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Recuperare la tipicità vera e storicizzata dei territori e dei loro vitigni, per produrre vini realmente unici e autentici: la “terza rivoluzione” delle denominazioni del vino italiano secondo Emilio Pedron, alla guida di Bertani Domains

Italia
Emilio Pedron, alla guida di Bertani Domains

Recuperare la tipicità vera e storicizzata dei territori, tirando fuori il meglio possibile dal rapporto territorio-vitigno, anche grazie alla scienza, che consente di esprimere il massimo potenziale possibile grazie alle nuove tecnologie in vigna e in cantina, ma anche al miglioramento di quelle più antiche e tradizionali, per dare vita a vini che siano prima di tutto (e realmente) unici, con caratteristiche non replicabili in altri territori e con altre uve, senza cercare “scorciatoie”, per quanto lecite (come disciplinari dai paletti morbidi sulla base ampelografica di oggi, rispetto alla storia di un vino e di un territorio), per “accontentare” il mercato e per piacere un po’ a tutti, piuttosto che per valorizzare un’identità: ecco, in estrema sintesi, la “terza rivoluzione della denominazioni del vino italiano” secondo Emilio Pedron, manager di lungo corso e tra i più preparati del settore, con una lunga esperienza alla guida del Gruppo Italiano Vini, e oggi al vertice di “Bertani Domains” (www.bertanidomains.it) del gruppo farmaceutico Angelini, che mette insieme alcuni dei più bei nomi dell’enologia italiana come Bertani (Valpolicella), Puiatti (Collio), Val di Suga (Montalcino), Tre Rose (Montepulciano), San Leonino (Chianti Classico) e Fazi Battaglia (Castelli di Jesi), 500 ettari vitati, 4 milioni di bottiglie prodotte all’anno, 24 milioni di fatturato, di cui il 65% è dato dall’export, e 160 dipendenti.
“Una riflessione che vale per tutto il vino italiano, che della tipicità, almeno a parole, ha fatto il suo tratto più distintivo nel mondo - spiega Pedron - ed a maggior ragione per le denominazioni ed i territori più importanti del Belpaese, come quelli in cui abbiamo la fortuna di essere presenti”. Insomma, dopo la svolta verso la qualità delle ultime due-tre decadi del vino italiano, nella quale però in molti, hanno seguito più i “dettami” della critica, soprattutto straniera, per decidere lo stile dei propri vini, e che comunque ha portato crescita economica e di immagine al vino italiano nel suo complesso (e che non va rinnegata), ora per Pedron, è tempo di rimettersi in discussione, e di tornare ad un passato più autentico nella sostanza, senza per questo rifiutare la modernità dei mezzi e delle conoscenze, dove questa non “snaturi” però la storicità dei territori in termini di pratiche vitivinicole, vitigni utilizzati e caratteristiche dei vini.
Anche passando per una zonazione seria e scientifica, che ancora non c’è, nei territori, “non per dire che questo è meglio di quello, ma per affermare che ci sono delle diversità, che vanno intese come elemento di valore e di distintività”, spiega Pedron.
Secondo cui giocare gli elementi dell’autenticità e dell’unicità delle nostre produzioni è fondamentale per il futuro del settore, “perchè fare vini che si assomigliano tra loro, o peggio che assomigliano a prodotti realizzati in altre parti del mondo, potendo giocare a quel punto quasi solo sulla leva del prezzo, dove per altro non possiamo essere competitivi, sarebbe una strategia perdente. E poi sono i mercati del mondo e la critica stessa che oggi ci chiedono prodotti unici, diversi dagli altri, e in questo senso mercato e critica vanno ascoltati”.
Riflessioni che, ammette lo stesso manager, possono apparire scontate ma che poi, nella pratica quotidiana di molte aziende, non lo sono affatto. Anche perché, metterle in atto, vuol dire “intraprendere una strada più difficile, che richiede più impegno e sacrificio, anche per spiegare le caratteristiche e le tipicità dei nostri vini, ma che alla lunga, secondo me, è quella che può dare maggiori soddisfazioni. Ed è quella che abbiamo deciso di seguire in tutte le aziende della Bertani Domains”.
Ma c’è un altro aspetto fondamentale, secondo Pedron: “nei territori, nel rispetto della diversità e delle peculiarità di ognuno, va trovata una sintesi di visione, dei parametri comuni sui quali fondare tutte la strategie di una denominazione, a livello produttivo, ma anche commerciale e di comunicazione, mettendo insieme le diverse anime che in ogni territorio ci sono. Con i Consorzi che, vista la forza che oggi hanno anche grazie all’erga omnes, dovrebbero “volare più alto”, e pensare a progetti di visione e di prospettiva, più che spendersi in questioni che spesso hanno una dimensione poco più che provinciale”.

Focus - “Bertani Domains”
“Bertani Domains” è una società del gruppo farmaceutico Angelini e a sua volta è il marchio che raccoglie alcuni dei più bei nomi dell’enologia italiani: Bertani (Veneto), Puiatti (Friuli Venezia Giulia), Val di Suga (Montalcino, Toscana), Tre Rose (Montepulciano, Toscana), San Leonino (Chianti Classico, Toscana) e Fazi Battaglia (Castello di Jesi, Marche). Bertani Domains conta su 800 ettari di terreni, 500 dei quali vitati, 1.000 ettari agricoli nelle Marche, 6 cantine autonome in quattro regioni italiane, 4 milioni di bottiglie prodotte all’anno, 24 milioni di fatturato, di cui il 65% è dato dall’export e 160 dipendenti. Bertani è uno dei marchi che hanno fatto e continuano a fare la storia del Veneto enoico. La casa vinicola Bertani nasce nel 1857, a Quinto di Valpantena, a nord di Verona e già prima della fine dell’Ottocento i vini di questa azienda attraversavano l’oceano Atlantico per arrivare negli Stati Uniti. A metà del Novecento, con l’acquisto di Villa Novare, in Valpolicella, Bertani segna indelebilmente la storia dell’Amarone, la cui prima annata risale al 1958. Oggi, la cantina, possiede vigneti nella zona della Valpolicella Classica, in Valpantena (dove ha sede la storica cantina di Grezzana), nel territorio del Soave e circa nella zona del Bardolino e del Lugana. Bertani, con più di 150 anni di storia, possiede le più grandi riserve di annate storiche ed è l’espressione di uno dei marchi più rappresentativi dell’intero panorama enologico nazionale. Il Gruppo Angelini, ha ottenuto la maggioranza delle quote nel dicembre 2011 ed ha siglato nel 2012 l’accordo conclusivo che l’ha vista diventare proprietario della Bertani Holding.
Nel 2010, invece, c’è stata l’acquisizione dell’azienda friulana Puiatti. Puiatti, dal 1967 è protagonista del panorama enologico friulano. Questa importante realtà vitivinicola, il cui centro aziendale si trova a Romans d’Isonzo (Gorizia) rappresenta per Bertani Domains il “regno” della Ribolla Gialla, ferma, spumantizzata o sottoposta alla tecnica dell’infusione. Qualcosa, peraltro, si era già mossa anche nel 2009, anno in cui entrarono in commercio le prime bottiglie di Verdicchio dei Castelli di Jesi, prodotte con uve della tenuta da sempre della famiglia Angelini, Collepaglia, oggi assorbita nel marchio storico delle Marche, Fazi Battaglia, acquisito a luglio 2015 e che rappresenta da leader la versatilità del Verdicchio.
Ma il Gruppo Angelini aveva già messo piede nel mondo del vino tricolore nel 1994, con la simultanea acquisizione di tre cantine in Toscana: l’Azienda Agricola Val di Suga a Montalcino, che da tre vigne specifiche nei rispettivi versanti della denominazione produce tre espressioni di Brunello, la Tenuta Trerose a Montepulciano, dove si esprime ai massimi livelli la viticoltura di precisione e la Fattoria San Leonino a Castellina in Chianti, che rappresenta lo stile del Chianti Classico.
Una vera e propria “Sangiovese experience”, che costituisce intorno a questo vitigno una precisa filosofia produttiva capace di esaltare le vocazionalità territoriali e al tempo stesso evidenziare lo stile interpretativo di Bertani Domains.

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