindi, torna e viene ampliato da Ilaria Cappuccini, digital creator enogastronomica riminese under 30 e creatrice di contenuti su cibo e vino sul suo profilo Instagram @just.saywine (169.000 followers), ma anche con studi universitari e master importanti. Similmente al sommelier-enologo Porfidio, cerca di sintetizzare in poco tempo le informazioni che vuole comunicare cercando di usare un linguaggio “pop”, coinvolgente e veloce:“sui social non hai molto tempo per approfondire, ma puoi dare un contesto, che è quello che interessa ai giovani. I quali bevono vino: magari hanno paura di parlarne e si sentono inadeguati, ma lo bevono e ne sono incuriositi”. E i social, che sono una piazza, sono uno strumento perfetto per arrivare ai non intenditori, attirare la loro attenzione e informarli. Secondo Cappuccini “il vino è cultura e fa parte della nostra vita da sempre. In Georgia, dove sono stata di recente, parlano sempre di vino, che è parte della loro socialità, ma senza mai essere protagonista. Hanno un approccio quasi spirituale anche con le loro anfore e il loro racconto è molto coinvolgente. Anche se i vini non vanno completamente incontro al proprio gusto, alla fine ti piace perché ti affezioni alle persone e quindi a quello che fanno”. È la relazione che si crea, quindi, a trainare l’attenzione e l’interesse. Ed è precisamente il motivo per cui Cappuccini non è spaventata dall’avvento dell’Ai: perché per quanto sia preoccupante dover gestire video immagini e testi creati virtualmente e irreali, la relazione personale e reale tra chi comunica e chi legge, tra chi chiede e chi spiega, resta insostituibile e irreplicabile. Francesca Luna Noce, classe 1995, laureata in Enologia e giornalista freelance di cibo, miscelazione e distillati per diverse testate, ricorda di aver sentito fin dai tempi della sua laurea, nel 2018, che il mondo del giornalismo è in crisi (in un intervento audio): “ma il giornalismo enogastronomico non è in crisi di contenuti: se mai è in crisi di credibilità. Sapere non basta: bisogna generare fiducia per attirare l’interesse di chi ci legge. Per anni c’è stata una litania autoreferenziale che ha escluso le persone, giovani compresi, che invece vogliono sentirsi coinvolti tramite valori e fatti di impatto”. Non è quindi sufficiente essere superficiali e limitarsi ad un copia e incolla o affidarsi ciecamente all’uso dell’Intelligenza Artificiale. Ci sono oggi persone che con audacia decidono di parlare di politica o di scelte coraggiose: “perché gli approfondimenti non sono mai nemici dell’accessibilità”, secondo Noce. Il settore della miscelazione, secondo lei, ne è un esempio perfetto: non ha di gran lunga la stessa struttura narrativa del vino, eppure è popolarissima, grazie ad una narrazione più fresca e leggera, ma non meno efficace. Il “come”, insomma, può fare la differenza, ma “senza dimenticare che abbiamo anche il privilegio e la responsabilità di scegliere “cosa comunicare”, conclude Noce.
Tra le testimonianze, quelle di produttori famosi per aver rotto gli schemi. Come Nicola Biasi, enologo, e tra i primi produttori a puntare sui vitigni resistenti Piwi, secondo cui bisognerebbe superare il protagonismo dei vitigni per parlare solo di territorio: “un vitigno è solo un mezzo, come il suolo o una botte: utili a veicolare un territorio. Non si dovrebbe scegliere un vitigno per tradizione, ma il vitigno che meglio si esprime in quel territorio”. Un’idea fuori dagli schemi, che vuole essere una risposta anche all’emergenza climatica e alle sfide che il mondo del vino sta affrontando: se cambiano le condizioni di un territorio, bisogna essere pronti a cambiare i mezzi che lo esprimono al meglio, vitigno compreso: perché l’unico obiettivo è fare un vino buono. Per Anna Balbinot, nuova generazione de “Le Manzane” a Conegliano Valdobbiadene, che punta sulla solidarietà, sul senso di comunità e di appartenenza al territorio, per comunicare l’unicità delle sue colline in un mare di Prosecco: “abbiamo fondato lo Young Club Conegliano Valdobbiadene per supportarci e trovare nuove idee. Ci confrontiamo anche con i giovani di altri territori europei. Vogliamo rendere comprensibile alla nostra generazione di consumatori la differenza tra la Docg e la Doc, tra i diversi dosaggi, la nostra lunga tradizione. Vogliamo stupire i turisti con la bellezza inaspettata del nostro territorio; ed essere territorio Unesco ci aiuta molto”. Infine, Riccardo Pasqua, ultima generazione di una famiglia che ha fatto dell’“insolito” nell’uso delle immagini, delle parole e del vino un marchio di fabbrica: “era il 2011 quando mi sono accorto, mentre spiegavo la tecnica secolare dell’appassimento a dei potenziali clienti dell’Illinois, che non avevano la più pallida idea di dove fosse l’Italia. Mi stavo perdendo in particolari preziosi, quando mancava del tutto il contesto”. Da allora Pasqua ha intrapreso una campagna di comunicazione che mira alla “non convenzionalità”, facendo leva su 100 anni di storia, raccontando cultura e storie bellissime e vere con un linguaggio più attraente e ammiccante.
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