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Questione di allenamento: secondo uno studio scientifico il cervello dei sommelier professionisti si evolve come conseguenza della professione, generando una corteccia entorinica sia più grande che più spessa rispetto ai “profani” del mondo del vino

Italia
Secondo una ricerca i sommelier professionisti svilupperebbero nel corso dell’esercizio della professione una corteccia entorinica

Più si fa una cosa, e migliori si diventa nel farla: l’assunto vale per praticamente ogni attività umana, ma secondo uno studio recentemente pubblicato sulla rivista scientifica “Frontiers in Human Neuroscience”, questo meccanismo di adattamento dell’organismo vale anche per le degustazioni di vino, dato che i sommelier professionisti svilupperebbero nel corso dell’esercizio della professione una corteccia entorinica - l’area del cervello che è associata al ricordo e all’identificazione degli aromi - contemporaneamente più vasta e più spessa rispetto alla media.
Lo studio, come riportato da “Wine Spectator” (www.winespectator.com), è stato organizzato da Sarah Banks, a capo del Dipartimento di Neuropsicologia del Lou Ruvo Center di Cleveland, e da Jay James, direttore della cantina Chappellet e Master Sommelier, e si è svolto con 26 soggetti partecipanti, di cui la metà detentori del medesimo titolo di James e l’altra composta da soggetti comuni come gruppo di controllo. Entrambi gli insiemi di soggetti sono stati sottoposti a una batteria di test visivi e olfattivi, risonanze magnetiche incluse, e come previsto i risultati hanno confermato che le aree del cervello associate all’elaborazione di segnali olfattivi e di memoria erano più attive nel primo gruppo rispetto al secondo. Ma, e qui la sorpresa, parti della corteccia entorinica, ovvero l’area più coinvolta in queste attività, erano contemporaneamente più vaste e più spesse nei sommelier, e con lo spessore che cresceva di pari passo con l’“anzianità di servizio”, per così dire, del sommelier in questione. Questione di pratica, insomma, ben più che di genetica.
Inoltre, dato che sono proprio le aree del cervello correlate a olfatto e memoria ad essere le prime vittime di malattie neurodegenerative, come il morbo di Alzheimer e quello di Parkinson, non è da escludere che l’allenamento costante di queste aree possa avere effetti benefici e, in un certo senso, “protettivi”. Certo, per saperlo con certezza serviranno molti altri studi, ma nel frattempo, meglio cercare di allenare comunque il proprio olfatto con un buon bicchiere.

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