Difficile non essere d’accordo con Mario Fregoni, professore ordinario all’Università Cattolica Sacro Cuore di Piacenza, secondo il quale «sono le doc storiche che reggono l’immagine dei vini italiani all’estero, peraltro non molto forte». Come è difficile ignorare che questo ruolo fondamentale non è di tutte le denominazioni. Sta, forse, condensato in questa evidenza, molta parte del dibattito sull’attuale utilità delle nostre doc/docg.
Storicamente, per il panorama enologico italiano la spinta propulsiva delle denominazioni d’origine (introdotte con il Dpr 930 del 1963) è stata decisiva ed ha avuto il merito di «sdoganare il vino italiano dalla sua caratterizzazione di vino di massa» come pensa Lapo Mazzei, storico patron del Castello di Fonterutoli.
Ma è altrettanto vero che quelle prime necessarie e fondamentali delimitazioni territoriali hanno innescato un fenomeno di proliferazione delle denominazioni stesse - legato nella maggior parte dei casi a sciagurate scelte a brevissimo termine, o, in altri, a ragioni del tutto esterne al mondo del vino - una sorta di “corsa alla copertura” indiscriminata dell’intero territorio nazionale, come se le denominazioni rappresentassero un fine piuttosto che un mezzo. Mentre, gli imprenditori vitivinicoli orientavano le proprie scelte produttive anche fuori dalle denominazioni, non sempre in grado di reggere il passo dei tempi, specialmente a causa di disciplinari obsoleti e inutilmente rigidi.
Così abbiamo assistito, solo per fare alcuni esempi, al successo dei “supertuscan” (vini da tavola che soltanto dal 1992 (con l’introduzione della Legge 164 “Nuova Disciplina delle denominazioni di origine dei vini”) hanno avuto una dignità formale un po’ più importante con il passaggio ad igt), ma anche al “ritorno” del più famoso di tutti nell’alveo della denominazione (Sassicaia, doc dal 1994), come, del resto, ad un’assoluta scommessa sulle proprie denominazioni, senza sconfinamenti di sorta, ad opera del Piemonte.
Una situazione fluida, non chiaramente definita, dunque - dove l’Italia del vino non ha saputo compiere una scelta chiara, lasciando convivere accanto al “genius loci” e al territorio i vini varietali e una certa indeterminatezza d’origine - che fin quando il mercato è vissuto nell’ubriacatura del proprio boom, non ha dato segni evidenti della sua debolezza intrinseca. Ma l’attuale crisi ha fatto riemergere i nodi mai sciolti di questa questione (rappresentata in primis dalla difficoltà di molte aziende, anche fra le più blasonate, di dichiarare “da che parte stanno”, cioè quali sono i loro reali obbiettivi), mostrando, da una parte, segnali chiari sulle difficoltà che i nostri vini non a denominazione (più sensibili alle fluttuazioni delle “mode” e quindi più “adatti” a politiche commerciali di medio-breve periodo) incontrano sui mercati internazionali “invasi” dai prodotti del cosiddetto Nuovo Mondo (più competitivi soprattutto in fatto di prezzi, ma anche per l’assenza pressoché completa di regole produttive), e, dall’altra, segnali sempre più incoraggianti per i vini doc/docg, almeno per quelli appartenenti alle denominazioni storiche (in grado di “fronteggiare” adeguatamente il medio-lungo periodo).
Ma se «le denominazioni italiane rappresentano ancora un “certificato di nascita”, ma non “di garanzia”» come ci ricorda Daniele Cernilli, condirettore del “Gambero Rosso”, occorre allora modernizzarle in termini di rigore (disciplinari a volte piuttosto blandi), di garanzia (sono ancora in corso indagini sulla commercializzazione di “falsi” vini Doc) e di semplificazione (per esempio, adottando delle “macro-zone” come è previsto dal sistema francese). Questa serie di interventi passano anche dalla modifica alla legge 164/1992 interrotta dal recente cambio del Governo.
Per Laura La Torre, dirigente del Ministero delle Politiche Agricole e responsabile legislativo per il comparto vitivinicolo «il Ministero farà tutto quanto in suo potere per il potenziamento del cosiddetto decreto “erga omnes” ripresentando al nuovo ministro la richiesta di iscrizione obbligatoria ai Consorzi di tutela per tutte le aziende e chiederà l’introduzione di regole più rigide per la determinazione di nuove denominazioni, oltre l’applicazione della 164 in toto, che prevede la cancellazione delle denominazioni non rivendicate (quasi 200 le Doc a rischio di “estinzione” secondo i dati di Federdoc)».
Tutto questo è emerso dalla due giorni di San Gimignano (5/6 maggio) dal titolo “I 40 anni delle Doc. Passato, presente e futuro, in Italia e nel mondo”, organizzata dal Consorzio della Denominazione San Gimignano, per la celebrazione dei quarant’anni dalla assegnazione della doc alla Vernaccia di San Gimignano.
Franco Pallini
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