In uno scenario macroeconomico condizionato dalla crisi energetica e climatica, la Dop Economy italiana mostra ancora una volta un quadro positivo contrassegnato da valori record. Il settore delle Dop e Igp, secondo il “Rapporto Ismea-Qualivita” 2023, presentato oggi a Roma (Hotel Quirinale), vola oltre la soglia dei 20 miliardi di euro di valore alla produzione nel 2022 (+6,4% su base annua), assicurando un contributo del 20% al fatturato complessivo dell’agroalimentare italiano. All’interno del settore, il comparto cibo sfiora i 9 miliardi di euro (+9%), mentre quello vitivinicolo supera gli 11 miliardi di euro (+5%). Risultati importanti, seppure in parte condizionati dalla spinta inflattiva, che testimoniano la grande solidità della Dop Economy nazionale: un sistema organizzato, che conta 296 Consorzi di tutela autorizzati dal Ministero dell’Agricoltura e oltre 195.000 imprese delle filiere cibo e vino, con un numero di rapporti di lavoro stimati per la prima volta a 580.000 unità nella fase agricola e a 310.000 nella fase di trasformazione.
L’edizione n. 21 del Rapporto evidenzia anche un balzo in avanti dell’export che nel 2022, grazie al contributo delle due componenti cibo e vino, raggiunge quota 11,6 miliardi di euro (+8% sul 2021), rappresentando il 19% del giro d’affari all’estero dell’agroalimentare nazionale. La filiera del cibo realizza 4,7 miliardi di euro di fatturato evidenziando un +6% in un anno e un +66% nel decennio, per effetto soprattutto del recupero dei mercati Extra-Ue (+10%). Il comparto vino sfiora i 7 miliardi di euro, registrando una progressione del +10% sul 2021 e +80% rispetto al 2012 (+116% considerando solo i vini Dop). Le Dop e Igp vinicole rappresentano a valore quasi il 90% delle esportazioni delle cantine italiane.
Per l’impatto sull’occupazione le stime elaborate per la prima volta indicano, nel settore agricolo, un numero di rapporti di lavoro dipendente a tempo determinato pari a 430.000 (di cui 211.000 nel vino e 219.000 nel cibo) e a 50.000 a tempo indeterminato (di cui 20.000 nel vino e 30.000 nel cibo), a cui vanno aggiunti poco meno di 100.000 lavoratori autonomi, tra imprenditori agricoli e coltivatori diretti. Nella fase industriale il sistema Ig genera oltre 250.000 rapporti di lavoro a tempo indeterminato (di cui 210.000 nel cibo e 43.000 nel vino) e 60.000 rapporti a tempo determinato o stagionali (di cui 45.000 nel cibo e 15.000 nel vino). Da considerare, nella valutazione complessiva, che i dati si riferiscono al numero di rapporti di lavoro, che è superiore al numero effettivo di lavoratori dipendenti, a causa della possibilità per un lavoratore di avere contratti con più aziende.
Analizzando l’impatto territoriale, le quattro regioni del Nord-Est concentrano da sole oltre la metà (55%) del valore nazionale delle Dop e Igp - con Veneto e Emilia-Romagna che si confermano le prime Regioni in assoluto per valore economico - mostrando una crescita di quasi il +6% sul 2021. In termini relativi è però il Nord-Ovest a presentare l’incremento maggiore (+12%), trainato da Piemonte e Lombardia, la regione con la crescita più alta nel 2022 (+318 milioni di euro). Il Centro Italia, guidato dalla Toscana, segna un +4%, mentre l’area “Sud e Isole”, dopo gli importanti incrementi registrati nel 2020 e nel 2021, avanza di un ulteriore +3%, con un contributo soprattutto da parte di Campania (+9%), Sardegna (+19%) e Abruzzo (+9%).
Nel 2022 il comparto del cibo Dop e Igp sfiora i 9 miliardi di euro di valore all’origine (+9% la crescita annua, +33% il trend in dieci anni) per un fatturato al consumo finale che supera i 17 miliardi di euro (+6%). Grana Padano Dop (1,73 miliardi, +18,8%), Parmigiano Reggiano Dop (1,72 miliardi, +7%), Prosciutto di Parma Dop (932 milioni, +11,2%), Mozzarella di Bufala Campana Dop (502 milioni, +9,4%) e Aceto Balsamico di Modena Igp (381 milioni, -5,2%) sono i primi cinque “distretti”. Numeri record che testimoniano l’impegno di 85.584 operatori, 550.000 occupati, 168 Consorzi di tutela autorizzati dal Ministero e 41 Organismi di controllo. L’export del comparto raggiunge 4,6 miliardi di euro (+6% su base annua e +66% sul 2012), grazie soprattutto al recupero dei mercati Extra-Ue (+10%).
La produzione di vino imbottigliato Dop e Igp, dopo il forte balzo nel 2021, si attesta a 26 milioni di ettolitri nel 2022, in ridimensionamento sull’anno precedente (-4%). I dati in valore indicano invece, sulla base delle stime aggiornate, una crescita per l’imbottigliato (+5% a 11 miliardi di euro) e per lo sfuso (+13% a 4 miliardi di euro). Tra le prime 10 denominazioni per valore - Prosecco Dop (1,14 miliardi di euro, +29,1%), Conegliano Valdobbiadene Prosecco Dop (239 milioni, +27,8%), Delle Venezie Dop (188 milioni, +2,1%), Asti Dop (133 milioni, +1,4%), Amarone della Valpolicella Dop (130 milioni, +5,4%), Valpolicella Ripasso Dop (114 milioni, +15,1%), Chianti Dop (105 milioni, 9,6%), Puglia Igp (102 milioni, -17,5%), Alto Adige Dop (100 milioni, +24,9%) e Barolo Dop (97 milioni, +5,4%) - ben 9 fanno registrare una crescita rispetto al 2021. Risultati frutto dell’impegno quotidiano di 109.823 operatori che danno lavoro a oltre 340 mila persone, grazie anche al coordinamento di 128 Consorzi di tutela autorizzati dal Ministero e seguiti dall’attività di 12 Organismi di controllo. A fronte di volumi esportati simili al 2021, gli introiti crescono del 10%, arrivando a sfiorare i 7 miliardi di euro nel 2022, per un trend del +80% rispetto al 2012 e risultati positivi soprattutto per i vini Dop (+12%) e in particolare per gli spumanti (+21%).
Guardando alle vendite in gdo, negli ultimi due anni gli italiani hanno speso mediamente di più per gli acquisti alimentari domestici e ciò vale anche per il cibo e vino Dop e Igp: le vendite dei principali prodotti Ig a peso fisso e variabile nella grande distribuzione organizzata hanno oltrepassato nel 2022 i 5,4 miliardi di euro (+3% su base annua), con una dinamica più sostenuta per il cibo (+5,6%) rispetto al vino (-2,5%) che risente della ripresa del “fuori casa”. I dati, relativi ai primi 9 mesi 2023, indicano un ulteriore balzo in avanti del +10% della spesa alimentare nella gdo, a fronte di un incremento lievemente più contenuto per gli acquisti di prodotti a marchio Dop e Igp (+8%). Cresce la rilevanza del canale discount per una fetta significativa di prodotti Dop e Igp e resta forte, per quanto in calo, l’incidenza delle vendite in promozione per i prodotti Ig nella gdo (21,5%).
“Quello delle Indicazioni Geografiche - ha detto il Ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida - è un valore intrinseco nei nostri produttori, non solo un obiettivo di un Paese che non guarda alla quantità. L’Italia punta alla qualità e vogliamo difenderla creando sinergie e rafforzando il vero sistema Paese in tutto il mondo. Il nostro impegno è attuare anche una visione strategica che impedisca la proliferazione dei marchi di qualità pubblici e l’affermazione di etichette scorrette che disorientano il consumatore”. “Il settore delle Dop e Igp - ha evidenziato Mauro Rosati, direttore Fondazione Qualivita e Origin Italia - cresce nonostante un quadro congiunturale difficile ed è un dato indubbiamente positivo. Gli 890.000 occupati nella fase agricola e di trasformazione esprimono un ulteriore elemento di valore della Dop Economy da non sottovalutare. Permangono le criticità, a partire dalle emergenze climatiche che coinvolgono da alcuni anni tutta l’agricoltura, ma in particolare le produzioni Dop e Igp legate a micro-areali. La riforma europea apre una nuova fase per la qualità agroalimentare italiana che impone a tutti gli attori una riflessione su tre punti cardine: governance dei territori, rapporto con il consumatore e ricerca scientifica, già divenuta uno degli asset primari di investimento dei Consorzi di tutela. Possiamo lavorare insieme ad un nuovo paradigma della qualità italiana anche con il sostegno delle recenti misure del Governo e del Ministero”. “Un settore in continua crescita - ha concluso Maria Chiara Zaganelli, dg Ismea - che non sviluppa solo valore economico sui territori. Con 890.000 contratti di lavoro nel settore Ig, la Dop economy afferma anche un valore sociale, etico e occupazionale indiscutibile. Settore eterogeneo che si caratterizza così, importante è che non sia sottoposto a frammentazione per spinte localistiche, legame con i territori ma attraverso un sistema che permette di esprimere l’eccellenza italiana”.
Focus - Il Governatore del Veneto, Luca Zaia: “Veneto sui podi più alti, il consumatore premia la certezza dell’origine. Non abbassare la guardia in difesa dei prodotti. La Regione protagonista grazie alle corazzate, Grana Padano e Prosecco”
“C’è molto del Veneto nel record della Dop Economy nazionale che per la prima volta supera i 20 miliardi di euro di valore della produzione. La nostra Regione è una protagonista a pieno titolo dei podi più alti per il cibo e per il vino che vedono, rispettivamente due corazzate, il Grana Padano e il Prosecco. Ma l’affermazione si estende con un secondo posto dei vini che parla solo veneto: lo ha conquistato, infatti, il Conegliano Valdobbiadene. Mentre assistiamo, anche a livello comunitario, all’apertura verso cibi alternativi o a indicazioni non sempre chiare, questi dati ci confortano che la prima attenzione del consumatore predilige sempre più la certezza dell’origine, fattore che è garanzia di provenienza da un territorio quindi di una tracciabilità in linea anche con le scelte di salute”. Così commenta il Governatore della Regione del Veneto, Luca Zaia, ai dati positivi del Rapporto Ismea-Qualivita 2023 sulla Dop Economy.
“Le indicazioni di provenienza equivalgono a riconoscibilità di un prodotto - aggiunge il Governatore - significano identità e tradizione di un territorio di produzione traducendole in sicurezza della provenienza e dell’autenticità. L’identità alimentare, quindi, va tutelata in tutte le sedi. Battersi per questo significa soprattutto difendere la legalità, affinché abusivismo e contraffazione non mettano a rischio la salute dei consumatori ma anche affinché non danneggino gli imprenditori che operano responsabilmente e nel rispetto delle regole. Questi dati ci dicono che la scelta di metterci la faccia viene premiata dal consumatore e che non va mai abbassata la guardia di fronte al rischio che, culturalmente, si diffonda un’attenzione minore alla qualità di quello che mettiamo sulle nostre tavole”.
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