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“Recupero e valorizzazione delle principali varietà locali e dei vitigni autoctoni minori in Basilicata”: ecco il libro-racconto sul progetto “Basivin Sud”, che ha riscoperto l’Aglianico bianco, l’Aglianico dolce precoce e 42 nuovi vitigni

Da più parti viene riconosciuta all’Italia enoica la sua soverchiante superiorità in fatto di varietà da vino. Insomma, siamo il luogo più “affollato” di vitigni del mondo. Vitigni che diventano vino e che ripropongono una ricchezza ampelografia davvero ineguagliabile. Ma, talvolta, si fa un po’ troppo presto a dire che i vitigni di antica coltivazione sono i protagonisti della nostra produzione enoica. Perché lo diventino davvero, infatti, ci vogliono studi, approfondimenti, ricerche che non sono certo materia che si esaurisce nello spazio di uno slogan. Va letta in questo senso la meritoria operazione di Basivin Sud che con la recente presentazione del volume contenente i risultati della propria attività, “Il progetto Basivin Sud Recupero e valorizzazione delle principali varietà locali e dei vitigni autoctoni minori in Basilicata”, ha svelato la vasta indagine storico-scientifica sugli antichi vitigni presenti nel territorio dell’antica Lucania, identificata agli albori della civiltà come Enotria.
Il progetto, partito nel 2007 per iniziativa del Comune di Viggiano, dell’Alsia (Agenzia Lucana per lo Sviluppo in Agricoltura) del Crea-Utv della Regione Basilicata e con il supporto del Consorzio Terre dell’Alta Val d’Agri, ha delineato nuovi orizzonti per la viticoltura lucana, emersi dall’indagine genetica ed archeologica effettuata in questi anni sui tanti vitigni reperiti nelle antiche vigne di piccoli produttori, custodi di vitigni centenari.
La riscoperta del grande passato viticolo di queste terre e l’identificazione di nuovi - ben 42 - vitigni indigeni sconosciuti finora, conferiscono una profonda identità viticola all’area della Val d’Agri, finora sconosciuta.
Gli scavi effettuati dall’Eni lungo il corso superiore dell’Agri negli ultimi anni hanno portato alla luce evidenze archeologiche di straordinario interesse culturale, conferendo a quest’area interna della Basilicata, da sempre considerata marginale, un valore insospettato. In realtà l’Alta Val d’Agri, epicentro del Terzo Centro di Domesticazione della vite fin dal primo millennio a.c., è la via portante dei traffici condotti da Enotri, Lucani, Greci e quindi Romani, attraversando un’area rivelatasi di grande interesse economico per questi popoli che vi si erano insediati stabilmente e diffusamente fin dagli albori della civiltà.
Il Pinot con la sua lunga progenie è partito da queste aree prima di raggiungere l’Europa, e non a caso l’Aglianico, originario della Val d’Agri dove era allevato dalla gens romana degli Alli, ha seguito le sue orme: non si era mai parlato di Aglianico Bianco o di Aglianico dolce precoce finora, ma questa grande bio-diversità, che lo mette alla pari del cugino, dimostra quale grande patrimonio genetico sia diffuso nelle piccole vigne dei vignaioli lucani.
Lungo tutto il fiume, di paese in paese, si possono seguire, tramite i cippi di confine,e le lapidi di sepoltura, le tante proprietà delle gens romane, ed una di queste, la gens Allia, imprenditori edili, diremmo oggi, impegnati nella produzione di tegole, ermici e anfore vinarie di terracotta, hanno disseminato tutto il meridione dei loro prodotti, individuabili attraverso i bolli apposti alle loro produzioni e dalle iscrizioni lapidee.
Gli Alli possedevano fattorie disseminate lungo tutta la Valle superiore dell’Agri, e le cui tracce sono evidenti anche nel toponimo del Paese di Aliano (appartenenza alla gens Allia), nel nome di un fiume Alli e perfino nel nome di un’uva famosa, identificata come “l’uva coltivata dalla “gens Allia” e quindi Allianica.
Tra gli oltre 40 siti archeologici indagati, tutti dislocati lungo la riva sinistra del fiume di particolare interesse il tracciato della via Herculia, che congiungeva Venusia (Venosa a Grumentum, con la Villa rustica della nobile famiglia dei Praesentes, la cui figlia, Crispina, nota come “l’imperatrice lucana”, era andata sposa all’imperatore Commodo). Sono stati rinvenuti distintamente gli spazi residenziali e le aree adibite alla lavorazione dei prodotti della fattoria, i cui prodotti venivano poi inviati a Roma. Dal punto di vista viticolo, è anche notevole il rinvenimento dei ruderi (con mosaici e fregi) della villa rustica del Maiorano di Viggiano, appartenuta ad un certo Potito, e dove è stato rinvenuto anche uno “stabadium”, sorta di triclinio semicircolare, dove i romani erano usi dedicarsi agli ozi ed ai simposi.
Quale fosse in realtà quell’uva coltivata 2000 anni fa non ci è dato di sapere con certezza, ma sopravvive ancor oggi il suo nome nell’uva Aglianico, onore e vanto della viticoltura Lucana. Proprio la sua antichità ha permesso la grande biodiversità della specie, che, con la ricerca del progetto Basivin, ha individuato altre due mutazioni, avvenute nei secoli, del clone che oggi costituisce la maggior parte dei vigneti moderni di Aglianico.
I prossimi passi saranno decisivi: è fondamentale registrare impiantare e propagare i vitigni e i cloni rinvenuti affinché le aziende interessate possano poi passare alla produzione regolare e costante di vini altamente caratterizzanti il territorio.
Ma per mettere in movimento questo volano di opportunità offerto dalle istituzioni,occorre una capacità imprenditoriale che lo valorizzi come valore civile e non solo quale puro e semplice profitto. Espressione territoriale e culturale capace di valorizzare la propria storia e la propria identità, in abbinamento all’innovazione ed all’aggiornamento. Per fare questo occorre che il mondo agricolo del sud, e in particolare gli agricoltori, abbandonino quell’atteggiamento di immobilismo e di attendismo che tanti danni ha già prodotto nella società.
La narrazione del volume insegna anche questo: gli scambi di merci, di idee, di servizi tra antichi popoli aventi le origini più varie, emersi con la ricerca, hanno generato quella civiltà, nel senso più ampio della parola.

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