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Se c’è un vitigno capace di raccontare la Basilicata, è l’Aglianico. Che, però, finisce solo sull’etichetta di Doc e Docg del Vulture. I produttori lucani, Pasquale Lunati in testa, chiedono il riconoscimento dell’Aglianico Igp di Basilicata

Se c’è un vitigno capace di raccontare e rappresentare la viticoltura della Basilicata, è senza dubbio l’Aglianico, autoctono per eccellenza, la cui espressione migliore è sul Vulture, ma che è coltivato da secoli nell’intero territorio regionale. Eppure, per quanto possa sembrare strano, l’Aglianico non è tra le varietà raccomandate ed inserite nel disciplinare di produzione dei vini a Indicazione Geografica Protetta Basilicata. In soldoni, come racconta a WineNews Pasquale Lunati, uno dei produttori di spicco della provincia di Matera, che sarà anche capitale Europea della Culltura nel 2019, con l’azienda Taverna, “nessuno, in Basilicata, può fregiarsi del nome Aglianico se non chi produce sul Vulture, sotto il cappello della Doc e delle Docg”. E non è l’unica “stranezza”, perché, “a differenza dei viticultori lucani, i colleghi di Molise, Puglia, Calabria e Campania possono fregiarsi da anni della dicitura Aglianico Igp, e scriverlo in etichetta, guadagnando un vantaggio competitivo enorme”.
È un iter lungo, per il quale ci vorranno mesi, forse anni, con il sostegno di tutto il settore vino della Regione, ma non è solamente un problema di principio, perché così a rimetterci è tutta la filiera produttiva della Basilicata, “una Regione piccola - continua Lunati - ma con un grande vitigno, sempre più apprezzato dai wine lovers di tutto il mondo, dal Nord Europa agli Usa che, però, sugli scaffali non troveranno l’Aglianico della Basilicata, ma solo quello del Vulture, facendo perdere occasioni commerciali enormi a tanti produttori, perché stiamo parlando di uno dei vitigni più conosciuti ed apprezzati del Sud Italia, insieme a Primitivo, Nero d’Avola, Fiano e Greco”.
“I produttori del Vulture Alto Bradano hanno saputo conquistare grande ammirazione grazie all’alta qualità dei loro vini ed oggi si fregiano di due importanti denominazioni: la Doc e la Docg. Un Aglianico Igp - spiega ancora Pasquale Lunati - potrebbe ulteriormente allargare la loro gamma di offerta, ovviamente a prezzi più contenuti, diffondendo ancora più incisivamente un vino che merita altri e più importanti palcoscenici sensoriali. Così facendo, i vitivinicoltori del Vulture proporrebbero un’offerta più completa con le 3 denominazioni, e dall’intero territorio regionale si produrrebbe un Aglianico Igp “base” che contribuirebbe a diffondere la varietà a livello nazionale ed internazionale. La Basilicata vitivinicola, del resto, ha bisogno di essere conosciuta e valorizzata attraverso l’insieme delle zone vitate, dal vulcano potentino alla costa materana: del nome Aglianico, da sempre, siamo tutti orgogliosi ma ora è il momento di fregiarsene insieme”.
Poi, ovviamente, c’è anche l’aspetto culturale e storico, perché “è un peccato che in Scandinavia o in Usa si pensi che l’Aglianico sia un vitigno originario della Campania o della vicina Puglia: ne va della tenuta della nostra tradizione e cultura. Ma la questione del nome non è solo educativa. Anzi - conclude il produttore lucano - è soprattutto economica, perché l’Aglianico del Vulture Doc o Docg in media spunterebbe prezzi superiori ad un ipotetico Igp, lasciando a quest’ultimo margini di mercato interessanti nel panorama vitivinicolo mondiale, oltre a dare la possibilità a tutte le cantine regionali di crescere sotto questa denominazione”.

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