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Questione di etichetta: tra marketing, legislazione e tutela del marchio, l’etichetta del vino vista dal mondo della comunicazione, con Simonetta Doni (Doni & Associati), e della legge, con Elisabetta Guolo e Paola Stefanelli (Studio Bugnion)

Italia

Quando si parla di etichetta, in una bottiglia di vino, ci si riferisce ad un microcosmo che nasconde un vero e proprio universo, perché dietro ad un progetto grafico o a un disegno c’è un progetto di marketing, che fa dell’etichetta il biglietto da visita di un’azienda. “Fare un’etichetta vuol dire una pubblicità costante e permanente nel mondo di un’azienda vinicola - racconta, a WineNews, Simonetta Doni, a capo dello studio grafico Doni & Associati, specializzato nella comunicazione e nel marketing del vino, protagonista del workshop “Il vino con l’etichetta giusta: quando il design si coniuga con la legge” - è l’immagine che l’azienda porta di sé in tutto il mondo. Quindi bisogna essere precisi nell’immagine che si vuol dare di un vino, e riportare, con la maggior semplicità ed incisività possibile, il territorio di produzione, i valori dell’azienda, ed i valori che quel vino vuole trasmettere, dicendo ad esempio se attraverso un’immagine, e quindi un’etichetta, se si tratta di un vino importante, o di un vino da consumo quotidiano, se è un vino da invecchiamento. Tutto questo deve venir fuori dall’etichetta”.
Quello tra il vino ed il mondo del marketing, della grafica pubblicitaria e della comunicazione, è un rapporto complesso e che procede a rilento, ma che “negli ultimi tempi ha fatto passi da gigante: è un mondo legato alla tradizione - riprende Simonetta Doni - ed è un legame che non dobbiamo dimenticare, però ci sono anche tanti Paesi emergenti che sono molto più liberi di esprimersi anche con segni innovativi e moderni: il nostro obiettivo è quello di coniugare un passato importante con il futuro del mondo che ci deve accogliere e ci conosce. La sfida è quella di trovare una rappresentazione capace di conquistare allo stesso modo il mercato russo, ad esempio, e quello canadese, che hanno esigenze e gusti decisamente diversi. Credo - continua la grafica - che se ci rifacciamo ai valori dell’azienda che produce un certo vino, sarà la scelta vincente. Abbiamo la fortuna di avere aziende con famiglie che nel vino ci sono da secoli, e questo è un aspetto importantissimo che non va trascurato, magari per inseguire una moda che arriva dal Cile”.
Idee e propositi che, però, all’atto pratico devono confrontarsi, ed in certi casi scontrarsi, con la normativa che regola l’etichettatura, perché le esigenze e le richieste del legislatore, che sia l’Unione Europea o il Governo di un singolo Paese, senza dimenticare il ruolo dei Consorzi di Tutela, non sempre si coniugano con quelle del produttore o del grafico. “È un rapporto complicato, tanto che negli anni siamo riusciti a spostare tutte le parti legate alle diciture legali su uno spazio ben distinto dall’etichetta, che per noi è lo spazio dell’immagine e della comunicazione, liberandoci in qualche modo da determinati vincoli e paletti che la legge ci impone e che però sono molto importanti per il consumatore, perché ci permettono di distinguere ed individuare con esattezza il territorio di produzione, il tipo di vino prodotto e quant’altro. È importante che ci siano queste informazioni - conclude Simonetta Doni - ma è altrettanto importante che siano su uno spazio distinto rispetto a quello destinato all’immagine che un’azienda vuol dare di sé e dei suoi vini”.
Ma cosa cambia con il Testo Unico del Vino, nato dopo due anni di gestazione sotto la bandiera della semplificazione, ma ancora in attesa dei decreti attuativi, rispetto all’etichettatura? “Tra le pochissime, ma importanti novità - racconta l’avvocatessa Elisabetta Guolo dello studio Bugnion, che ha approfondito il tema delle “Novità in materia di etichettatura, presentazione e pubblicità dei prodotti vitivinicoli - c’è l’introduzione della figura del “vitigno autoctono italico”, che era già stata menzionata in passato, ma adesso è stata completamente riformulata, e ancora quella dei “vigneti storici”, così come la menzione della “Gran Selezione”. Non ci sono grandi novità, invece, dal punto di vista delle menzioni tradizionali e delle sotto zone, però c’è stato un cambiamento per quanto riguarda la minimizzazione di alcuni caratteri, ad esempio quando si menziona il nome di una Dop o di una Igp all’interno di un’etichetta di un’altra Dop o Igp. Un interessante novità - continua l’avvocato - che può coinvolgere sicuramente l’etichettatura, è quella del cosiddetto ravvedimento operoso, ossia il pagamento spontaneo di una sanzione in misura ridotta: vedere l’istituto della diffida applicato al Ruci - Registro Unico dei Controlli Ispettivi, esteso anche all’inserimento dei dati relativi ai controlli ed alle ispezioni fatte alle imprese del settore vitivinicolo, dovrebbe portare, nelle intenzioni del Testo Unico, ad uno snellimento sia delle sanzioni che della burocrazia. Dal punto di vista dell’etichettatura, a parte qualche piccola modifica, mi trovo ad essere piuttosto scettica rispetto alla cosiddetta semplificazione, perché in effetti non è l’unica norma che regola l’etichettatura: c’è la normativa dell’Unione Europea, poi abbiamo un decreto ministeriale ancora vigente, del 2012, aspettando i decreti attutativi del Testo Unico stesso, senza dimenticare la nota di dicembre 2016 della Repressione Frodi che chiarisce molto in termini di burocrazia, e poi il nostro punto di riferimento primario sono i disciplinari di produzione quando parliamo di etichetta. C’è una stratificazione normativa enorme - conclude Elisabetta Guolo - quando si parla di etichettatura di un prodotto vitivinicolo”.
Ma non finisce qui, perché l’etichetta non è solo una leva di marketing o la garanzia legale della bontà di una bottiglia di vino, ma anche l’opportunità di dare vita ad un vero e proprio marchio d’impresa, un elemento distintivo da difendere. “Innanzitutto - esordisce l’avvocatessa Paola Stefanelli, sempre dello studio Bugniol, che ha concentrato il suo intervento sull’aspetto delle “Opportunità oltre il marchio d’impresa” - non tutti gli elementi presenti in un’etichetta sono difendibili tramite la registrazione di marchio o di design. Non sono difendibili gli elementi descrittivi o generici, ossia nomi che si riferiscono, o che descrivono il prodotto vino. Più il marchio è forte, di fantasia, quindi avulso rispetto al prodotto, più è proteggibile, e quindi avrà un ambito di protezione più ampio. Porto sempre ad esempio l’etichetta di “Urlo” (Ruffino, ndr), che ha un marchio talmente forte in relazione al vino, di cui non descrive alcuna caratteristica, che potrà essere protetto anche contro un caso di contraffazione operato, ad esempio, da un’etichetta che si chiamasse “grido”, che visivamente e graficamente potrebbe essere diversissima da “Urlo”, ma concettualmente è identico. Ambito di protezione quindi più ampio - continua Paola Stefanelli - per i marchi di fantasia, ma questo nel mondo del vino succede molto poco, i marchi tendenzialmente sono invece molto descrittivi, utilizzano parole generiche, come “borgo”, “castello”, “podere”, “tenuta”, e quindi si rivelano poco difendibili. Per proteggerli è necessario registrare il marchio, in uno degli uffici competenti a livello nazionale, europeo o internazionale, mentre nei Paesi che non hanno aderito al marchio internazionale si procede al singolo deposito. Non c’è da spaventarsi perché la registrazione di un marchio non ha prezzi esorbitanti, è importante proteggersi, e non solo a livello italiano ma anche e soprattutto all’estero, perché il marchio dà diritti di esclusiva su un nome soltanto dove è registrato (il cosiddetto principio di territorialità), quindi è necessario registrare in tutti i Paesi in cui si commercializza o si ha intenzione di commercializzare e nei Paesi a rischio contraffazione. Anche se non si vende in Cina, ad esempio, è importante estendere la registrazione del marchio anche lì”.

Possiamo sintetizzare i motivi per cui è importante registrare un marchio in una sorta di decalogo. “Innanzitutto - riprende l’avvocatessa Stefanelli - un marchio di fatto non è un titolo azionabile, è necessario dimostrare che il nome che uso sia effettivamente un marchio. Senza una registrazione non potrò chiedere un sequestro, né chiedere alle dogane di bloccare un’importazione di prodotti contraffatti. Senza una registrazione non potrò andare da una banca e chiedere un finanziamento dando in garanzia i miei marchi, che sono dei veri e propri asset aziendali, che hanno un valore economico misurabile, si possono iscrivere a bilancio, e molte aziende lo fanno. Non si può, senza un marchio registrato, fare contratti di distribuzione forti, perché è probabile che il distributore si registri all’estero con il marchio aziendale ed una volta terminato il contratto diventi costoso e difficile rientrarne in possesso. Inoltre, un marchio registrato, utilizzati per cinque anni consecutivamente senza obiezione da parte di terzi, diventa incontestabile, per cui nessuno potrà più opporsi al suo utilizzo. Infine, un motivo per cui si registra un marchio è anche per fregiarsi del simbolo del marchio registrato, che è anche un deterrente per chi pensasse di copiarlo”.

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