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RICERCA SCIENTIFICA

Salvaguardare l’identità guardando all’innovazione: il Nero d’Avola si apre al futuro

Arriva al termine il progetto “InnoNda”, guidato da Assovini Sicilia, tra tecnologia per la riduzione alcolica, microbiologia, anfore e biodiversità

Un progetto che muove un passo deciso verso modelli produttivi estesi, apportando innovazione, sostenibilità, e rispondendo ai cambiamenti climatici e alle mutevoli richieste dei consumatori, senza rinunciare all’identità del Nero d’Avola, affrontando quattro aree: strategie tecnologiche per la riduzione dell’alcol, strategie microbiologiche, uso delle anfore per macerazione e affinamento, e studio della biodiversità del Nero d’Avola. Si è appena concluso “InnoNda” (acronimo di Innovazione del Nero d’Avola), lanciato nell’aprile 2024 per esplorare nuove strategie produttive per vini ottenuti da Nero d’Avola, mettendo al centro la ricerca, indagando aspetti inesplorati o da approfondire, ma anche conoscenze già consolidate per scrivere pagine nuove e all’insegna della contemporaneità.
Un progetto che, peraltro, nasce nel quadro di un contesto generale complesso. Le temperature osservate in Europa Occidentale e nel Mediterraneo nelle ultime due decadi, infatti, hanno evidenziato aumenti stimati medi attorno a 1 e 2 gradi centigradi. Per i produttori vinicoli, la conseguenza diretta è un aumento degli zuccheri dei mosti, dunque nel grado alcolico dei vini. Oltre questo, eventi meteorologici “estremi” sono sempre più frequenti, in particolare, lunghi periodi di siccità acutizzati da fenomeni di stress termico. Sul fronte dei consumatori, invece, si nota una richiesta crescente di vini a minore tenore alcolico. Varie le ragioni. Prima di tutto per ragioni di salute, poi, per stringenti imposizioni di legge. Ma in generale, le statistiche segnalano che i consumatori sono sempre più attenti alla produzione secondo criteri di sostenibilità e alla qualità dei prodotti.
Questa combinazione di fattori - naturali, sociali e forse di moda - se apparentemente sfavorevole al prodotto vino, potrebbe invece portare ad individuare nuovi obiettivi e ad una crescita del mercato, con interventi a partire dalla vigna. Recenti studi hanno confermato, infatti, che vitigni autoctoni e vigneti più vecchi possono essere meno sensibili agli stress climatici e, soprattutto, alla carenza d’acqua. Se a questo si associa una cosiddetta “enologia di precisione” secondo criteri di sostenibilità, potrebbero essere raggiunti risultati molto performanti in linea con gli obiettivi strategici dell’Oiv-Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino. Le istituzioni regionali siciliane, dunque, hanno valutato queste trasformazioni e questa possibile evoluzione di mercato individuando alcune aree di ricerca. La gestione e il controllo del grado alcolico, in particolar modo quelli legati alla produzione di vini rossi, potrebbero essere di grande beneficio per affrontare future trasformazioni.
“InnoNda”, che ha visto in prima linea Assovini Sicilia (associazione che riunisce oltre 100 delle cantine più virtuose dell’isola) guidata da Mariangela Cambria, in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano (con le docenti Daniela Fracassetti e Ileana Vigentini), ed i laboratori di Isvea, con il coinvolgimento di 4 cantine come Tenuta Rapitalà (del Gruppo Italiano Vini - Giv), Dimore di Giurfo, Feudi del Pisciotto e Tenute Lombardo, si è focalizzato sull’indagine delle tecniche agronomiche ed enologiche che permettono di ottenere vini con una gradazione alcolica più bassa (uno dei trend del momento per quanto riguarda i consumi, ndr), salvaguardando i tratti peculiari che caratterizzano la varietà Nero d’Avola, il più celebre tra i vitigni autoctoni siciliani a bacca rossa. Una sfida stimolante che ha incluso anche attività mirate alla diversificazione della produzione mediante l’impiego di anfore di terracotta e la valutazione delle diversità del vitigno Nero d’Avola nel territorio siciliano. Finanziato nella Sottomisura 16.1 del Psr Sicilia 2014-2022, il progetto ha previsto due cosiddette “Giornate di Campagna” che si sono tenute al Feudi del Pisciotto e Tenuta Rapitalà ed in cui gli esiti della ricerca sono stati presentati nei giorni scorsi. Per quanto riguarda le strategie tecnologiche per la riduzione dell’alcol, sono state sperimentate tecniche fisiche ed a membrana per la rimozione dell’etanolo, come l’evaporazione sotto vuoto, l’osmosi inversa e il contattore membrana, per ottenere Nero d’Avola con gradazioni più basse mantenendo qualità e identità sensoriale. La ricerca ha anche evidenziato come i vini affinati in legno mantengano meglio struttura e complessità rispetto ai vini affinati in acciaio. È stato inoltre valutato l’impiego delle tecnologie a membrana che consentono di poter limitare la perdita degli aromi fruttati e floreali, restituendo vini equilibrati e piacevoli. Sulle strategie microbiologiche, la ricerca ha indagato, invece, il comportamento dei lieviti non-Saccharomyces in combinazione con il ben noto Saccharomyces cerevisiae. Lo studio ha osservato come questi consorzi microbici permettano di ridurre il grado alcolico fino al 2%, migliorando l’intensità aromatica e le note fruttate e floreali, molto importanti per il Nero d’Avola. È stata avviata la ricerca utilizzando la tecnica di Evoluzione Adattativa in Laboratorio (Ale) che consentirà di selezionare ceppi di lievito (non Ogm) capaci di produrre meno etanolo e più glicerolo, migliorando le sensazioni morbide e rotonde del vino.
Riguardo all’uso delle anfore per macerazione e affinamento, il progetto ha verificato l’impatto della terracotta (anfore vinarie di varie gradazioni di porosità, tradizionalmente realizzate mediante cottura dell’argilla) nella vinificazione. Lo studio ha evidenziato l’efficacia nell’esaltare le note speziate, balsamiche e vegetali e le macerazioni lunghe, inoltre, hanno condotto a profili particolarmente eleganti e meno amari. Per l’affinamento, l’uso di anfore con diversa porosità ha permesso di ottenere vini maggiormente persistenti, floreali e fruttati, soprattutto se messi a confronto con le produzioni in acciaio. Venendo, infine, allo studio della biodiversità del Nero d’Avola, il progetto “InnoNda” ha mostrato la ricchezza genetica e fenolica del Nero d’Avola siciliano. Le vigne vecchie, rispetto a quelle più giovani, sembrano mantenere un contenuto più alto di acidità e una migliore concentrazione di antociani e flavonoidi, tutti elementi decisivi per determinare colore e struttura, ma anche longevità in un vino. Le fermentazioni spontanee, poi, evidenziano un microbiota ricco, diversificato e legato al territorio. Elementi distintivi capaci di caratterizzare il profilo aromatico dei vini.
“InnoNda” è “un progetto di ricerca vitivinicolo complesso - ha affermato Mariangela Cambria, presidente Assovini Sicilia - ma anche un esempio concreto di come la collaborazione tra imprese e università possa generare innovazione a beneficio di tutto il settore. Il progetto accende un riflettore su alcune difficili problematiche che le aziende del vino siciliane potrebbero trovarsi ad affrontare in futuro. Al contempo, suggerisce alcune soluzioni nell’arena competitiva, senza tuttavia tradire l’identità del vitigno”. Per Daniela Fracassetti, responsabile scientifica del progetto, “InnoNda” ha “dimostrato la possibilità concreta di ridurre l’alcol nei vini Nero d’Avola, rispondendo così alla crescente richiesta di vini a bassa gradazione e offrendo una strategia efficace per contrastare gli effetti del cambiamento climatico. L’utilizzo delle anfore si è rivelato adatto alla vinificazione del Nero d’Avola, valorizzandone le caratteristiche sensoriali tipiche. Inoltre, le differenze osservate nella composizione dei mosti ottenuti da vigneti di età e provenienza diverse, indicano l’importanza del terroir e dell’età delle viti sulla qualità finale del vino. La combinazione tra tecniche innovative, riduzione del tenore alcolico e valorizzazione delle peculiarità territoriali contribuisce ad arricchire la conoscenza sul Nero d’Avola e a rafforzare l’identità della viticoltura siciliana. Visti i risultati promettenti raggiunti in poco più di un anno di attività, è auspicabile proseguire la ricerca per consolidare e approfondire le evidenze ottenute”.

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