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VERSO LA “FASE 2”

Ristorazione in crisi: per ripartire servono regole certe, e veri sostegni economici

A WineNews la visione, le contromisure ed i sentiment di grandi chef, ristoratori ed osti del Belpaese che guardano, nonostante tutto, al futuro
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Ristorazione in crisi: per ripartire servono regole certe, e veri sostegni economici

La consapevolezza, toccata con mano, da giorni, di una situazione difficilissima ed imprevedibile. La voglia di tornare, il prima possibile, con regole chiare, certe e sensate, ad aprire le porte, accendere le cucine, ospitare i clienti. È il sentiment che si registra dalle parole di tanti ristoratori italiani, velate di preoccupazione e rabbia, ma anche di voglia di reagire e ostinato ottimismo, ad una crisi che, come ribadito più volte dalla Fipe/Confcommercio, ha messo in ginocchio un settore da 87 miliardi di euro di giro d’affari all’anno (con 30 stimati di perdite, in questo 2020), che è fondamentale anche per l’economia del vino di qualità, per la produzione agroalimentare di ogni livello, per l’immagine del Paese. Un settore, quello della ristorazione, che insieme a quello del turismo è tra i più colpiti dalla crisi Covid-19, come ribadito più volte, e che, secondo tutte le indiscrezioni sulla cosidetta “Fase 2” che dovrebbe partire dal 4 maggio, sarà tra gli ultimi a poter riprendere l’attività. “Ma per poterlo fare, serve che chi dovrà scrivere le regole ci coinvolga, perchè il nostro lavoro ha delle specificità che vanno conosciute perchè si possano pensare norme applicabili ed efficaci. Ma serve anche che si semplifichi una volta e per tutte la burocrazia pazzesca che ci affligge, perchè così, se già in tempi normali è già difficilissimo pensare ad investire - calcolando anche che il 70% degli incassi se ne va in tasse - ora diventa quasi impossibile. E se la nostra passione e la voglia sperano che sia il contrario, la ragione ci dice che non ci sarebbe da meravigliarsi se, purtroppo, in tanti non riaprissero”. Parole di Cristina Bowerman, chef stellata con la Glass Hostaria di Roma e presidente degli Ambasciatori del Gusto. “Iniziative come il delivery, o i dinnerbond (come quelli lanciati dal portale Dinnerbond.it) non sono chiaramente la soluzione, sono un pagliativo, un modo per rimanere vivi e in contatto con i clienti. Ma serve altro, per far ripartire il settore”. Meno burocrazia, come già detto, e regole certe, sensate (“chiedere di sanificare un locale che è stato chiuso per due mesi non ha senso, e poi la pulizia è un pilastro di chi fa il nostro lavoro in modo serio”, dice ancora la Bowerman) e in tempi che consentano di adeguarsi.
Oltre che un sostegno economico vero, rapido, che consenta alle imprese di sopravvivere. Misure che la “Rete della Ristorazione Italiana”, che raccoglie oltre 26 sigle di categoria, ha messo nero su bianco: cancellazione delle imposte nazionali e locali pertinenti (come Tari, Imu, affissione, occupazione suolo pubblico, e così via), credito per utenze relative alle attività commerciali e rateizzazione dei pagamenti degli acconti Ires, Irap previste a giugno e senza interessi; proroga della cassa integrazione straordinaria per il personale in forza al 23 febbraio 2020 fino alla fine dell’anno; sospensione di leasing, mutui e noleggio operativi fino a fine 2020, con il recupero delle mensilità congelate in coda al periodo previsto dalla relativa misura posta in essere; armonizzazione da parte dello Stato delle regole per l’accesso al credito; credito d’imposta al 60% riconosciuto al proprietario fino al 31 dicembre 2020 con il 40% dell’importo a carico del locatario e misura semplificata (come la cedolare secca); detassazione (straordinaria) sulle risorse umane in organico, detassazione degli oneri contributivi e assistenziali e dei benefit sino al 30 giugno 2021; possibilità estesa a tutto il comparto ristorazione di effettuare l’asporto; misure di sostegno a fondo perduto, ristori e indennizzi, per il periodo di chiusura obbligatoria imposto per legge dall’emergenza covid-19 (pari al 10% del fatturato in relazione allo stesso periodo di riferimento). Tutte richieste, parole, ipotesi, perchè ad ora, di certo, e messo nero su bianco, non c’è nulla. E i ristoratori d’Italia cercano di attrezzarsi, navigando a vista.
“La situazione è in evoluzione, dal punto di vista sanitario e prendere una decisione è difficile. La ristorazione avrà bisogno di settimane. Ci devono dire quali protocolli mettere in pratica e come, per la sicurezza di clienti e personale, poi li applicheremo, ma non si fa dalla sera alla mattina”, commenta, a WineNews, Antonio Santini, decano dell’alta ristorazione italiana con il Dal Pescatore di Canneto sull’Oglio, storico tre stelle Michelin guidato con la moglie Nadia, e con i figli Alberto e Giovanni - “non è complicato, è possibile, ma serve chiarezza. Come deve essere chiaro che quando si riaprirà, non ci sarà la corsa ai ristoranti. Io credo che chi governa dovrebbe allungare la cassa integrazione il più possibile, fino a quando servirà, e che servano finanziamenti a fondo perduto per salvare le imprese, come avviene in altri Paesi, da dare sulla base di una percentuale, che va stabilità, del fatturato dichiarato l’anno precedente. Nel nostro settore lavorano tanti giovani appassionati, che perderanno il lavoro, penso agli stagionali, a chi fa catering. E vanno tutelati. Poi, quando si ripartirà, magari, si farà con menu ridotti, ma non stravolti. Servirà più rigore, più ricerca nel prodotto, nella valorizzazione delle filiere. E ci sarà bisogno che, da questi mesi di vita che non è stata vita, in cui abbiamo perso tanto, dal punto di vista umano ed economico, si esca tutti in po’ più saggi”.
“Noi stiamo già pianificando, abbiamo la fortuna di avere il deor e due sale, quindi distanzieremo i tavoli, avremo una possibilità di 35 coperti, la metà della norma - spiega Matteo Baronetto, stellato con il Ristorante del Cambio di Torino, ai cui tavoli sedette Cavour - mentre per il Bar Cavour, stiamo valutando se aprire direttamente a settembre. Per la Farmacia del Cambio abbiamo il deor, anche li distanzieremo i tavolini e non faremo servizio all’interno. Avevamo già scelto di accorciare il menu, concentrarci su meno piatti per seguire una linea più netta e precisa, e questa emergenza ha accelerato un percorso che avevamo già deciso, in questo senso. Chiaramente stiamo rivedendo la struttura del personale, non potremo lavorare contemporaneamente nello numero di come facevamo prima. Quindi faremo due squadre di lavoro, aprendo solo la sera. Poi sulle misure è chiaro che la linea guida deve darla la comunità scientifica, che ci dirà cosa è utile e cosa no. Certo è che barriere in plexiglass, come si ipotizza, non le vedo in un ristorante, dove magari c’è già un tavolo grande che garantisce le distanze. La mascherina la useremo, sui guanti sono più tranchant, nel nostro lavoro sono difficilissimi da usare dovendoli cambiare continuamente, e ne servirebbe una quantità impensabile. Meglio accentuare ancora di più la sanificazione delle mani. Poi su altre cose come gestire i flussi di entrata e di uscita, misurare la temperatura all’ingresso, sono tutte cose che se servono faremo, e ci abitueremo a farlo. Ma penso che, in generale, ci sarà bisogno che degli imprenditori inizino a fare i politici, nel senso che devono essere gli imprenditori, che hanno ogni giorno a che fare con la realtà e con i problemi da affrontare, a tracciare le linee e consigliare i politici, perchè la sensazione è che ci sia una distanza siderale tra la realtà delle cosa che accadono e chi legifera e prende misure. Oggi va interpellato chi fa il nostro mestiere, per capire cosa serve, cosa fare per ripartire il settore”.
“Anche perchè così non si riparte, non si riapre - dice un furente Gianfranco Vissani, stellato con il suo Casa Vissani di Baschi, ma con locali anche a Roma - in tanti hanno già riconsegnato le licenze, non si va avanti. Ci chiedono di pagare le tasse, ma i sostegni non arrivano, i prestiti di 25.000 euro sono un delirio, le banche ti dicono che li prendono come acconto per chi deve rientrare dal fido, non li danno alle persone che hanno pendenze di tasse, vuol dire che l’80% della platea è escluso.
Servono misure vere, soldi a fondo perduto. Sennò è una rivolta”.
“È difficile capire cosa fare, c’è tanta voglia di ripartire - commenta Fabiana Gargioli, terza generazione della famiglia che gestisce Armando al Pantheon, una delle più celebri trattorie di Roma, a pochi metri da uno dei suoi monumenti più famosi e visitati - e anche ad investire per adeguarsi a norme che non si sa quali saranno è difficile. Di sicuro serviranno guanti, mascherine, gel, e poi? Noi abbiamo un locale piccolo, distanziare i tavoli vuol dire perdere tanti coperti, stiamo vagliando la possibilità di metterne alcuni fuori ma si vedrà. In tanti fanno il delivery, ma va fatto bene, e anche in questo senso servono investimenti che vanno ben ponderati. Così come, per esempio, la gestione del vino: anche quando le cose ripartiranno, in tanti vedranno prima di capire come andrà, se i clienti ci saranno, prima di fare nuovi ordini, perchè comunque di bottiglie in magazzino ce ne sono. Sarà difficilissimo ripartire, anche perchè penso che per 1-2 anni mancheranno tantissimo i clienti internazionali. Non penso che sarà uno scenario complicato come nel Dopoguerra, ma ci vorrà tempo. Certo è che per una realtà come la nostra in questo momento viene fuori ancora di più il valore della famiglia, sia a livello di gestione e di unione, che di esperienza, perchè sapere come hanno affrontato momenti difficili mio padre e mio zio è un grande aiuto. Viene da pensare, però, che lo scenario più chiaro sarebbe che ci dicessero di riaprire direttamente a settembre, per esempio, sperando che per allora sia tutto più chiaro e che ci sia una cura efficace, e, allo stesso tempo, fermando subito le tasse e garantendo i dovuti ammortizzatori sociali”.
E, intanto, in attesa di sapere, ognuno si attrezza come può, e come crede. Giancarlo Perbellini, per esempio, chef due stelle Michelin con il Casa Perbellini a Verona, e con altri locali con diversi target nella città dell’Arena e non solo, pensa a riduzione di coperti per rispettare le distanze dove ci sarà bisogno, un menu unico, senza scelta alla carta, per ottimizzare tempi di preparazione e costi, cercando di mantenere tutto il personale, “collaboratori scelti con cura, negli anni”, ancora maggior frequenza nel lavaggio delle mani e ancora maggiore attenzione al rispetto delle norme sanitarie e così via. “Piuttosto che mettere barriere in plexiglass, faccio entrare un tavolo alla volta”, rilancia Gennarino Esposito, due stelle Michelin con la Torre del Saracino di Vico Equense, che sottolinea come, al di là di tutto, chi va al ristorante vuole sentirsi prima di tutto “accolto e coccolato”, e non solo a livello culinario.
Di certo, al netto delle idee culinarie degli chef, qualcosa in cucina cambierà, “dopo settimane in cui tutti cucinano a casa, e in quadro in cui ci saranno meno soldi da spendere e anche la necessità di avere meno persone in cucina. Quindi forse sarà penalizzata la creatività, a favore di piatti più semplici e rassicuranti”, come già osservato, nei giorni scorsi, in uno dei tanti report di Winenews su questo argomento, dal fondatore di Identità Golose, Paolo Marchi.
Comunque, si guarda avanti, anche con ottimismo. Come quello di Luca Nicolis, oste, nel senso più vero del termine, della Bottega del Vino di Verona, uno dei templi del vino italiano e non solo, che, in questi giorni, in cui sarebbe stato di scena Vinitaly, sarebbe stato una babele di brindisi con produttori, appassionati e professionisti del vino di tutta Italia e di tutto il mondo.
“Siamo carichissimi, già con il calice idealmente in mano, per essere pronti a ripartire appena possibile. Io credo che l’importante è che ci sia la chiarezza. Si decida che le norme e i dispositivi devono essere questi, si dica con i tempi dovuti per permettere a tutti di adeguarci, e poi le norme si facciano osservare da tutti. È chiaro che per un po’ perderemo coperti, perderemo un po’ di anima, perchè la Bottega, senza casino, senza affollamento, non è la stessa. Ma gli Italiani sono bravi ad affrontare le difficoltà, sarà solo questione di tempo per tornare alla normalità. Ora siamo in un purgatorio, in un limbo, sopportiamolo, l’importante è ripartire. Il vino di qualità si berrà sempre, e magari in questo tempo sospeso, anche con le tante iniziative via social, qualcuno ne avrà imparato qualcosa di più, e sarà più capace di apprezzare il valore di certi vini. Certo, anche l’offerta dovrà un po’ adeguarsi, ma dal cambiamento nascono anche stimoli e opportunità. È difficile, ma dobbiamo essere ottimisti e pronti”.

Intanto, però, il grido di allarme del settore si leva forte e chiaro. Ed il 28 aprile si farà evento, con la manifestazione “Risorgiamo Italia”, indetta dal Movimento Imprese Ospitalità, che raccoglie 75.000 imprese della ristorazione e dell’horeca: “alle ore 21 le insegne delle attività si accenderanno insieme, accenderanno simbolicamente per l’ultima sera. Le probabili misure che lo stato prenderà per l’eventuale riapertura di ristoranti, bar, pizzerie, pasticcerie, discoteche e lidi balneari non sono insostenibili per la gestione ordinaria di un locale e insopportabili economicamente. Ecco perché il 29 aprile, la mattina dopo aver acceso per la ultima volta le luci, gli imprenditori - spiega una nota - andranno davanti ai loro comuni a consegnare le chiavi dei propri locali. Sebbene si voglia fortemente aprire e tornare al proprio lavoro, oggi non ci sono i presupposti economici per poterlo fare: ci stanno chiedendo di aprire con gli stessi costi, se non più di prima della emergenza epidemiologica, con una previsione di incassi nella migliore delle ipotesi pari al 30% sull’anno precedente”.
Intanto, a testimonianza di quanto la crisi sia mondiale, dagli Usa, arriva la notizia che, secondo i dati della National Restaurant Association, nella ristorazione americana sono già saltati 8 milioni di posti di lavoro, con il 60% dei ristoratori che dice che le misure messe in campo da Trump non bastano per evitare i licenziamenti. Con un sondaggio tra 6.500 ristoranti che lascia intendere che siano già andati persi 30 miliardi di dollari a marzo, e che altri 50 potrebbero essere persi in aprile, con una previsione totale di 240 miliari di dollari di perdite alla fine dell’anno.

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